La metrica Environmental, Social e Governance
Alla fine dello scorso anno, con l’approssimarsi delle vacanze natalizie, si è avvertita una certa tendenza all’auto denuncia pubblica dello stress da Esg, il formidabile acronimo che sta racchiudendo in tre lettere (le iniziali di environmental, social e governance) l’enorme distesa della sostenibilità. In particolare, una missiva apparsa sulla testata Responsible Investor, raccontava che “Sì, l’esaurimento da Esg è reale. Lo so perché sono esaurito”. Mentre un altro contributo pubblicato da Ftadviser titolava: “Oh no! Non un altro articolo sugli Esg”.
Questi due esempi di confessione liberatoria sono il riflesso di una combinazione micidiale di elementi che riguarda l’affermarsi del modello basato sui fattori environmental, social e governance. Il primo elemento è la rapidità con cui questa chiave di lettura della realtà sta travolgendo il sistema della finanza e dell’economia mondiale. Il secondo elemento è la complessità che queste nuove lenti di interpretazione della realtà impongono al sistema. Questo mix ha trasformato un mondo di (relativamente poche) regole certe e (relativamente pochi) referenti riconosciuti, in una dimensione con molteplici opportunità di scelta e ancor più entità pronte a indicare la retta via.
La difficoltà di comprensione del fenomeno Esg ha poi favorito, nei tempi più recenti, l’evoluzione di quella situazione di “stress” in una situazione di mal sopportazione, se non di rifiuto.
Con la conseguenza che, se il 2020 è stato l’anno dell’affermarsi degli Esg sul mercato, e il 2021 quello della loro esplosione in termini di volumi, il 2022 si può certo indicare come l’anno in cui il modello environmental, social e governance è finito sotto attacco. Complice una situazione congiunturale straordinaria, alimentata dal conflitto in Europa e le conseguenti situazioni di inflazione e recessione, i detrattori del modello hanno avuto buon gioco nel lanciare “j’accuse” sulla validità dell’acronimo Esg.
Sul piano mediatico, l’attacco più clamoroso è stato quello portato da The Economist in giugno, con una copertina che ha fatto il giro del mondo, in cui una forbice tranciava l’acronimo Esg, e la scritta “Esg should be boiled down to one simple measure: emission” (l’Esg dovrebbe essere ridotto a una semplice misura: l’emissione). La tesi sottostante è che c’è un aspetto di grande urgenza, quello del riscaldamento climatico, e che, di fronte a tale sfida, gli Esg oggi sembrano agire da freno, in quanto fonte di contrasti, incomprensioni e, di conseguenza, occasioni di greenwashing. Sempre in estate è arrivata la stroncatura, via Twitter, di uno dei personaggi più noti e influenti del pianeta. Dopo l’esclusione di Tesla dall’indice S&P 500 Esg, Musk ha urlato al mondo che “Exxon è classificata tra le dieci migliori al mondo per ambiente, sociale e governance (Esg) da S&P 500, mentre Tesla non è entrata nella lista! L’Esg è una truffa. È stato strumentalizzato da falsi guerrieri della giustizia sociale”. La dichiarazione ha ricevuto grande attenzione, alimentando la diffidenza verso gli Esg. In autunno, poi, sono arrivate le accuse dei leader repubblicani degli Stati Uniti. Valga per tutti ciò che ha sostenuto il governatore della Florida Ron DeSantis che ha vietato ai gestori del fondo pensione dello Stato di usare gli Esg nella selezione degli asset, ovvero di seguire «interessi sociali, politici o ideologici » quando si prendono decisioni di investimento. “Il potere delle società – ha sostenuto pubblicamente DeSantis – è stato sempre più utilizzato per imporre un’agenda ideologica al popolo americano attraverso la perversione delle priorità di investimento finanziario sotto gli striscioni eufemistici di governance ambientale, sociale e aziendale e diversità, inclusione ed equità”. Il Governatore repubblicano ha aggiunto che agli amministratori del fondo statale saranno fornite istruzioni di dare la priorità “al più alto ritorno sull’investimento per i beneficiari, senza considerare le convinzioni non pecuniarie o i fattori politici”.
Questa serie di attacchi sta, paradossalmente, favorendo la conoscenza di cosa effettivamente sia il fenomeno Esg. Cioè, sta costringendo il sistema ad accelerare la conoscenza, con l’obiettivo di poter comprendere e distinguere.
Innanzi tutto, usando una metafora, è possibile indicare gli Esg come un nuovo microscopio con cui esaminare ogni frammento di realtà. Si tratta, cioè, di uno strumento di lettura, coniato a cavallo tra il 2004 e il 2005, nelle organizzazioni per la finanza responsabile delle Nazioni Unite, dove si cercava il modo di monetizzare gli sforzi di sostenibilità delle aziende. Il titolo di un paper pubblicato in sede Onu in quel periodo recitava apertamente: “Show me the money”. Ovvero, si puntava a dare un valore alla sostenibilità, in modo da favorire le scelte degli investitori in quella direzione. E così si immaginò di individuare tre ambiti in cui scomporre le informazioni di sostenibilità, aprendo poi all’idea che sotto ognuna delle tre lettere si sviluppassero le caselle di altre informazioni. Sotto la E, sotto la S e sotto la G c’è uno spazio infinito di caselle da compilare, ognuna con una particella di informazione di sostenibilità.
Dunque, Esg è un alfabeto, un sistema di interpretazione del mondo, e non una sua riclassificazione tra bene e male. O tra bianco e nero. Ogni investimento, così come ogni cosa (e anche ogni persona), può essere valutata secondo i parametri Esg, ottenendo valori graduali.
Il giudizio Esg è conseguenza di una matrice a enne dimensioni, rispetto alle dimensioni finite (di base: due, rendimento e volatilità) che hanno caratterizzato sino a oggi la finanza e l’economia. Questo significa che utilizzare gli Esg non può portare a identificare una sostenibilità in senso “assoluto”. Ma sempre e solamente alla misurazione di “una” specifica tipologia di sostenibilità. Per quanto un giudizio Esg (un rating o una media di rating) possa tentare di ricomprendere il numero più ampio possibile di variabili, il peso dato a ognuna di queste variabili sarà in relazione agli obiettivi di sostenibilità di chi valuta. E questi obiettivi di sostenibilità sono spesso differenti (se non in contrasto) tra loro. Per esempio: la sostenibilità di oggi e non quella del futuro; quella del mio giardino e non quella di aree distanti nel mondo; quella dei giovani e non quella dei vecchi; quella dell’acqua e non quella dell’aria, e così via.
E, cambiando l’angolo di osservazione, il giudizio Esg può cambiare notevolmente. Per puro esercizio teorico, è utile chiedersi quali conseguenze possa portare il conflitto europeo nella costruzione di indici di investimento Esg destinati a investitori cinesi. Se non, addirittura, a investitori russi. Cosa sarebbe sovrappesato e cosa sottopesato? Quale fattore Esg avrebbe maggior incidenza se pensato per gli occhi simmetrici a quelli dell’Europa?
Questo porta alla possibilità di errore di una valutazione Esg. Che è altissimo. Ma, attenzione, lo è proprio per la “dinamicità” stessa dello strumento. Nella matrice a enne variabili, è normale che ci siano pesi che cambiano, e che cambino diversamente a seconda del momento storico. E di chi vive quel momento. Detto di questa grande complessità, all’interno della quale lo spazio per il greenwashing è conseguentemente enorme, accusare gli Esg delle storture che si verificano sul mercato, è come accusare il microscopio di eventuali ricerche sballate o di prodotti farmaceutici sballati nella storia della medicina.
Il grande equivoco di fondo che continua a tormentare l’idea Esg è il superficiale approccio manicheo che divide il mondo tra ciò che viene definito Esg e ciò che non lo è. Questa distinzione non solo è falsa, ma è foriera dell’idea che qualcuno decida cosa è effettivamente Esg e cosa non lo è.
Quello che invece è il caso di spiegare a Elon Musk e ai suoi seguaci, è che gli Esg non sono un indice o una label o un rating. Questi ultimi, infatti, sono supporti, strumenti per cercare di fornire indicazioni di rotta nel nuovo sistema. Non sono mai unici, univoci e, pertanto, assoluti. Non esiste un soggetto che decide cosa sia Esg. Né, per converso, niente e nessuno è Esg perché qualcuno gli ha dato un voto. La verità che non si riesce a comprendere è che tutti siamo Esg. Partendo dunque dal fatto che gli Esg sono uno strumento (il microscopio) e che ogni asset può essere sottoposto a una valutazione Esg, cadono come castelli di sabbia le quattro tipologie di accuse che si sono sviluppate in questi mesi. Una prima tipologia di accuse è che gli Esg siano una bolla come accaduto in precedenza ad altre tipologie di asset class. Ebbene, non si può trattare di una bolla in quanto l’Esg non caratterizza una specifica tipologia di investimento, ma ogni genere di asset può avere un valore Esg.
Una seconda casistica sono le accuse che si tratti di un fenomeno teleguidato dai cosiddetti poteri forti, in primis dalle grandi corporation. Anche qui, la critica perde di senso nell’ottica che l’adozione del nuovo microscopio per interpretare le variabili non finanziarie può giocare a favore, ma anche (spesso) contro le grandi corporation. E, soprattutto, l’uso degli Esg è uno strumento volontario degli operatori del sistema per comprendere i nuovi valori che muovono la società. Si possono non utilizzare, col solo risultato di perdere informazioni.
Un altro fronte caldo è quello della strumentalizzazione politica: l’affermazione del governatore della Florida, che gli Esg siano una bandiera ideologica seguendo la quale si perdono di vista i risultati economici, sono prive di senso nel momento in cui i fattori environmental, social e governance aggiungono informazioni alle scelte, e non ne tolgono.
Gli investitori stanno adottando il loro microscopio al fine di valutare al meglio il valore delle proprie azioni. E non certo il contrario.
Infine, la questione del greenwashing. Le accuse in questa direzione, tra cui quelle di The Economist, hanno un fondamento. Nel senso che, come detto, la complessità degli Esg offre ancora spazi enormi per l’adozione di strategie che passano per essere sostenibili, quando nella realtà non lo sono. Ancor più, nell’attuale scenario, gli Esg stanno alimentando una delle formule più insidiose e diffuse di greenwashing, quello involontario. Cioè, operazioni messe in atto in buona fede, senza comprenderne il potenziale washing: si sceglie il consulente impreparato; si sceglie la label sbagliata; ci si fida di un rating non troppo affidabile; soprattutto, si compiono operazioni pensando di essere compliant con norme o standard di sostenibilità, e magari questi sono già cambiati.
Anche qui, tuttavia, occorre fare attenzione ad accusare gli Esg come causa di greenwashing. Il microscopio è uno strumento potentissimo di analisi della realtà, ma è nella realtà stessa che si genera la complessità, non nello strumento. Ergo, il greenwashing si può riferire non agli Esg, bensì all’errato uso del nuovo alfabeto della sostenibilità.■
Luca Testoni-Biografia
Luca Testoni è cofondatore e direttore del quotidiano online ETicaNews e del magazine cartaceo ESG Business Review, testate benchmark sui temi della sostenibilità e della finanza responsabile. In precedenza, è stato dieci anni nel giornalismo finanziario, in Finanza e mercati, di cui è stato anche caporedattore. Si è poi occupato del settore degli studi legali d’affari (è stato direttore di TopLegal) e di coordinare la redazione di Pambianconews.
Tra le altre cose, ha pubblicato per Sperling & Kupfer un libro denuncia sulla casta della moda italiana (“L’ultima sfilata”) e un saggio-inchiesta sugli studi legali italiani (“La legge degli affari”). Laureato col massimo dei voti in economia e finanza, a metà degli anni Novanta ha scelto l’Ifg (Istituto per la formazione al giornalismo) di Bologna. E da lì le redazioni locali, Il Sole-24Ore, Milano. E tutto il resto.
In copertina: Luca Testoni
tra quelli più cercati