Ce la faremo

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“Ce la faremo”. È il mantra ripetuto in questi mesi terribili da un governo confuso e confusionario, che ancora lascia nel caos i liberi professionisti d’Italia, i precari e le partite Iva, nell’epoca più buia del nuovo Millennio. Ce la faremo, sì. Ne sono convinto, senza pubblicità, senza proclami e senza spettacolarizzare le nostre vite privatissime. Perché siamo liberi professionisti. Perché le nostre menti sono libere e indipendenti, così come la nostra formazione. Perché abbiamo scelto - ripeto, scelto - di non avere padroni, rispettando le regole, senza se e senza ma. Perché crediamo fermamente nel principio di “una testa e un lavoro”. Lo sappiamo, lo vogliamo e lo perseguiremo.
Ce la faremo. A dispetto dei dolori, delle nostre ansie, delle fatiche e dei sacrifici che stiamo vivendo. Non solo. Lo faremo per le prossime generazioni e per i nostri figli che, in questi mesi, ci osservano perplessi con lo stupore negli occhi e la paura nel cuore. Non sono sicuro che la vita sarà più come prima. Ma la protezione della nostra Cassa di previdenza ci sarà sempre, per aiutare i colleghi a rialzare la testa e a rimettersi in gioco. Inarcassa c’è e ci sarà, anche per chi avrà provato, senza riuscirci, ad essere in linea con il rigore stringente dettato dai molti governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Questa consiliatura vorrebbe vedere, dai nostri leader pro-tempore, la stessa tempestività e lo stesso coraggio che noi abbiamo messo in campo, per garantire unità e coesione al Paese, senza disparità di trattamento tra cittadini. Per agire presto e bene non ci siamo avvalsi né di consulenti, né di grandi esperti. Ma abbiamo potuto contare sulla forza di una formidabile struttura che, in condizioni difficilissime, si è dedicata anima e corpo al funzionamento di una macchina complessa come il nostro Ente. Ognuno con coscienza e professionalità.
Così, da Inarcassa ogni iscritto ha ricevuto nel tempo dedizione, passione, amicizia e pazienza. Per questo, ai nostri collaboratori, ai dipendenti, ai dirigenti e anche alle nuove leve, va la gratitudine del Consiglio di Amministrazione. Un affetto che prescinde da qualsiasi Decreto, da ogni provvedimento e da qualunque normativa ci verrà imposta.
A dispetto di chi voleva abbandonare la retta via e convinti di non dover fermare la macchina elettorale, abbiamo affrontato con determinazione la sfida digitale del rinnovo del Comitato Nazionale dei Delegati. Ce l’abbiamo fatta, in un momento di emergenza, con una governance forte, affidabile, consapevole e coerente. Ce la faremo, dotati di tutti gli strumenti per guardare al futuro, a prescindere da qualsiasi pandemia e polemica elettorale.
In questi cinque anni riteniamo di aver fatto molto anche per il Paese. Ora serve che tutti facciano la loro parte, per creare le condizioni affinché il sistema economico nazionale si attrezzi seriamente per sostenere, con regole efficienti, il vero rilancio delle nostre professioni. Ce la faremo, con norme certe e sistemi fondati su principi di trasparenza, chiarezza e correttezza. E allo stesso modo Inarcassa non si tirerà indietro per concorrere al raggiungimento degli obiettivi del Governo. Siamo pronti a ripartire, ma anche per chi verrà dopo di noi, sia chiaro, sono due i requisiti su cui la Cassa non dovrà mai transigere. Siamo un soggetto privato e la nostra autonomia decisionale è il più importante presidio della bontà delle nostre politiche di investimento. Siamo un ente di welfare che amministra con serietà la previdenza e l’assistenza degli associati, senza mai sfilarsi dalle proprie responsabilità. I nostri iscritti, architetti e ingegneri liberi professionisti, sono i veri beneficiari del patrimonio che gestiamo.
Ce la faremo, sì, con la ferma volontà di chi ha fiducia nelle idee e in un futuro migliore. Grazie a tutte le donne e a tutti gli uomini che vorranno crederci.

Nella foto di copertina: LANGJÖKULL Glacier Klaki Basecamp, Islanda. Foto di Zhifei-zhou su Unsplash

Terza pagina
Gregotti, l’architetto: “Un progetto deve sempre guardare al contesto”
Gregotti Associati, Progetto della sede della Fondazione Gian Giacomo Feltrinelli, Milano, 1981. ©Comune di Milano, CASVA   Nonostante il grande successo riscontrato in tutto il mondo, la sua vita professionale ha avuto anche qualche ombra. Due sono le opere molto controverse che hanno visto lunghi ed estenuanti dibattiti e svariate critiche: il quartiere Zen di Palermo e l’Università di Arcavacata in provincia di Cosenza. A Gregotti l’architettura italiana deve molto, soprattutto deve la sua diffusione internazionale, grazie alle sue partecipazioni a corsi e conferenze in Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti e America del sud. Ha tenuto negli anni la rotta senza ascoltare il canto delle sirene che lo invitavano a seguire le mode del momento. I suoi progetti ponevano l’arte (in tutte le sue sfaccettature) al centro. Il suo amore per la musica lo si rintraccia nel progetto del Centro Culturale di Belém, firmato con Manuel Salgado. Qui Gregotti propone un ambiente interno che reinterpreta il teatro lirico: nel volume, quasi cubico, gli ordini dei palchi si allineano su pareti che piegano ad angolo retto, smontando completamente l’idea delle “finestre” che si affacciano sulla platea del tradizionale teatro a ferro di cavallo. Sempre alla musica è “consacrata” la sua sperimentazione sugli edifici che ospitano eventi musicali realizzata con il Teatro degli Arcimboldi, immaginato per sostituire la Scala in un periodo di profonde ristrutturazioni. Se a Belém la ricerca architettonica guarda all’interno, a Milano Gregotti guarda all’esterno. L’edificio si trova in periferia e contravviene alla regola non scritta per la quale un teatro lirico debba essere al centro della città. Per questo l’architetto qui ha cercato linee che potessero connettere l’edificio al contesto ex industriale. Gregotti è stato anche un grande saggista. Tra le sue opere ricordiamo “Il territorio dell’architettura” del 1966. È considerato da molti un vero e proprio classico della letteratura dello scorso secolo nel quale l’architetto affronta aspetti pratici dell’architettura, dall’utilizzo dei materiali al rapporto dell’architettura con la geografia e con la storia. In quest’opera Gregotti sviluppa una concezione della pratica architettonica non come si farebbe in un trattato “ma piuttosto come un esercizio”, volto a definire “il campo di competenza e l’articolazione esistente tra le discipline del progetto architettonico”. Insomma, da questo libro emerge un Gregotti che vuole far dialogare la geografia con i segni architettonici, sovvertendo la metodologia della progettazione. Altra nota opera è “La città visibile” del 1991. In questo libro l’autore prende atto del cambiamento che è avvenuto nei precedenti 40 anni tra gli architetti, sempre più attenti al contesto geografico e storico, con progetti che diventano “dialogo tra l’esistente e le modifiche che farà”. Il libro si pone, attraverso esempi concreti, la domanda su come progettare una città, partendo “dalla città stessa e dalla sua storia”, pur rimanendo sempre aperta la possibilità di proporre un “nuovo stato di equilibrio”, che si basi su “riordino e chiarezza”, elementi imprescindibili in architettura.    " data-ellipsis-item="...">

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