Il nuovo codice degli appalti

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Riemergono l’appalto integrato e i progetti in house

* Presidente ALA-Assoarchitetti

Governare la complessità banalizzandola: l’emergenza eletta a sistema. Dal varo del 1994, la legge quadro sui lavori pubblici è una delle norme più modificate e cassate, testimoniando così la sua debolezza. Ora il Consiglio dei Ministri ha approvato il nuovo Codice degli appalti. Il testo, alla Parte IV “Della progettazione” all’art. 44, reintroduce l’appalto integrato e la progettazione in house: “Negli appalti di lavori, con la decisione di contrarre […], la stazione appaltante o l’ente concedente, se qualificati, può stabilire che il contratto abbia per oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base di un progetto di fattibilità tecnico-economica approvato.” e all’art. 45, conferma le “risorse finanziarie per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti […], in misura non superiore al 2 per cento dell’importo dei lavori, dei servizi e delle forniture, posto a base delle procedure di affidamento”. È noto che l’appalto integrato era stato addirittura vietato, con l’art. 59 del d.lgs. n. 50/2016, anche se successivamente il Ministero aveva stabilito che eccezionalmente, fino al 30 giugno 2023, “non sarebbe più stato soggetto alla presenza di una prevalenza tecnologica o innovativa delle opere da affidare”.

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Il nuovo testo, viste le urgenze derivanti dai fondi straordinari europei, che si teme di perdere, individua nuovamente l’appalto integrato come strumento idoneo ad accelerare le procedure e a consentire quindi il rispetto di termini tassativi per l’erogazione. È una conseguenza del “caso Morandi”, è il ricorso a un ideale di semplificazione: ancora una legislazione d’emergenza, dettata da contingenze che non tengono in conto la qualità delle opere da realizzare. Una volta ancora il Governo, per gestire il groviglio delle norme che il Parlamento ha stratificato e che rendono ormai impossibile programmare le costruzioni pubbliche e private, scavalca le proprie stesse normative e ricorre addirittura a procedure che precedentemente erano state giudicate dannose, tanto da essere vietate. Ma rimane invece una forte motivazione per tale divieto, perché ovviamente l’obiettivo odierno di realizzare comunque le opere finanziate con i fondi europei, senza prestare troppa attenzione alle condizioni necessarie per ottenerne la qualità e la durabilità delle opere, non ha risolto i conflitti.
È evidente che entrambe le prescrizioni del nuovo Codice costituiscono punti deboli fondamentali. L’affidamento delle progettazioni preferenzialmente alle strutture interne all’Amministrazione pubblica, non tiene conto che questa non ha gli strumenti né la professionalità, né il tempo, per eseguire progettazioni complesse di adeguata qualità. Porre poi la delicatissima fase della progettazione esecutiva alla discrezione dell’appaltatore significa affidarsi al soggetto che per antonomasia è portatore di un legittimo ma insanabile conflitto d’interessi, sia con la stazione appaltante sia con le richieste di qualità delle opere. È ovvio infatti che l’appaltatore ha come principale e legittima missione la massimizzazione del proprio utile.
Evidenziamo tutto questo non soltanto per perorare la tutela della struttura libero professionale della progettazione, che da decenni soffre dell’incertezza normativa e della contraddittoria altalena dei provvedimenti, che penalizzano la capacità produttiva degli studi, la loro possibilità di strutturarsi e di competere sullo scenario europeo e internazionale. Ma rivolgiamo un appello al Governo, ai Governi che si sono succeduti per chiedere una maggiore cultura dell’attenzione alla trasparenza dei procedimenti e alla separazione dei ruoli, proprio per pervenire a una maggiore efficacia degli investimenti pubblici e qualità delle opere.

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