La città accessibile e inclusiva

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Una pianificazione mirata e versatile, aperta alla fruizione degli spazi pubblici, verso la “progettazione universale” per una migliore qualità della vita di tutta la comunità urbana

Gli spazi pubblici delle città oggi sono adatti a chi li abita? Sono pienamente fruibili da tutti? Purtroppo no, non ovunque e non da tutti.
Le città europee, grandi, medie o piccole, sono lo scenario di complesse e molteplici relazioni tra residenti, pendolari, visitatori, immigrati.
Soprattutto nei luoghi marginali stentano a sostenere i cambiamenti sociali in atto, col rischio di diventare territori di esclusione ed emarginazione, di alimentare nuove paure e divisioni. Nell’era della comunicazione globale, le nostre comunità sembrano incapaci di progettare spazi di qualità che, invece, sempre più spesso, sono connotati da scarsa accessibilità e da insufficiente fruibilità. Questa condizione può comportare la marginalizzazione dei soggetti più fragili: anziani, bambini, mamme in attesa, immigrati, portatori di varie disabilità fisiche o sensoriali. Eppure, poter fruire degli spazi pubblici da parte di tutti è un diritto universale. È anche una delle risposte che le comunità possono opporre alla emarginazione sociale, al fine di costruire qualità identitarie nuove: ogni intervento volto alla realizzazione di spazi accessibili e inclusivi non solo migliora la qualità della vita e l’integrazione di un determinato gruppo sociale, ma facilita la vita di tutta la comunità.
Una delle ragioni della difficoltà di accogliere i cambiamenti sociali in corso è nel fatto che la pianificazione degli spazi delle città, antichi o nuovi, centrali o periferici, così come la pianificazione della mobilità urbana, siano state nell’ultimo secolo prevalentemente conformate all’abitante tipo, assunto come modello di riferimento: maschio, autosufficiente, automobilista.
Col tempo si è compreso, invece, che l’abitante tipo più che essere un modello universale è un modello univoco, che rende difficile valutare e cogliere le esigenze di un’ampia fascia di popolazione che, per età, mobilità o abilità, non si conforma a quello standard. Infatti, se si allarga lo sguardo a come le persone fruiscono degli spazi e alle loro esigenze si scopre come il modello assunto, lungi dall’essere universale, ne ha, invece, escluso molti altri:
• gli anziani con le proprie esigenze di mobilità e di socializzazione, che sono sempre più numerosi nel nostro paese, a elevato processo d’invecchiamento;
• i bambini, le mamme in attesa, le persone che spingono passeggini, le donne, la cui mobilità è composta da una maggiore pedonalità e da un più frequente uso dei mezzi pubblici;
• le persone con ridotte capacità motorie o sensoriali, sia temporanee che permanenti, le cui esigenze richiedono una particolare cura nella progettazione dello spazio pubblico.
La “Progettazione universale” (o “Universal design”) è stata definita dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità come: «(…) la progettazione di prodotti, ambienti, programmi e servizi usabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate. La “progettazione universale” non esclude dispositivi di sostegno per particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari ». (L. 18/2009, di ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006).
La Progettazione universale applica un cambio culturale nel processo progettuale e nella gestione delle comunità urbane, perché considera l’accessibilità ai luoghi come un elemento che riguarda tutti, favorisce la possibilità di ognuno di muoversi e abitare gli spazi in modo autonomo e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita. È inclusiva perché tiene conto delle specificità ed esigenze della più ampia pluralità di soggetti, diversi tra loro per capacità percettive, sensoriali, cognitive o anche culturali (si pensi ad esempio ai migranti). Richiede il coinvolgimento dei destinatari in ogni fase del processo. È tale perché non progetta spazi distinti e separati per esigenze specifiche, non realizza percorsi diversi, paralleli a quelli degli altri, ma spazi realmente integrati e accessibili a chiunque, qualunque sia la condizione e il momento di vita in cui ci si trovi, al fine di individuare soluzioni sempre valide.
Inoltre l’approccio inclusivo ha implicazioni sociali positive e vantaggi competitivi ed economici, poiché, nel realizzare spazi pubblici sicuri e accoglienti e nel costruire reti di mobilità fruibili, migliora l’attrattività e bellezza delle città, anche sul piano turistico. I Piani per la mobilità sostenibile e i Piani per l’abbattimento delle barriere architettoniche possono costituire, quindi, anche una buona opportunità per rilanciare l’attrattività dei territori e promuoverne l’economia e il turismo.
In questa ottica le politiche promosse dalle istituzioni europee e italiane mirano a coinvolgere i cittadini e i responsabili politici e istituzionali per favorire buone pratiche e modelli di mobilità sostenibili e inclusivi, con un approccio multisettoriale e interdisciplinare. Argomento e tematiche che saranno sempre più presenti nelle politiche europee e sempre più incentivati con programmi di finanziamento. Uno degli strumenti più efficaci messi in campo dalla Commissione Europea, in questo settore, è il premio Access city award, un premio per la mobilità rivolto alle città europee con oltre 50.000 abitanti, per attuare iniziative di accessibilità negli spazi urbani che siano esempio per altre realtà. Istituito nel 2010 si è dimostrato nel tempo estremamente incisivo nelle città che si sono candidate, sia per il miglioramento della qualità urbana sia come promozione e diffusione di buone prassi.
Anche nel nostro paese sono state promosse politiche di accessibilità e inclusività, soprattutto partendo dalle singole comunità locali, a seguito dell’obbligo di elaborazione e approvazione dei PEBA, Piani per la eliminazione delle barriere architettoniche, istituiti con la Legge 41/1986 e integrati dalla successiva Legge 104/1992, che hanno l’obiettivo di monitorare, pianificare e coordinare gli interventi di superamento delle barriere architettoniche presenti nei territori. Oppure dall’approvazione dei PUMS, Piani urbani per la mobilità sostenibile, di coordinamento delle politiche e degli strumenti di piano del settore, relativi a trasporti, urbanistica, ambiente, servizi sociali, ecc.. Tuttavia sono iniziative locali, legate ai singoli territori per rispondere a esigenze specifiche, che non fanno sistema né si coordinano tra loro.
Una importante iniziativa, invece, che sostiene e raccorda la pianificazione comunale, dando indirizzi di merito, è stata promossa dalla Regione Lombardia nel 2021, con l’approvazione delle Linee Guida per la redazione dei PEBA, rinominati nel documento Piani per l’accessibilità e usabilità dell’ambiente costruito, inclusione sociale e benessere ambientale. Un cambio di denominazione che segna anche un avanzamento culturale, poiché allarga lo sguardo ai principi della progettazione universale. Le Linee guida della Regione Lombardia costituiscono oggi uno dei migliori riferimenti in materia e approfondiscono sostanzialmente tre aspetti: la conformazione dell’ambiente fisico, la mobilità pubblica e l’accesso all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di comunicazione dei servizi aperti o forniti al pubblico. Sebbene non esista una ricetta o un approccio adatto a tutte le comunità urbane e adeguato a tutti i luoghi, e poiché la sola eliminazione delle barriere architettoniche risulta un intervento riduttivo, esaminare le iniziative messe in campo da alcune città europee è utile sia come esempio di buone prassi, sia per far emergere la ricchezza delle proposte messe in campo nella complessità e specificità dei singoli contesti urbani. Infatti le amministrazioni che si sono date l’obiettivo di rendere i propri spazi fruibili e sicuri, hanno messo in opera più attività integrate sinergicamente tra loro.
Ad esempio, alcune amministrazioni sono intervenute rafforzando il sistema della gestione e delle politiche, tramite l’istituzione di uffici che possano monitorare costantemente le criticità e l’efficacia delle soluzioni messe in campo e di servizi che agevolino la mobilità in città.


La città spagnola di Avila ha istituito un Dipartimento per l’accessibilità, che si occupa di gestire e migliorare l’accessibilità degli edifici pubblici, grazie anche a una programmazione urbana avviata sin dal 2002 in stretta collaborazione con le associazioni delle persone con disabilità e degli anziani.
Göteborg, in Svezia ha, invece, costituito un “Inventario di tutti gli edifici e degli spazi pubblici urbani”, uno strumento utile a monitorare il quadro delle esigenze del proprio contesto urbano, con l’obiettivo di eliminare progressivamente le barriere architettoniche presenti nella città e di migliorarne l’accessibilità.
L’amministrazione della olandese Breda, nella stessa ottica dei precedenti esempi, ha fondato la piattaforma “Breda per tutti” che riunisce periodicamente i rappresentanti della città nel settore sia del turismo che dell’istruzione con i rappresentanti delle organizzazioni per la disabilità, con l’obiettivo di trovare soluzioni di volta in volta efficaci.
Infine Lione, in Francia, ha realizzato il servizio “Optiguide” con assistenti che fanno da guida a turisti e cittadini con disabilità con un servizio di accompagnamento porta a porta. Ad esso ha poi affiancato la Guida alla cultura accessibile, redatta assieme alle associazioni culturali che operano in città e che hanno sottoscritto un impegno all’applicazione dei principi dell’accessibilità universale alle proprie manifestazioni culturali.
Altre città hanno invece promosso investimenti diretti sulla trasformazione degli spazi e degli edifici pubblici “barrier-free”. Tra esse Milano, che ha reso i propri impianti sportivi accessibili a tutti, con significativi interventi di riqualificazione e miglioramento (ad esempio le piscine pubbliche dispongono di sollevatori ai lati delle vasche). Anche i parchi e le aree gioco sono stati riprogettati in chiave dell’accessibilità.
Inoltre, il comune ha incentivato la realizzazione di camere d’albergo con dimensioni e servizi adatti alle persone in carrozzella. La cittadina svedese di Borås si è data l’obiettivo dell’autosufficienza delle persone con disabilità e ha adottato standard sull’accessibilità che vanno oltre la normativa vigente nel paese, inoltre ha erogato contributi per l’abbattimento delle barriere architettoniche anche nelle abitazioni private.
Infine, molte amministrazioni hanno rafforzato il sistema della mobilità e della intermodalità senza barriere, che costituisce una delle strategie cardine per superare la dipendenza dall’automobile e per ottenere l’autosufficienza dei soggetti più fragili.
La città di Chester, una delle più antiche del Regno Unito, ha affrontato il tema dell’eredità del proprio centro storico, i cui spazi non erano adatti alla completa fruizione di anziani e disabili, con una serie di interventi discreti e mirati di modifica dell’ambiente costruito, ma soprattutto ha trovato soluzioni alla completa fruibilità della parte storica della città nel sistema di gestione della mobilità inteso come pianificazione per l’accessibilità: ha previsto l’obbligo per tutti i taxi di essere accessibili alle sedie a rotelle e ha dotato la propria flotta di autobus di rampe estensibili. Il sito web della città offre una guida che permette di pianificare gli spostamenti in città. Si è dotata, inoltre, di servizi igienici pubblici con spogliatoio per le persone con esigenze legate a disabilità gravi o complesse.
A Bergamo, che con Brescia è capitale italiana della cultura nel 2023, ogni anno viene organizzata “Millegradini” una camminata non competitiva che si svolge da oltre dieci anni tra i vicoli di Città Alta. Ad essa si è affiancata successivamente la “Zerogradini”, una iniziativa che permette alle persone con disabilità o con ridotta funzionalità motoria di esplorare gli spazi della città antica, altrimenti non visitabili, accompagnati da volontari con pullmini oppure con le carrozzine Jolette, sedie mono-ruota trainate a mano. Nell’ambito dell’iniziativa è stato istituito un finanziamento per l’abbattimento di una barriera architettonica ogni anno (che ha finanziato l’installazione di un montascale nel Teatro di Sant’Andrea e la realizzazione di una rampa di accesso al Parco della Crotta), un gradino alla volta…
Infine Berlino, che si fregia dell’appellativo di essere la più accessibile tra le capitali europee, ha promosso una legge sulla mobilità per raggiungere con mezzi pubblici, di superficie e sotterranei, in modo autonomo, anche i luoghi periferici della città, che prima erano accessibili solo con l’automobile. Ha anche istituito un sito web dedicato alle persone con disabilità motorie, sensoriali o cognitive, che permette di trovare non solo alberghi, ristoranti, bar e cinema senza barriere architettoniche, ma anche i servizi aperti al pubblico.
Nella società contemporanea in cui le relazioni tra persone sono sempre più affidate ai “social” e alla informatizzazione globalizzata, e dove si moltiplicano i “non luoghi” inadatti ad accogliere la complessità, è ancora più importante che l’architetto e l’ingegnere si riapproprino di una responsabilità civile e di conoscenze tecniche tali da incidere sulla qualità degli spazi pubblici e, quindi, sulla loro estesa fruibilità. Superando steccati culturali prima che fisici, il progettista, che immagina, definisce e controlla le trasformazioni urbane, può assumere il ruolo di artefice di una trasformazione sociale prima che fisica, verso la progettazione universale, per una migliore qualità della vita non solo di alcuni gruppi sociali fragili, ma di tutta la comunità urbana.
 

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