Covid 19, crollo dell’economia e Piano di rilancio europeo

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Nel 2020 la pandemia globale da Covid- 19 e le misure di contenimento adottate da tutti i Governi per contenerne la diffusione hanno provocato un crollo senza precedenti dell’attività produttiva, di dimensioni paragonabili a quelle di un conflitto mondiale. Gli effetti sono stati pesanti, anzitutto in termini di vite umane; sul piano sociale ed economico, l’impatto è stato altrettanto pesante, solo in parte mitigato dalle eccezionali misure di politica economica adottate, in tutti i Paesi, da Governi e Banche Centrali.
Già prima della pandemia, l’economia mondiale attraversava una fase di sensibile rallentamento del ciclo economico; il 2019 si era chiuso con una crescita al di sotto del 3%, a causa delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, prima, e poi anche con la UE, e delle incertezze legate alla Brexit. A partire da febbraio 2020 la pandemia si è diffusa rapidamente in Europa, colpendo prima l’Italia, poi tutte le altre economie e infine, con particolare intensità, gli Stati Uniti.
La progressiva chiusura delle attività produttive e il clima di incertezza sull’evoluzione della stessa pandemia ha bloccato gli investimenti delle imprese e frenato i consumi delle famiglie.
Lo shock dal lato dell’offerta e della domanda ha messo a dura prova l’economia mondiale (-3,5%). Il 2020 è stato di conseguenza un anno di forte recessione per tutte le maggiori economie; ha fatto eccezione la Cina, la prima a sperimentare la pandemia e la prima ad uscirne, anche grazie ad un efficace e rigido contenimento del virus.
Nell’area euro, la contrazione del Pil (-7,2%) è stata di gran lunga più severa rispetto agli Stati Uniti (-3,4%).
Le prospettive di crescita del 2021 sono inevitabilmente legate all’evoluzione dell’emergenza sanitaria. L’avvio della campagna di vaccinazione lascia ben sperare ma è anche vero che completare il piano di vaccinazione su larga scala richiederà tempo, con conseguenti effetti sui livelli dell’attività produttiva. Il recupero del livello di Pil pre-pandemico non potrà avvenire prima del 2022-2023.
 

 
A differenza di quanto avvenuto durante le crisi del passato, in tutte le maggiori economie la reazione di Governi e Banche Centrali è stata rapida ed eccezionale. Nell’area dell’euro, in particolare, la BCE ha introdotto misure di dimensioni straordinarie per limitare le tensioni sui mercati finanziari e garantire per quanto possibile la liquidità necessaria per famiglie e condizioni di rifinanziamento del debito estremamente vantaggiose a tutti gli Stati membri. Da parte sua, la Commissione Europea ha sospeso lo Stability and Growth Pact in modo da permettere ai Paesi membri di sostenere ampi trasferimenti pubblici e riduzioni di imposte a sostegno di famiglie e imprese.
Un passaggio importante di contrasto della crisi, che segna uno “storico” balzo in avanti della costruzione europea, è rappresentato dall’accordo raggiunto dal Consiglio europeo di costituire il Next Generation EU, cioè un fondo per favorire il rilancio dell’economia europea post-covid e garantire il benessere delle “nuove generazioni”.
Per la prima volta, l’Unione Europea coordinerà emissioni di debito comune garantite dal bilancio europeo, per circa 750 miliardi di euro. Questo strumento andrà ad aggiungersi e a rafforzare la politica di bilancio dell’UE che, fino ad oggi, era stata condotta attraverso il quadro finanziario pluriennale.
 
Next Generation EU e Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
A luglio del 2020, il Consiglio europeo ha raggiunto l’accordo per costituire il Next Generation EU.
Il programma nasce con lo scopo di accelerare la transizione dell’economia verso un modello ecosostenibile, digitale ed innovativo. L’obiettivo finale è lasciare alle future generazioni un sistema resiliente ed ecofriendly e, al tempo stesso, stimolare la crescita economica per superare la recessione causata dalla pandemia. I fondi saranno destinati alla concessione di sovvenzioni, cioè di trasferimenti a fondo perduto ( grants) per 390 miliardi di euro e di prestiti agli Stati membri per 360 miliardi di euro.
 

 
I Governi nazionali dovranno presentare alla CE, entro il 30 aprile del 2021, piani dettagliati sull’utilizzo dei fondi, indicando riforme sistemiche ed i cronoprogrammi dei singoli progetti che si intende realizzare. L’Italia è tra i maggiori beneficiari del piano di aiuti; a fronte di un contributo al Pil europeo del 13%, le risorse complessive destinate al nostro Paese sono 208,6 miliardi di euro, suddivisi in 81 miliardi di sovvenzioni e 127,6 miliardi di prestiti, circa il 28% delle risorse totali del NGEU.
 
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dell’Italia
Il Governo italiano ha trasmesso al Parlamento la Bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il testo ha ancora un carattere preliminare e, di conseguenza, alcuni passaggi sono descritti in maniera generica e saranno modificati prima dell’invio ufficiale alla Commissione europea. Allo stato attuale, il Piano italiano ha tre obiettivi principali: i) la digitalizzazione e l’innovazione del Paese, ii) la transizione ecologica e iii) l’inclusione sociale e territoriale. Il raggiungimento di questi obiettivi avverrà tramite sei missioni, a loro volta suddivise in “componenti”.
Le sei missioni individuate sono: i) la rivoluzione verde, ii) la digitalizzazione, iii) le infrastrutture per una mobilità sostenibile, iv) l’istruzione e la ricerca, v) la parità di genere e infine vi) la salute. Ad ogni missione è stata assegnata una dotazione economica per la realizzazione degli investimenti; di queste risorse, una parte (circa 66 miliardi di euro) sarà utilizzata per il finanziamento di progetti già in essere, una parte più sostanziosa, circa 140 miliardi di euro, finanzierà spesa aggiuntiva.
La missione cui sono destinate maggiori risorse, circa 70 miliardi di euro, è la rivoluzione verde. L’Italia intensifica in questo modo il proprio impegno a far fronte ai nuovi obiettivi europei stabiliti dallo European Green Deal, con un target di riduzione delle emissioni pari al 55% entro il 2030. All’interno di questa missione, la componente principale è “l’efficienza energetica e la riqualificazione degli edifici”, che ha una dotazione di 29,55 miliardi di euro.
Obiettivo principale della missione “Digitalizzazione”, che può contare su 45,3 miliardi di euro, è l’ammodernamento della pubblica amministrazione. A tal fine, il Governo italiano ha previsto il passaggio al cloud, l’archivio immateriale che renderà più facile e veloce l’accesso e l’analisi di miliardi di dati.
 

 
La terza missione punta ad ampliare la connettività geografica del Paese e aumentare la sostenibilità ambientale dei trasporti. La maggior parte delle risorse, 28,3 miliardi di euro, è quindi destinata alla realizzazione di opere ferroviarie per la mobilità e la connessione veloce del Paese.
Il Governo italiano ha pianificato di stanziare 26,7 miliardi di euro per la missione in “Istruzione e ricerca”. L’obiettivo è di migliorare i percorsi scolastici e universitari degli studenti, ma anche rafforzare i sistemi di ricerca e la loro interazione con il mondo delle imprese; parte fondamentale di questa missione sarà la riforma strutturale del sistema scolastico con il potenziamento e l’adeguamento dell’offerta formativa.
Alla missione “Parità di genere, coesione sociale e territoriale” sono destinati 21,3 miliardi di euro con l’obiettivo di sostenere l’empowerment femminile e contrastare le discriminazioni di genere.
L’ultima missione riguarda il sistema sanitario che negli ultimi 20 anni è stato oggetto di forti tagli di fondi. La pandemia ha mostrato le carenze di un sistema scarsamente digitalizzato ma, soprattutto, estremamente frammentato e diseguale a livello territoriale. L’obiettivo del Governo italiano è potenziare la resilienza e la tempestività della sanità di prossimità, più vicina ai bisogni delle persone.
 
Fondi destinati all’edilizia e alle infrastrutture
L’obiettivo finale del Next Generation EU è quello di finanziare nuovi investimenti al fine di accelerare alcuni processi attualmente in fase embrionale. In questo contesto, una parte consistente dei fondi europei sarà destinata alla realizzazione e alla manutenzione delle infrastrutture nazionali, con gli obiettivi dichiarati di renderle più efficienti e sicure. Altro obiettivo è quello di migliorare la qualità e la sicurezza di ampie aree territoriali ed urbane del Paese. Lo scopo sarà raggiunto grazie ad interventi di prevenzione e contrasto al dissesto del territorio e interventi finalizzati a garantire una gestione efficace e integrata del ciclo dei rifiuti.
Come detto, la “Rivoluzione verde e transizione ecologica” è la missione a cui sono destinate più risorse, 66,6 miliardi di euro. Le due componenti principali sono l’efficienza energetica e la riqualificazione degli edifici, la tutela e la valorizzazione del territorio e della risorsa idrica. A queste due linee di intervento sono stati destinati, in totale, 43,8 miliardi di euro.
Alla realizzazione di infrastrutture moderne, digitalizzate e sostenibili, concorrerà parallelamente la missione “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”, cui sono destinati circa 32 miliardi di euro. La maggior parte delle risorse verrà utilizzata per la manutenzione stradale e l’ammodernamento della rete ferroviaria.
Entrando nel dettaglio delle componenti, si evidenzia come il Governo intenda stanziare 18,5 miliardi di euro per l’efficientamento energetico e sismico dell’edilizia residenziale privata e pubblica.
La proposta principale è l’estensione del superbonus al 110% per l’efficientamento energetico e la messa in sicurezza degli edifici fino al 2022. Sul fronte della tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica, vengono stanziati 6 miliardi di euro per la realizzazione di infrastrutture verdi urbane.
Un altro dei capitoli di spesa più sostanziosi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza riguarda la realizzazione di infrastrutture ferroviarie ed autostradali, per un totale di 28,3 miliardi. L’obiettivo è completare entro il 2026 la realizzazione di un sistema infrastrutturale moderno, digitalizzato e sostenibile dal punto di vista ambientale.
 
Impatto economico e criticità attuative del Piano italiano
Uno degli aspetti fondamentali del Piano è legato alle tempistiche di utilizzo delle risorse. La Commissione europea ha infatti deciso che i fondi dovranno essere spesi entro il 2026. È essenziale quindi una programmazione di spesa che permetta di accedere ai fondi nei tempi prestabiliti rispettando tutte le condizionalità. In questo senso, come già detto, la proposta presentata dal Governo italiano è ancora in fase preliminare; per molti progetti manca un cronoprogramma specifico che descriva i tempi attuativi ma anche come essi incideranno sulle criticità segnalate dalle Raccomandazioni specifiche emanate dal Consiglio europeo nei confronti del nostro Paese.
Indicativamente la proposta del PNRR presentata dal Governo, si prevede che nel triennio 2021-2023 verranno usate risorse per un ammontare pari a 104,5 miliardi di euro. In particolare, tutti i fondi destinati all’Italia nell’ambito del Piano React EU, vale a dire 13,5 miliardi di euro, verranno usati nel triennio. Dei 193 miliardi di euro del Dispositivo di Ripresa e Resilienza, è previsto invece l’utilizzo di 88 miliardi nei primi tre anni. Di questi, 52,4 saranno sovvenzioni mentre i restanti saranno prestiti. Nel secondo triennio, tra il 2024 ed il 2026, l’Italia dovrebbe quindi utilizzare i fondi rimanenti, pari a circa 104 miliardi di euro, per la maggior parte prestiti da parte dell’Unione Europea.
 


 
 
Non tutte le risorse verranno utilizzate per investimenti aggiuntivi. Si prevede infatti di utilizzare circa 144,2 miliardi di euro per il finanziamento di investimenti additivi rispetto all’evoluzione prevista della spesa pubblica a legislazione vigente. Tutto l’importo delle sovvenzioni sarà utilizzato per nuovi investimenti. Dei prestiti, invece, circa 53,5 miliardi di euro saranno utilizzati per iniziative additive, mentre per i rimanenti 66 miliardi di euro è previsto l’impiego per misure già pianificate. Più nel dettaglio, la componente principale della spesa addizionale è destinata agli investimenti pubblici. Parte dei fondi verrà invece utilizzata per incentivare gli investimenti privati mentre una parte residuale verrà impiegata per finanziare decontribuzioni e occupazione pubblica.
Le prime stime sull’impatto economico che il PNRR avrà sull’economia italiana prevedono una crescita maggiore nel medio periodo come effetto del consistente aumento della spesa pubblica nel triennio 2021-2023.
Sull’efficacia che il Piano avrà nello stimolare la crescita economica pesano però diversi fattori di rischio. In primo luogo, l’aspetto della tempistica e delle condizionalità per l’accesso ai fondi rappresenta una criticità per il sistema italiano.
Negli ultimi anni, infatti, pur evidenziando un trend in crescita, l’Italia non è riuscita ad usare più del 40% l’anno dei fondi europei a cui avrebbe avuto diritto dal 2015. Nei prossimi anni, quindi, sarà necessario individuare un sistema di governance pubblica efficiente per far sì che i fondi non restino inutilizzati. Oltre alle tempistiche, si aggiunge poi il rischio connesso alle stringenti condizionalità richieste dalla Commissione Europea.
I progetti che il Governo intende realizzare con i fondi europei non dovranno solo elencare le opere ove saranno impiegate le risorse, ma anche come queste andranno a favorire la crescita. I fondi saranno autorizzati solo se valutati in linea con gli obiettivi del Next Generation EU. Alla luce di questa condizionalità, la decisione del Governo italiano di usare una parte della dotazione del Dispositivo di Ripresa e Resilienza per progetti già in essere non è necessariamente una cattiva notizia. Per queste opere, già avanti con la progettazione, sarà più facile strutturare un impiego in linea con le linee guida della Commissione Europea.
 
Tuttavia, rispetto alle richieste degli organismi di controllo la proposta italiana presenta dei ritardi; il Piano, allo stato attuale, non affronta la tematica, innanzi citata, della governance, così come le misure di controllo e audit. Questi saranno elementi chiave per le valutazioni da parte della Commissione ed esplicitamente indicati tra gli aspetti fondamentali dei Piani nazionali in quanto dovranno impedire l’insorgere di fenomeni corruttivi e/o consentire la loro eventuale individuazione.
 

 
Quella relativa alle tempistiche e alle condizionalità non è l’unica fonte di rischio nel PNRR italiano.
Nel documento è riportato chiaramente come il piano di investimenti non sarà di per sé sufficiente a garantire una fase di crescita sostenuta nel medio periodo. La dotazione infrastrutturale è un efficace fattore di sviluppo solo in presenza di elementi strutturali, come, ad esempio, un mercato del lavoro efficiente, una pubblica amministrazione altrettanto rapida ed efficiente, un adeguato capitale umano. Il rilancio dell’economia dovrebbe essere favorito da alcune riforme, su tutte: riforma della giustizia, della pubblica amministrazione, del mercato del lavoro, dell’istruzione. In questi settori l’Italia ha accumulato un netto ritardo di efficienza nei confronti dei principali competitor europei. L’implementazione e l’efficacia delle riforme saranno i due aspetti su cui si soffermerà maggiormente la Commissione europea in fase di valutazione di conformità del PNRR dell’Italia.
 

 

 
Il Governo ha fornito delle stime preliminari sull’impatto di queste riforme. Si stima, ad esempio, che la riforma del lavoro, con un rafforzamento delle politiche attive e dei centri per l’impiego, permetterà una maggiore partecipazione al mercato del lavoro, con un conseguente aumento dell’occupazione e quindi una crescita aggiuntiva del Pil dell’1,8% nel lungo periodo.
Non sorprende che la riforma da cui sono attesi i risultati migliori sia quella dell’istruzione. Da anni i maggiori organismi economici internazionali hanno evidenziato che in Italia ci sono scarsi investimenti in capitale umano, che rappresenta un fattore cruciale per la crescita e la produttività di un Paese. In questo senso, una riforma tesa a migliorare la qualità dell’offerta formativa e a ridurre il tasso di abbandono scolastico potrebbe aumentare la quota di lavoratori a produttività medio-alta di 4,6 punti percentuali nel medio periodo, generando una crescita aggiuntiva del Pil del 2,2%. All’attuazione e implementazione delle riforme strutturali è affidato, dunque, un ruolo fondamentale nel Piano di ripresa italiano, atteso che solo in un quadro di riforme gli investimenti programmati possono garantire uno sviluppo economico tale che il Paese possa tornare a crescere in maniera sostenuta.
Per questo motivo, le sinergie tra gli interventi pubblici e l’adeguatezza delle riforme saranno oggetto di un’accurata valutazione da parte della Commissione Europea. Sul piano dello stimolo economico nel breve periodo, il PNRR prevede principalmente un aumento del Pil tramite l’aumento della domanda interna. L’obiettivo dichiarato è quello di stimolare la crescita grazie all’effetto moltiplicativo degli investimenti pubblici. I principali analisti economici hanno però sottolineato che queste misure potrebbero non essere sufficienti. Accanto a una maggiore centralità degli investimenti pubblici è infatti necessario che gli incentivi fiscali ed economici riescano a stimolare l’investimento privato, creando le sinergie di intervento necessarie a garantire una crescita stabile e finanziariamente sostenibile.
Entrando nel dettaglio delle stime preliminari del contributo alla crescita del PNRR, il Governo prevede un impatto economico graduale, con gli effetti maggiori alla fine del secondo triennio. Durante i primi due anni prevarranno i cosiddetti effetti di domanda, favoriti da una maggior spesa per investimenti. Nel medio periodo, invece, la crescita sarà trainata dallo stock di capitale che, grazie agli investimenti nei primi anni, raggiungerà livelli maggiori. Tra le componenti del Pil ci si attende quindi una robusta crescita degli investimenti, mentre consumi ed esportazioni evidenzieranno una ripresa più graduale.
Il Governo prevede che nei primi anni l’aumento degli investimenti pubblici spiazzi leggermente i consumi; nel medio periodo, tuttavia, tornerebbero a crescere a ritmi più sostenuti, grazie alla maggiore crescita dell’occupazione e quindi dei salari reali.
 

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