Sulle modalità di attribuzione degli incarichi pubblici

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* Presidente ALA-Assoarchitetti


La presa di posizione della Fondazione Inarcassa, nell’occasione della presentazione dello studio: “Dipendenti pubblici e incarichi extraistituzionali” elaborato dal Centro di ricerca “V. Bachelet” della LUISS, ci induce a ritornare sul tema degli incarichi di progettazione delle opere pubbliche.
La redazione in house dei progetti della P.A. – che è inevitabilmente accompagnata da una riduzione del servizio prestato ai cittadini - è innanzitutto una diseconomia per la finanza pubblica.
Due criticità che travalicano di gran lunga l’incidenza del pur grave danno, del quale accenneremo in conclusione, che tale redazione in house determina al comparto dei servizi professionali di architettura e d’ingegneria, nel suo insieme.
Ciò malgrado, il recente Codice dei contratti pubblici ha proseguito nel considerare (anzi nel prescrivere) tale modalità d’affidamento degli incarichi come “ordinaria”, se non come l’unica consentita: dobbiamo così esporre nuovamente le motivazioni che dimostrano come tale modalità sia dannosa proprio nei confronti dell’interesse pubblico.
Ben sappiamo che per redigere un progetto di qualità, idoneo ad essere appaltato e realizzato senza imprevisti è necessaria un’équipe interdisciplinare ben formata, aggiornata, stabile, competente, dedicata con assiduità al progetto stesso, nonché, anche a seguito delle prescrizioni di legge in materia di BIM, adeguatamente dotata di hardware e software aggiornati e potenti.
 

iStock.com/GeorgiMironi

È noto che all’interno della P.A. le competenze, la struttura, l’organizzazione e la dotazione degli uffici tecnici, fatta salva la personale buona volontà di alcuni dipendenti, non sono purtroppo quasi mai sufficienti a dotare il progetto della qualità richiesta dalle norme, dalle finalità per cui l’opera viene promossa e soprattutto dall’aspettativa sociale, che attribuisce all’opera pubblica anche la funzione di contribuire ad accrescere l’educazione civica e il senso d’appartenenza dei cittadini di tutte le condizioni sociali e di tutte le età.
Né si comprende dove le risorse interne alla P.A. possano reperire le migliaia di ore necessarie per produrre un progetto mediamente complesso, se non nell’ambito dell’orario di lavoro - ovviamente già altrimenti retribuito - e già insufficiente per l’ordinario lavoro di fornitura di servizi per la comunità, nonché per ricoprire il fondamentale ruolo di RUP e per il delicato passaggio della validazione dei progetti.
Indirizzare gli incarichi pubblici al mercato dei liberi professionisti, possibilmente mediante concorsi, acquisirebbe invece la natura di una manovra finalizzata ad ottenere la massima qualità dell’opera pubblica e a garantire il mantenimento dei servizi ai cittadini.
Una manovra tra l’altro a costo zero, dato che i fondi pubblici sarebbero i medesimi che altrimenti andrebbero indirizzati ai dipendenti della P.A. e che sarebbe positiva anche sotto il profilo dell’etica sociale, dato che è evidentemente iniquo che con i fondi pubblici, alcuni ottengano un doppio lavoro, a scapito di altri. Ad integrazione, si consideri che l’incarico pubblico affidato a rotazione ai liberi professionisti, contribuisce alla formazione curricolare dei giovani ingegneri e architetti, la cui crescita in termini di competenze ed esperienze costituisce un futuro patrimonio nazionale indispensabile.
Infine, allargando lo sguardo agli altri Paesi d’Europa si rileva che all’interno della normale competizione economica propria dei mercati aperti, la progettazione delle opere pubbliche costituisce il normale banco di prova che consente alla struttura produttiva (della progettazione architettonica e ingegneristica) di ciascun Paese, di forgiarsi e rafforzarsi per competere sui mercati interni e internazionali.
Impedire nei fatti agli studi di progettazione italiani di mantenere strutture stabili, facendo loro concorrenza sia con i dipendenti della pubblica amministrazione, sia creando regimi fiscali che ne disincentivano le aggregazioni e la crescita organizzativa costituisce anche un danno per tutto il Paese e per la promozione di quel Made in Italy, che è uno degli obiettivi fondamentali dichiarati del Governo.

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