Il CND si rinnova. Crescono i votanti e la presenza femminile

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Nella riunione del 20 aprile, il Consiglio di amministrazione di Inarcassa ha proclamato gli eletti alla carica di delegato provinciale e ha formalizzato l’avvenuta ricostituzione del Comitato Nazionale per il quinquennio 2020/2025. Le elezioni si sono svolte su due tornate: la prima tra il 16 e il 20 marzo e la seconda tra il 6 e il 10 aprile. In questa seconda tornata elettorale, tutte le province e le categorie professionali hanno raggiunto il quorum.
Su un corpo elettorale di 164.760 architetti e ingegneri liberi professionisti, hanno votato alla prima tornata 60.809 iscritti, pari al 36,9% degli aventi diritto, mentre al termine della seconda tornata il numero complessivo di associati che hanno partecipato alla consultazione è stato di 61.469 elettori, pari al 37,3% degli aventi diritto, 29.360 architetti e 32.109 ingegneri, con un incremento del 4,9% in più rispetto alle consultazioni del 2015 quando si espressero 53.211 iscritti.
La crescita dei votanti è probabilmente merito del voto elettronico che – per la prima volta – ha determinato la composizione del Comitato nazionale dei delegati e che ha consentito alla Cassa di ridurre i costi della consultazione quinquennale.
“I colleghi hanno scelto i propri rappresentanti attraverso una partecipazione democratica mai raggiunta prima”, ha dichiarato il presidente Giuseppe Santoro. “Questo voto conferisce al prossimo Comitato nazionale dei delegati piena legittimazione ed altrettanto ampie responsabilità nella guida del futuro previdenziale di tutti noi”.
Cresce ulteriormente la presenza femminile nel Comitato nazionale. Su 233 seggi, le donne elette sono 39, pari al 17,1%, contro il 13,8% della precedente consultazione.
Molti sono i nuovi eletti. Coloro che vanno a sostituire i componenti non confermati o che vanno a occupare gli “scranni” non assegnati nella precedente consultazione, sono 71. Si tratta di un tasso di ricambio del 30,4%, inferiore alle elezioni del 2015 (37%) e in linea con il voto del 2010 (32%).
 
>> DELEGATI ELETTI CND 2020/2025
 
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Gregotti, l’architetto: “Un progetto deve sempre guardare al contesto”
Gregotti Associati, Progetto della sede della Fondazione Gian Giacomo Feltrinelli, Milano, 1981. ©Comune di Milano, CASVA   Nonostante il grande successo riscontrato in tutto il mondo, la sua vita professionale ha avuto anche qualche ombra. Due sono le opere molto controverse che hanno visto lunghi ed estenuanti dibattiti e svariate critiche: il quartiere Zen di Palermo e l’Università di Arcavacata in provincia di Cosenza. A Gregotti l’architettura italiana deve molto, soprattutto deve la sua diffusione internazionale, grazie alle sue partecipazioni a corsi e conferenze in Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti e America del sud. Ha tenuto negli anni la rotta senza ascoltare il canto delle sirene che lo invitavano a seguire le mode del momento. I suoi progetti ponevano l’arte (in tutte le sue sfaccettature) al centro. Il suo amore per la musica lo si rintraccia nel progetto del Centro Culturale di Belém, firmato con Manuel Salgado. Qui Gregotti propone un ambiente interno che reinterpreta il teatro lirico: nel volume, quasi cubico, gli ordini dei palchi si allineano su pareti che piegano ad angolo retto, smontando completamente l’idea delle “finestre” che si affacciano sulla platea del tradizionale teatro a ferro di cavallo. Sempre alla musica è “consacrata” la sua sperimentazione sugli edifici che ospitano eventi musicali realizzata con il Teatro degli Arcimboldi, immaginato per sostituire la Scala in un periodo di profonde ristrutturazioni. Se a Belém la ricerca architettonica guarda all’interno, a Milano Gregotti guarda all’esterno. L’edificio si trova in periferia e contravviene alla regola non scritta per la quale un teatro lirico debba essere al centro della città. Per questo l’architetto qui ha cercato linee che potessero connettere l’edificio al contesto ex industriale. Gregotti è stato anche un grande saggista. Tra le sue opere ricordiamo “Il territorio dell’architettura” del 1966. È considerato da molti un vero e proprio classico della letteratura dello scorso secolo nel quale l’architetto affronta aspetti pratici dell’architettura, dall’utilizzo dei materiali al rapporto dell’architettura con la geografia e con la storia. In quest’opera Gregotti sviluppa una concezione della pratica architettonica non come si farebbe in un trattato “ma piuttosto come un esercizio”, volto a definire “il campo di competenza e l’articolazione esistente tra le discipline del progetto architettonico”. Insomma, da questo libro emerge un Gregotti che vuole far dialogare la geografia con i segni architettonici, sovvertendo la metodologia della progettazione. Altra nota opera è “La città visibile” del 1991. In questo libro l’autore prende atto del cambiamento che è avvenuto nei precedenti 40 anni tra gli architetti, sempre più attenti al contesto geografico e storico, con progetti che diventano “dialogo tra l’esistente e le modifiche che farà”. Il libro si pone, attraverso esempi concreti, la domanda su come progettare una città, partendo “dalla città stessa e dalla sua storia”, pur rimanendo sempre aperta la possibilità di proporre un “nuovo stato di equilibrio”, che si basi su “riordino e chiarezza”, elementi imprescindibili in architettura.    " data-ellipsis-item="...">

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