Tasso di capitalizzazione al 4,5% sui contributi 2014 e 2015: una pietra miliare
Una delibera presa nel pieno rispetto delle norme statutarie e regolamentari. Un iter di approvazione durato 6 anni e la necessità di ricorrere al TAR per far valere il diritto all’autonomia, stabilito dalla Legge e sancito dallo Statuto. Se non si trattasse di una vicenda che ha coinvolto una “istituzione con personalità giuridica di diritto privato” che “esplica attività di diritto pubblico” a norma dell’art. 38 della Costituzione, si sarebbe tentati di intravvedervi la trama di una delle consuete vicende di ordinaria burocrazia, che ingessa i meccanismi della Pubblica Amministrazione del nostro paese.
Prologo La storia ha inizio nel 2014, quando, per la rivalutazione del montante contributivo individuale degli iscritti, che rappresenta la loro ricchezza sottoforma di risparmio nell’algoritmo che dà origine alla pensione, il Comitato Nazionale dei Delegati di Inarcassa deliberava l’applicazione di un tasso annuo di capitalizzazione superiore al minimo dell’1,5% garantito da Inarcassa. Determinazione, resa possibile dal testo regolamentare, che dispone le norme di natura previdenziale dell’Associazione e ne prevede l’adozione sulla base di un riscontro matematico, preciso e misurabile, condizionato pertanto da una verifica palese, inconfutabile. Il tasso annuo di capitalizzazione, dunque, è un fattore indipendente dalla capacità contributiva del singolo Associato, ma determinante nel calcolo della pensione, che rivela la reale ed effettiva volontà dell’Associazione di perseguire al meglio il principale compito statutario “a favore degli iscritti”.
Va ricordato, a questo proposito, che l’autonomia che caratterizza le Casse Previdenziali Private si concretizza, non soltanto nell’assenza totale di qualsiasi forma di finanziamento da parte dello Stato, ma anche nel loro sistema regolatorio di gestione e autoregolamentazione, seppur sotto la vigilanza dei Ministeri e degli altri organismi pubblici di controllo. Pertanto, sul punto in esame, dopo l’approvazione del Regolamento di Previdenza del 2012, Inarcassa non ha più come riferimento per la determinazione del tasso di capitalizzazione la variazione del PIL nazionale, ma fa riferimento al monte redditi prodotto dai suoi iscritti, come indicato all’Art. 26.2 del medesimo regolamento. “Il montante contributivo individuale al 31 dicembre di ciascun anno è costituito dalla somma dei contributi versati, rivalutati, su base composta, al 31 dicembre di ciascun anno, con esclusione della contribuzione dello stesso anno, al tasso annuo di capitalizzazione di cui al comma 6 del presente articolo”. Art. 26.6 “Il tasso annuo di capitalizzazione del montante contributivo individuale è pari alla media quinquennale del monte redditi professionali degli iscritti ad Inarcassa, con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare, con un valore minimo pari all’1,5%. “Il tasso annuo di capitalizzazione è incrementato di una quota percentuale della media quinquennale del rendimento del patrimonio di Inarcassa nella misura che, con cadenza biennale, il Comitato Nazionale dei Delegati delibera, su proposta del Consiglio di Amministrazione, nel rispetto dell’equilibrio di lungo periodo del sistema previdenziale di INARCASSA”.
L’origine Così, nella r iunione del Comitato Nazionale dei Delegati del 9-10 ottobre 2014, l’assemblea deliberava una rivalutazione del 3% oltre il minimo, portando il tasso di capitalizzazione per il biennio 2014-2015 al 4,5%. La decisione, di natura straordinaria, discendeva da due elementi di valutazione inoppugnabili.
In primo luogo, il dato numerico del rendimento del patrimonio. La verifica condotta sul valore medio registrato nel quinquennio precedente l’anno da rivalutare, con il necessario supporto della valutazione attuariale, permetteva di destinare una quota aggiuntiva al tasso minimo di capitalizzazione di un’entità tale da scongiurare effetti negativi sulla sostenibilità di Inarcassa nel lungo periodo.
In secondo luogo, la delicata situazione economico- professionale e la conseguente previsione futura delle prestazioni previdenziali degli iscritti, attesa al ribasso.
Un’ attenzione doverosa, quella mostrata dai Delegati verso una condizione che, sulla scia della crisi finanziaria del 2008, ha penalizzato in modo tangibile la categoria dei liberi professionisti che operano nel settore edilizio, sia pubblico che privato; ma, che si è evidenziata in particolar modo anche nell’ambito delle infrastrutture e dei servizi, con un drastico abbattimento dell’attività e dei conseguenti proventi per tutta la categoria.
Una valutazione attenta ad entrambi i fattori, non poteva che riflettersi nell’assunzione di un provvedimento mirato, in grado di incidere positivamente nel lungo periodo e tale da assicurare un aumento delle prestazioni previdenziali, indotto dall’effetto moltiplicatore che si innesca sulla quota contributiva. Il riflesso prodotto, che interesserà minimamente le pensioni in essere, si rileverà con maggiore evidenza sui trattamenti che saranno erogati agli attuali giovani iscritti per garantire l’adeguatezza delle prestazioni future, interamente contributive. L’attenzione è rivolta prevalentemente a loro, che in generale subiscono maggiormente le ripercussioni che una ridotta capacità reddituale determina sugli apporti contributivi e, in ultima analisi, sulla crescita dei montanti, se è non sostenuta per quanto possibile da una adeguata capitalizzazione.
Il diniego Nonostante il rispetto dei vincoli normativi e la salvaguardia dei principi di sostenibilità del sistema previdenziale, la delibera non otteneva l’approvazione da parte dei Ministeri Vigilanti, che nel giugno 2015, contestavano la validità del provvedimento, ponendo all’attenzione due diversi rilievi. Con il primo si metteva in evidenza come, nel quinquennio precedente l’anno da rivalutare, dal 2009 al 2013, il monte redditi della categoria avesse fatto registrare una dinamica sfavorevole, con un decremento pari al -1,9%. Fattore che, di per sé, secondo il parere ministeriale, faceva risultare soddisfacente l’applicazione della percentuale minima dell’1,5%, ritenuta, pertanto, la scelta più opportuna.
Di natura squisitamente formale, invece, era stata la seconda motivazione, posta alla base del diniego, nella misura in cui si contestava il riferimento al risultato del Bilancio Preventivo e non piuttosto al dato reale dei redditi della categoria riferito al 2013, ultimo anno del quinquennio precedente l’anno da rivalutare, che si sarebbe potuto determinare soltanto dal Bilancio Consuntivo 2014.
Successivamente alla formalizzazione del diniego del giugno 2015, nel contesto dell’approvazione del Bilancio Consuntivo 2014, che recepiva quindi il dato definitivo dei redditi 2013, nell’assemblea dell’11 e 12 giugno 2015, il Comitato Nazionale dei Delegati poteva confutare la contestazione formale del Ministero e, pertanto, riadottava con voto unanime la precedente delibera, che fissava al 4,5% il tasso di capitalizzazione del monte redditi per il 2014 e il 2015.
L’espressione unitaria del voto assembleare sottolineava, così, la determinazione del CND nel rafforzare la scelta portata avanti collegialmente, con l’intento di affermare il primato dell’autonomia gestionale di Inarcassa in nome della propria personalità giuridica di diritto privato, nel rispetto delle garanzie che comporta l’espletamento di un’attività di interesse pubblico.
In questo senso, è opportuno rilevare il dato significativo fatto registrare dal Bilancio Consuntivo 2014, rappresentato da un avanzo economico pari a 901,6 milioni di euro, che portava il patrimonio netto di Inarcassa a 8,2 miliardi di euro; un risultato di tutto riguardo, nonostante la prolungata crisi recessiva. Un traguardo che confermava la solidità dell’Ente e acquisiva peso ancora maggiore, alla luce delle motivazioni addotte dai Ministeri, su cui basare il diniego al provvedimento assunto dall’Associazione. Una valutazione da cui traspariva un’incertezza nei confronti della capacità di Inarcassa di garantire l’equilibrio del patrimonio nel lungo periodo, che a ben vedere si può considerare del tutto ingiustificata.
La conferma
Ma, ancora una volta, i Ministeri vigilanti non approvavano la delibera adottata e, dopo oltre un anno, a settembre 2016 “ribadivano i rilievi già formalizzati” in particolare il fatto che, per la stabilità di lungo periodo dei regimi a ripartizione, la rivalutazione dei contributi deve essere in linea con il tasso di variazione della base contributiva, quindi il riconoscimento di un tasso di capitalizzazione dell’1,5% (tasso minimo di capitalizzazione) rispetto alla sfavorevole dinamica del monte redditi (-1,9 %, che già comporta una deviazione del 3,6 per cento rispetto al tasso di equilibrio e, per essere compensata, tale deviazione richiede l’impiego di risorse aggiuntive diverse dalla contribuzione”. In sostanza, sembra che non si volesse riconoscere la capacità di Inarcassa di ottenere risorse ragguardevoli anche dai rendimenti del patrimonio e dal contributo integrativo, con il conseguente incremento del patrimonio, che non è legato implicitamente al corso dei redditi professionali e, in ultima analisi, al regime di variazione della base contributiva. Inoltre, occorre rilevare che, nell’occasione, da parte dei Ministeri non venivano avanzati dubbi o rilievi sulla solidità della Cassa, dimostrata peraltro dalle proiezioni del consulente attuario; ma, si esplicitavano soltanto ragioni di opportunità, che avrebbero dovuto indurre a limitare la rivalutazione dei contributi all’incremento automatico dell’1,5% e queste motivazioni di opportunità erano “ritenute sufficienti per non approvare l’incremento del tassi di capitalizzazione del 3%”, deliberato dal CND.
L’onere della prova Ferma restando la piena condivisione delle considerazioni espresse dai Ministeri sui criteri di equilibrio nel lungo periodo, che devono porsi a base della stabilità dei sistemi a ripartizione, su cui si fondano anche i princìpi dell’ordinamento di Inarcassa, veniva ampiamente documentato il “possesso di un buon grado di capitalizzazione” dopo le riforme del 2008 e 2012. Una condizione che “consente ampi margini di utilizzo di parte dei rendimenti, senza compromettere la sostenibilità di lungo periodo; infatti, da parte di Inarcassa, veniva fatto osservare che: l’aumento è limitato al biennio 2014-15; i montanti oggetto di rivalutazione interessano i primi anni di applicazione del metodo contributivo, pertanto sono di importo modesto; l’opportunità del provvedimento, volto a favorire un maggiore ritorno pensionistico, è motivata dalla gravità e dal protrarsi della crisi economica; le analisi dell’impatto che la misura induce sulla sostenibilità, condotta attraverso le verifiche di natura attuariale, mostrano effetti estremamente modesti.
Più in dettaglio, veniva inviata ai Ministeri l’analisi che documentava il calcolo del maggior onere derivante dal riconoscimento sui montanti contributivi individuali nelle due ipotesi, con applicazione del tasso minimo dell’1,5% e del 4,5%, affidato al Consulente Attuario che ha curato il Bilancio Tecnico dell’Ente, al 2012 e al 2014. Dal raffronto dei risultati, con la descrizione puntuale negli elaborati dei calcoli della riserva matematica nei due scenari, emergeva un incremento del debito per Inarcassa rispettivamente di 125,3 mln €, con il riconoscimento a montante del tasso minimo e di 126,8 mln € per il successivo incremento del 3%, una variazione corrispondente all’1,2%.
Va rilevato, come si sottolineava nella nota esplicativa, che l’ importo dei rendimenti del patrimonio netto nel biennio 2014-15 fosse risultato pari a 356,5 milioni di euro, entità tale da garantire la copertura del maggior onere calcolato e si rendesse ancora disponibile una quota di rendimento di oltre 100 milioni di euro, che contribuiva ad incrementare il patrimonio dell’Ente, che nei 50 anni dell’orizzonte attuariale, sarebbe rimasta superiore al tasso di inflazione di lungo periodo. Fattore affatto trascurabile, nelle valutazioni del patrimonio di lungo periodo, in termini reali; anche in riferimento agli anni in cui si prevede una fase di negatività del Saldo Previdenziale (2040- 2055), nella quale raggiunge il livello minimo di crescita, stimato al 2,4% (2049). Si dimostrava così, ai Ministeri, la sostenibilità del sistema previdenziale di Inarcassa con l’adozione di un tasso di capitalizzazione superiore al minimo, applicata al biennio 2014-15, alla prova dell’equilibrio di Bilancio di lungo periodo. Più in particolare, si delineavano con il medesimo minimo impatto gli altri fattori di controllo, in termini attuariali: il rapporto Patrimonio/ Spesa pensionistica, stimato in riduzione dello 0,3% dal 12,8 al 12,5% nell’ipotesi di applicazione del 3% aggiuntivo e la conservazione del margine di copertura della Riserva Legale, ampiamente superiore alle 5 annualità delle prestazioni in essere.
L’extrema ratio Sulla base della legittimità del provvedimento adottato e della sua comprovata copertura finanziaria, in ottemperanza al dettato statutario e nel rispetto dell’equilibrio di lungo termine, nel 2017 Inarcassa presentava ricorso al TAR Lazio al diniego opposto al provvedimento da parte degli Organi vigilanti. Una decisione forzata, ma necessaria, per ristabilire i principi istituzionali di autonomia dell’Ente all’interno del perimetro costituzionale. Il consulente nominato dal Tribunale concludeva il suo mandato, confermando la legittimità della misura adottata, verificandone la congruità rispetto all’affidabilità rappresentata dalla consistenza patrimoniale, su cui può contare l’Associazione e sulle potenzialità manifestate dal punto di vista del suo rendimento.
L’epilogo sperato La sentenza del TAR Lazio n. 9987, datata 1° ottobre 2020, ha accolto il ricorso di Inarcassa, giudicando illegittimo il diniego dei Ministeri vigilanti all’aumento del tasso di capitalizzazione al 4,5%. Il Giudice amministrativo - confermando le motivazioni riportate su analoga decisione, che ha riconosciuto nel 2019 il diritto dell’Associazione a ridurre le sanzioni agli iscritti - ha ribadito che il potere di Vigilanza si esaurisce nel verificare se l’ente previdenziale “non assuma iniziative tali da compromettere il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, nel rispetto dell’autonomia dell’Ente” e di conseguenza è volto ad accertare se l’aumento del tasso di capitalizzazione sia tale da compromettere l’equilibrio di lungo periodo del sistema previdenziale senza sconfinare in ulteriori considerazioni sul merito delle scelte adottate.
Una pietra miliare Si tratta, evidentemente, anche di un riferimento rilevante, che “ribadisce il principio di autodeterminazione delle Casse privatizzate a cui sono attribuite le prerogative sulle scelte di politica previdenziale dei propri associati. Il potere di vigilanza dei Ministeri deve limitarsi a valutare la compatibilità di tali scelte sotto il profilo di sostenibilità di lungo periodo e la coerenza ai principi costituzionali (adeguatezza, equità, solidarietà), senza entrare nel merito della tipologia dell’intervento o delle singole misure adottate per il raggiungimento dello scopo perseguito.”.
Oggi, raggiunto il traguardo del percorso pluriennale intrapreso e decorso il termine per proporre ricorso in appello al Consiglio di Stato, avverso la sentenza del TAR Lazio, la conclusione positiva dell’iter di approvazione ha reso definitivo il provvedimento del Giudice Amministrativo, con il conseguente avvio della fase operativa, per rendere efficace l’applicazione della procedura di ricalcolo dei trattamenti già liquidati da Inarcassa, in favore degli iscritti e dei relativi superstiti, per i diritti conseguiti a partire dal mese di gennaio 2015 (decorrenza 1° febbraio 2015). La rivalutazione interessa anche eventuali quote di supplemento liquidate dal 2015. ■
Prologo La storia ha inizio nel 2014, quando, per la rivalutazione del montante contributivo individuale degli iscritti, che rappresenta la loro ricchezza sottoforma di risparmio nell’algoritmo che dà origine alla pensione, il Comitato Nazionale dei Delegati di Inarcassa deliberava l’applicazione di un tasso annuo di capitalizzazione superiore al minimo dell’1,5% garantito da Inarcassa. Determinazione, resa possibile dal testo regolamentare, che dispone le norme di natura previdenziale dell’Associazione e ne prevede l’adozione sulla base di un riscontro matematico, preciso e misurabile, condizionato pertanto da una verifica palese, inconfutabile. Il tasso annuo di capitalizzazione, dunque, è un fattore indipendente dalla capacità contributiva del singolo Associato, ma determinante nel calcolo della pensione, che rivela la reale ed effettiva volontà dell’Associazione di perseguire al meglio il principale compito statutario “a favore degli iscritti”.
Va ricordato, a questo proposito, che l’autonomia che caratterizza le Casse Previdenziali Private si concretizza, non soltanto nell’assenza totale di qualsiasi forma di finanziamento da parte dello Stato, ma anche nel loro sistema regolatorio di gestione e autoregolamentazione, seppur sotto la vigilanza dei Ministeri e degli altri organismi pubblici di controllo. Pertanto, sul punto in esame, dopo l’approvazione del Regolamento di Previdenza del 2012, Inarcassa non ha più come riferimento per la determinazione del tasso di capitalizzazione la variazione del PIL nazionale, ma fa riferimento al monte redditi prodotto dai suoi iscritti, come indicato all’Art. 26.2 del medesimo regolamento. “Il montante contributivo individuale al 31 dicembre di ciascun anno è costituito dalla somma dei contributi versati, rivalutati, su base composta, al 31 dicembre di ciascun anno, con esclusione della contribuzione dello stesso anno, al tasso annuo di capitalizzazione di cui al comma 6 del presente articolo”. Art. 26.6 “Il tasso annuo di capitalizzazione del montante contributivo individuale è pari alla media quinquennale del monte redditi professionali degli iscritti ad Inarcassa, con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare, con un valore minimo pari all’1,5%. “Il tasso annuo di capitalizzazione è incrementato di una quota percentuale della media quinquennale del rendimento del patrimonio di Inarcassa nella misura che, con cadenza biennale, il Comitato Nazionale dei Delegati delibera, su proposta del Consiglio di Amministrazione, nel rispetto dell’equilibrio di lungo periodo del sistema previdenziale di INARCASSA”.
L’origine Così, nella r iunione del Comitato Nazionale dei Delegati del 9-10 ottobre 2014, l’assemblea deliberava una rivalutazione del 3% oltre il minimo, portando il tasso di capitalizzazione per il biennio 2014-2015 al 4,5%. La decisione, di natura straordinaria, discendeva da due elementi di valutazione inoppugnabili.
In primo luogo, il dato numerico del rendimento del patrimonio. La verifica condotta sul valore medio registrato nel quinquennio precedente l’anno da rivalutare, con il necessario supporto della valutazione attuariale, permetteva di destinare una quota aggiuntiva al tasso minimo di capitalizzazione di un’entità tale da scongiurare effetti negativi sulla sostenibilità di Inarcassa nel lungo periodo.
In secondo luogo, la delicata situazione economico- professionale e la conseguente previsione futura delle prestazioni previdenziali degli iscritti, attesa al ribasso.
Un’ attenzione doverosa, quella mostrata dai Delegati verso una condizione che, sulla scia della crisi finanziaria del 2008, ha penalizzato in modo tangibile la categoria dei liberi professionisti che operano nel settore edilizio, sia pubblico che privato; ma, che si è evidenziata in particolar modo anche nell’ambito delle infrastrutture e dei servizi, con un drastico abbattimento dell’attività e dei conseguenti proventi per tutta la categoria.
Una valutazione attenta ad entrambi i fattori, non poteva che riflettersi nell’assunzione di un provvedimento mirato, in grado di incidere positivamente nel lungo periodo e tale da assicurare un aumento delle prestazioni previdenziali, indotto dall’effetto moltiplicatore che si innesca sulla quota contributiva. Il riflesso prodotto, che interesserà minimamente le pensioni in essere, si rileverà con maggiore evidenza sui trattamenti che saranno erogati agli attuali giovani iscritti per garantire l’adeguatezza delle prestazioni future, interamente contributive. L’attenzione è rivolta prevalentemente a loro, che in generale subiscono maggiormente le ripercussioni che una ridotta capacità reddituale determina sugli apporti contributivi e, in ultima analisi, sulla crescita dei montanti, se è non sostenuta per quanto possibile da una adeguata capitalizzazione.
Il diniego Nonostante il rispetto dei vincoli normativi e la salvaguardia dei principi di sostenibilità del sistema previdenziale, la delibera non otteneva l’approvazione da parte dei Ministeri Vigilanti, che nel giugno 2015, contestavano la validità del provvedimento, ponendo all’attenzione due diversi rilievi. Con il primo si metteva in evidenza come, nel quinquennio precedente l’anno da rivalutare, dal 2009 al 2013, il monte redditi della categoria avesse fatto registrare una dinamica sfavorevole, con un decremento pari al -1,9%. Fattore che, di per sé, secondo il parere ministeriale, faceva risultare soddisfacente l’applicazione della percentuale minima dell’1,5%, ritenuta, pertanto, la scelta più opportuna.
Di natura squisitamente formale, invece, era stata la seconda motivazione, posta alla base del diniego, nella misura in cui si contestava il riferimento al risultato del Bilancio Preventivo e non piuttosto al dato reale dei redditi della categoria riferito al 2013, ultimo anno del quinquennio precedente l’anno da rivalutare, che si sarebbe potuto determinare soltanto dal Bilancio Consuntivo 2014.
Successivamente alla formalizzazione del diniego del giugno 2015, nel contesto dell’approvazione del Bilancio Consuntivo 2014, che recepiva quindi il dato definitivo dei redditi 2013, nell’assemblea dell’11 e 12 giugno 2015, il Comitato Nazionale dei Delegati poteva confutare la contestazione formale del Ministero e, pertanto, riadottava con voto unanime la precedente delibera, che fissava al 4,5% il tasso di capitalizzazione del monte redditi per il 2014 e il 2015.
L’espressione unitaria del voto assembleare sottolineava, così, la determinazione del CND nel rafforzare la scelta portata avanti collegialmente, con l’intento di affermare il primato dell’autonomia gestionale di Inarcassa in nome della propria personalità giuridica di diritto privato, nel rispetto delle garanzie che comporta l’espletamento di un’attività di interesse pubblico.
In questo senso, è opportuno rilevare il dato significativo fatto registrare dal Bilancio Consuntivo 2014, rappresentato da un avanzo economico pari a 901,6 milioni di euro, che portava il patrimonio netto di Inarcassa a 8,2 miliardi di euro; un risultato di tutto riguardo, nonostante la prolungata crisi recessiva. Un traguardo che confermava la solidità dell’Ente e acquisiva peso ancora maggiore, alla luce delle motivazioni addotte dai Ministeri, su cui basare il diniego al provvedimento assunto dall’Associazione. Una valutazione da cui traspariva un’incertezza nei confronti della capacità di Inarcassa di garantire l’equilibrio del patrimonio nel lungo periodo, che a ben vedere si può considerare del tutto ingiustificata.
La conferma
Ma, ancora una volta, i Ministeri vigilanti non approvavano la delibera adottata e, dopo oltre un anno, a settembre 2016 “ribadivano i rilievi già formalizzati” in particolare il fatto che, per la stabilità di lungo periodo dei regimi a ripartizione, la rivalutazione dei contributi deve essere in linea con il tasso di variazione della base contributiva, quindi il riconoscimento di un tasso di capitalizzazione dell’1,5% (tasso minimo di capitalizzazione) rispetto alla sfavorevole dinamica del monte redditi (-1,9 %, che già comporta una deviazione del 3,6 per cento rispetto al tasso di equilibrio e, per essere compensata, tale deviazione richiede l’impiego di risorse aggiuntive diverse dalla contribuzione”. In sostanza, sembra che non si volesse riconoscere la capacità di Inarcassa di ottenere risorse ragguardevoli anche dai rendimenti del patrimonio e dal contributo integrativo, con il conseguente incremento del patrimonio, che non è legato implicitamente al corso dei redditi professionali e, in ultima analisi, al regime di variazione della base contributiva. Inoltre, occorre rilevare che, nell’occasione, da parte dei Ministeri non venivano avanzati dubbi o rilievi sulla solidità della Cassa, dimostrata peraltro dalle proiezioni del consulente attuario; ma, si esplicitavano soltanto ragioni di opportunità, che avrebbero dovuto indurre a limitare la rivalutazione dei contributi all’incremento automatico dell’1,5% e queste motivazioni di opportunità erano “ritenute sufficienti per non approvare l’incremento del tassi di capitalizzazione del 3%”, deliberato dal CND.
L’onere della prova Ferma restando la piena condivisione delle considerazioni espresse dai Ministeri sui criteri di equilibrio nel lungo periodo, che devono porsi a base della stabilità dei sistemi a ripartizione, su cui si fondano anche i princìpi dell’ordinamento di Inarcassa, veniva ampiamente documentato il “possesso di un buon grado di capitalizzazione” dopo le riforme del 2008 e 2012. Una condizione che “consente ampi margini di utilizzo di parte dei rendimenti, senza compromettere la sostenibilità di lungo periodo; infatti, da parte di Inarcassa, veniva fatto osservare che: l’aumento è limitato al biennio 2014-15; i montanti oggetto di rivalutazione interessano i primi anni di applicazione del metodo contributivo, pertanto sono di importo modesto; l’opportunità del provvedimento, volto a favorire un maggiore ritorno pensionistico, è motivata dalla gravità e dal protrarsi della crisi economica; le analisi dell’impatto che la misura induce sulla sostenibilità, condotta attraverso le verifiche di natura attuariale, mostrano effetti estremamente modesti.
Più in dettaglio, veniva inviata ai Ministeri l’analisi che documentava il calcolo del maggior onere derivante dal riconoscimento sui montanti contributivi individuali nelle due ipotesi, con applicazione del tasso minimo dell’1,5% e del 4,5%, affidato al Consulente Attuario che ha curato il Bilancio Tecnico dell’Ente, al 2012 e al 2014. Dal raffronto dei risultati, con la descrizione puntuale negli elaborati dei calcoli della riserva matematica nei due scenari, emergeva un incremento del debito per Inarcassa rispettivamente di 125,3 mln €, con il riconoscimento a montante del tasso minimo e di 126,8 mln € per il successivo incremento del 3%, una variazione corrispondente all’1,2%.
Va rilevato, come si sottolineava nella nota esplicativa, che l’ importo dei rendimenti del patrimonio netto nel biennio 2014-15 fosse risultato pari a 356,5 milioni di euro, entità tale da garantire la copertura del maggior onere calcolato e si rendesse ancora disponibile una quota di rendimento di oltre 100 milioni di euro, che contribuiva ad incrementare il patrimonio dell’Ente, che nei 50 anni dell’orizzonte attuariale, sarebbe rimasta superiore al tasso di inflazione di lungo periodo. Fattore affatto trascurabile, nelle valutazioni del patrimonio di lungo periodo, in termini reali; anche in riferimento agli anni in cui si prevede una fase di negatività del Saldo Previdenziale (2040- 2055), nella quale raggiunge il livello minimo di crescita, stimato al 2,4% (2049). Si dimostrava così, ai Ministeri, la sostenibilità del sistema previdenziale di Inarcassa con l’adozione di un tasso di capitalizzazione superiore al minimo, applicata al biennio 2014-15, alla prova dell’equilibrio di Bilancio di lungo periodo. Più in particolare, si delineavano con il medesimo minimo impatto gli altri fattori di controllo, in termini attuariali: il rapporto Patrimonio/ Spesa pensionistica, stimato in riduzione dello 0,3% dal 12,8 al 12,5% nell’ipotesi di applicazione del 3% aggiuntivo e la conservazione del margine di copertura della Riserva Legale, ampiamente superiore alle 5 annualità delle prestazioni in essere.
L’extrema ratio Sulla base della legittimità del provvedimento adottato e della sua comprovata copertura finanziaria, in ottemperanza al dettato statutario e nel rispetto dell’equilibrio di lungo termine, nel 2017 Inarcassa presentava ricorso al TAR Lazio al diniego opposto al provvedimento da parte degli Organi vigilanti. Una decisione forzata, ma necessaria, per ristabilire i principi istituzionali di autonomia dell’Ente all’interno del perimetro costituzionale. Il consulente nominato dal Tribunale concludeva il suo mandato, confermando la legittimità della misura adottata, verificandone la congruità rispetto all’affidabilità rappresentata dalla consistenza patrimoniale, su cui può contare l’Associazione e sulle potenzialità manifestate dal punto di vista del suo rendimento.
L’epilogo sperato La sentenza del TAR Lazio n. 9987, datata 1° ottobre 2020, ha accolto il ricorso di Inarcassa, giudicando illegittimo il diniego dei Ministeri vigilanti all’aumento del tasso di capitalizzazione al 4,5%. Il Giudice amministrativo - confermando le motivazioni riportate su analoga decisione, che ha riconosciuto nel 2019 il diritto dell’Associazione a ridurre le sanzioni agli iscritti - ha ribadito che il potere di Vigilanza si esaurisce nel verificare se l’ente previdenziale “non assuma iniziative tali da compromettere il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, nel rispetto dell’autonomia dell’Ente” e di conseguenza è volto ad accertare se l’aumento del tasso di capitalizzazione sia tale da compromettere l’equilibrio di lungo periodo del sistema previdenziale senza sconfinare in ulteriori considerazioni sul merito delle scelte adottate.
Una pietra miliare Si tratta, evidentemente, anche di un riferimento rilevante, che “ribadisce il principio di autodeterminazione delle Casse privatizzate a cui sono attribuite le prerogative sulle scelte di politica previdenziale dei propri associati. Il potere di vigilanza dei Ministeri deve limitarsi a valutare la compatibilità di tali scelte sotto il profilo di sostenibilità di lungo periodo e la coerenza ai principi costituzionali (adeguatezza, equità, solidarietà), senza entrare nel merito della tipologia dell’intervento o delle singole misure adottate per il raggiungimento dello scopo perseguito.”.
Oggi, raggiunto il traguardo del percorso pluriennale intrapreso e decorso il termine per proporre ricorso in appello al Consiglio di Stato, avverso la sentenza del TAR Lazio, la conclusione positiva dell’iter di approvazione ha reso definitivo il provvedimento del Giudice Amministrativo, con il conseguente avvio della fase operativa, per rendere efficace l’applicazione della procedura di ricalcolo dei trattamenti già liquidati da Inarcassa, in favore degli iscritti e dei relativi superstiti, per i diritti conseguiti a partire dal mese di gennaio 2015 (decorrenza 1° febbraio 2015). La rivalutazione interessa anche eventuali quote di supplemento liquidate dal 2015. ■
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