Labirinti, seducenti architetture di verzura

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Antichissime sono le prime testimonianze di labirinti presenti nel bacino del Mediterraneo e da lì diffusi in Oriente. Con il termine labyrinthus Platone indicava un ragionamento che non porta ad alcuna conclusione, ma riconduce al punto di partenza. La metafora utilizzata dal filosofo greco rimanda al percorso del labirinto classico, univiario, in cui, una volta raggiunto il centro, si è costretti a ritornare sui propri passi per ritrovare l’uscita. Durante l’Ellenismo al concetto di labirinto era sottesa l’idea di confusione e smarrimento, che permarrà fino all’età contemporanea. Nella sua Naturalis Historia (XXXVI 19,85) Plinio descrive il labirinto cretese articolato in percorsi complicati e tortuosi.
 
Fig. 2 – Stra (Venezia), giardino di Villa Pisani, labirinto con torretta Fig. 2 – Stra (Venezia), giardino di Villa Pisani, labirinto con torretta
 
Ricco di fascino e dai molteplici significati, fin dall’antichità labirinto ha conosciuto una larga fortuna soprattutto nelle raffigurazioni musive pavimentali, articolato in varianti sempre più elaborate del disegno che, però, conservavano la caratteristica univiarietà del percorso. In epoca imperiale romana si diffonde soprattutto nei mosaici, all’interno delle case, spesso nell’atrio d’ingresso. Antiche rappresentazioni musive di labirinti sono, fra le altre, quelle della villa di via Cadolini a Cremona, risalente al I secolo d.C. Il labirinto è infatti parte dell’eredità culturale romana che si diffonde per canali diversi e con diverse modalità nell’Europa continentale, in Inghilterra e in Scandinavia. In queste regioni di cultura germanica il simbolo si integra nelle realtà locali assumendo connotazioni differenti.
 
Nel Medioevo i pavimenti con disegni di labirinti sono testimoniati nelle chiese, soprattutto del nord della Francia, nel sud dell’Inghilterra e nell’Italia centro-settentrionale,   ma permane la discrasia tra la linearità del tracciato, privo di biforcazioni, e l’uso del termine nel suo significato metaforico di confusione e tortuosità. La principale caratteristica dei labirinti consisteva infatti nell’essere quasi del tutto racchiusi da una linea esterna e nel fatto che il loro percorso era soggetto a un continuo cambio di direzione.
 
Fig. 3 – Masino (Torino), giardino del Castello, labirinto Fig. 3 – Masino (Torino), giardino del Castello, labirinto
 
È simbolo religioso di penitenza e remissione dei peccati nelle chiese della Francia medievale, è luogo ameno sede di rituali primaverili e di danze in Inghilterra e in Scandinavia.
Tra i labirinti di verzura presenti nei giardini italiani e/o conosciuti da testimonianze pittoriche, cartografiche, letterarie, la mappa di Mantova di Gabriele Bertazzolo (1628) mostra che nella parte sud della città di Mantova c’erano due isole. Una allungata e stretta, dove fu costruito Palazzo Te, e un’altra molto più estesa, dalla forma di un tondo irregolare.
Nella sezione sud-ovest è raffigurato un grande labirinto di forma quadrata. L’area complessiva era di circa 6 ettari ovvero circa 60.000 metri quadrati. Si trattava di un Irrgarten, ovvero un gioco cortigiano che, a differenza del labirinto regolare, presentava più vie d’uscita. Eseguito dal Bertazzolo per Vincenzo I Gonzaga duca di Mantova, il labirinto non compare nei resoconti dei viaggiatori e probabilmente fu distrutto già dopo il sacco del 1630. L’altro labirinto, rappresentato nelle mappe di Marten van Heemskerck, parrebbe invece un’invenzione. Doveva trovarsi all’interno del cortile d’onore del palazzo, ove si conserva la Sala del Labirinto che deriva il proprio nome dal motivo disegnato sul soffitto in legno, realizzato all’inizio del XVI secolo.
Nel giardino del Rinascimento la struttura del labirinto è affidata a basse siepi o a vere e proprie barriere vegetali. Centinaia di labirinti sono documentati nei giardini rinascimentali e barocchi d’Europa. La loro diffusione nell’arte botanica testimonia come soprattutto a partire dal Cinquecento il labirinto perda la valenza simbolico-religiosa per acquisire un significato ludico, con lo scopo di divertire, talora assurgendo a palcoscenico di giochi amorosi tra dame e cavalieri, talora invece rivestendosi di significati filosofici ed esoterici. Alla regolarità e alla simmetria delle strutture vegetali create nel Rinascimento e racchiuse entro piante quadrate, subentrano, in età barocca, forme sempre più irregolari, caratterizzate da percorsi sinuosi arricchiti da statue, fontane, panchine e, al centro, templi, statue o pergolati di fiori.
E non è senza significato che alcuni trattatisti del Rinascimento, per esempio Filarete nel suo Trattato di Architettura, si occupi di progettazione del giardino e raffiguri quattro labirinti e tre fortificazioni a pianta labirintica, o Sebastiano Serlio, che nel Libro Quarto del suo trattato, edito nel 1537, disegna alcuni giardini in forma di labirinti.
Una veloce carrellata dei più significativi labirinti, la maggior parte dei quali purtroppo non si è conservata, deve fare appello alla documentazione, d’archivio e di biblioteca, che attesta come in Italia la forma privilegiata nel disegno del labirinto diffuso a partire dalla seconda metà del 500 fossero il cerchio e il quadrato, come dimostrano quelli creati da Pirro Ligorio a villa d’Este e poi a villa Lante a Bagnaia. Di influenza romana era il disegno del labirinto del giardino Giusti a Verona: esempi più tardi rivelano invece la trasformazione in irrgarten, come per esempio quello di villa Barbarigo a Valsanzibio e il labirinto ottocentesco del giardino Piazza a Padova.
Assetto circolare avevano i labirinti del giardino di Boboli e quello di villa Pisani, a Stra. Scomparsi sono i labirinti prima citati di villa d’Este a Tivoli, documentati dall’incisione del Duperac (1573), e di villa Lante, così come quelli di Boboli.
 
Fig. 4 – Masino (Torino), giardino del Castello, labirinto Fig. 4 – Masino (Torino), giardino del Castello, labirinto
 
Fig. 5 – Donnafugata (Ragusa), labirinto di pietra nel giardino del Castello. Credits: Comune di Ragusa Fig. 5 – Donnafugata (Ragusa), labirinto di pietra nel giardino del Castello. Credits: Comune di Ragusa
 
È nel giardino di villa Barbarigo a Valsanzibio (Padova) il grande labirinto realizzato nel Seicento e formato da oltre 6000 piante di bosso, alcune addirittura coeve alla villa terminata negli anni Settanta del Seicento. Progettato dal fontaniere e architetto pontificio Luigi Bernini su committenza di Antonio Barbarigo, non senza le indicazioni del fratello Gregorio, allora cardinale, si snoda su un percorso pluriviario di quasi un chilometro e mezzo e porta chi lo percorre a finire in uno dei sei vicoli ciechi dedicati ad altrettanti vizi capitali (gola, lussuria, avarizia, accidia, ira e invidia), o nel duplice circolo vizioso che rappresenta il 7° e più insidioso vizio capitale, la superbia. È stato ripristinato il seicentesco labirinto del giardino Giusti a Verona, a pianta quadrata, di tipo pluriviario, in bosso (fig.1).
Il labirinto della secentesca villa Garzoni, oggi Gardi, a Collodi (Pistoia), è l’unica testimonianza conservata nei giardini storici della zona. Piccolo e raccolto, il labirinto presenta numerosi bivi, vicoli ciechi e false piste.
Ai primi decenni del XVIII secolo risalgono il giardino e il labirinto di villa Pisani a Stra, architettonicamente costituito da una serie di nove anelli concentrici di carpini, interrotti a formare anfratti e deviazioni (fig.2). Al centro del labirinto si erge la torretta rustica, una piccola costruzione cava all’interno, caratterizzata da un doppio ordine di aperture centinate, dotata di due scale elicoidali esterne, e con la superficie esterna ricoperta da bugne in marmorino. Alla sommità, sulla terrazza, la statua di Minerva. Il progetto di riforma del 1809, lo ha riconfigurato inserendolo in un grande trapezio irregolare, bordato a nord e a sud da tigli, e a est da carpini. Il disegno raffigura i due angoli a nord est e a sud est ove sono state aggiunte nuove siepi, ma anche i filari di tigli che avrebbero delimitato l’area del parco in cui era inserito il dedalo vegetale. Raro esempio di labirinto vegetale, che fortunatamente conserva il disegno originale, il dedalo verde di villa Pisani fu completato nel 1721, come attesta una nota di pagamento di quell’anno. Nel 1929 sono state sostituite tutte le siepi con l’utilizzo del bosso.
Vero e proprio irrgarten, esaltazione dell’irrazionalità, progettato per sfidare il visitatore e indurlo a scegliere un precorso piuttosto che un altro, al labirinto, che si afferma nei giardini italiani tra il Cinquecento e la metà del Seicento, era sotteso significato ludico e simbolico, ma era utilizzato anche per creare la meraviglia. Ed è proprio nel Settecento che predomina la componente ludica cui non è estraneo Il labirinto di villa Pisani, divertissement per il proprietario e per i suoi ospiti.
Anche il noto Parco di Sigurtà, di Valeggio sul Mincio, conserva un labirinto, disegnato da oltre 1500 piante di bosso con una torre al centro sormontata da una cupola rivestita di rame e una terrazza dalla quale si ammirano le geometrie del percorso.
Numerosi erano anche i labirinti nei giardini del Piemonte Sabaudo fra Sei e Settecento: da Racconigi a Venaria reale, ad Agliè, fino al labirinto della Palazzina di caccia di Stupinigi realizzato nel 1800.
 
Fig. 6 – Fontanellato (Parma), labirinto della Masone. Credits: Franco Maria Ricci Fig. 6 – Fontanellato (Parma), labirinto della Masone. Credits: Franco Maria Ricci
 
All’interno del parco sistemato “all’inglese” nella prima metà dell’Ottocento, è tuttora percorribile il labirinto del castello di Masino (Torino), documentato dal 1753. È il secondo più grande d’Italia, ricostruito sulla base del progetto settecentesco, utilizzando oltre duemila piante di carpini, su uno schema semicircolare che riprende fedelmente il modello a ventaglio del disegno (fig.3 e 4).
 
Fig. 7 – Cermes, Merano (Bolzano), labirinto della Cantina Kräenzelhof. Credits: Kraenzelhof Fig. 7 – Cermes, Merano (Bolzano), labirinto della Cantina Kräenzelhof. Credits: Kraenzelhof
 
Non un labirinto di verzura, ma in pietra bianca, è quello del Castello di Donnafugata (Ragusa) (fig. 5) realizzato con la tecnica locale dei muretti a secco. Ha forma trapezoidale, che riprende quella del dedalo inglese di Hampton Court. Un tempo i muretti erano ricoperti di siepi e rose rampicanti. Sorvegliato da un soldato in pietra, il labirinto del Castello di Donnafugata è stato il set del film “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone.
Inaugurato nel 2011, a 25 anni dalla morte dello scrittore argentino, il Labirinto Borges è situato all’interno della Fondazione Cini. È una ricostruzione del giardino-labirinto progettato dall’architetto Randoll Coate in onore di Borges, ispirandosi al racconto “Il giardino dei sentieri che si biforcano”. È costituito da circa 3250 piante di bosso che riproducono il nome dello scrittore.
A Fontanellato, in provincia di Parma, è visitabile il Labirinto della Masone (fig. 6), realizzato su un impianto a stella con oltre 200.000 piante di specie diverse di bambù su un percorso di oltre 3 km. È stato inaugurato nel 2015 e commissionato dal designer, editore e bibliofilo Franco Maria Ricci a compimento di una promessa da lui fatta nel 1977 allo scrittore Jorges Luis Borges, si è ispirato ai mosaici delle ville e delle terme romane.
Del tutto particolare è labirinto di vitigni – oltre 10 le specie diverse impiegate – nell’antica tenuta della cantina Kränzelhof a Cermes (Merano), inaugurato nel 2006 (fig. 7).
Indiscusso il fascino del labirinto, seduttrice la bellezza di questi dedali vegetali che, se opportunamente manutenuti, sono vere e proprie forme d’arte, architetture di verzura perenni in continuo rinnovamento.

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