Marionette, burattini e pupi: antica cultura popolare
Il burattino merita di essere affrancato dallo stereotipo che lo vuole mera maschera grottesca dell’uomo o puro strumento ludico per adulti e bambini.
La sua valenza culturale si accompagna e si fonde, come tutte le espressioni artistiche e/o artigiane, alla storia e al costume dei luoghi e dei popoli e non può prescindere dalla qualità dei materiali e dalla documentazione che deve accompagnarli e che assume valore scientifico e testimoniale. Mi riferisco quindi sia all’epoca e alla morfologia degli esemplari, sia ai corredi che li accompagnano: scenari, copioni, costumi.
Ben prima del teatro d’attore nasce il teatro di animazione: i progenitori dei nostri burattini venivano impiegati, con funzione rituale/religiosa, all’interno di templi al fine di rendere vivo il racconto dei miti.
Troviamo in Grecia reperti del VIII e VII sec. a.C. Erodoto ne testimonia l’uso in Egitto per i riti della fertilità. Dedalo è ritenuto l’inventore delle “agalmata”, statue dotate di membra mobili e occhi aperti, la cui grande similitudine con l’uomo viene confermata da Platone. Con le “Sacre rappresentazioni”, verso la fine del XII secolo, nelle storie bibliche viene introdotta la presenza di personaggi negativi – in contrappunto a quelli positivi della religione – animali immaginari, diavoli, spiriti maligni, realizzati come fantocci movimentati da fili, che nel tempo assumono poi caratteristiche grottesche o comiche.
Del periodo medioevale troviamo comunque scarse testimonianze, tuttavia esistono due miniature trecentesche nel testo “Le Roman du Bon Roi Alexandre” conservate alla Bodleian Library di Oxford, che rappresentano un teatrino con personaggi mossi da fili, che lascia pensare a un prototipo di marionetta.
Si ritiene che il termine “marionetta”, diminutivo di Maria, venisse usato a Venezia in occasione della ricorrenza del salvataggio di una dozzina di fanciulle, devote alla Vergine e perciò dette Marie, sottratte alla violenza dei pirati.
Nella rievocazione del fatto, che in origine prevedeva la partecipazione di vere fanciulle, queste furono sostituite da figure lignee a dimensione umana, chiamate Marione. Nell’occasione venivano anche distribuiti pupazzi di più piccole dimensioni: le marionette.
La denominazione “burattino”, coniata verso il 1652, deriva invece non dal personaggio in sé stesso, ma dal materiale tessile con cui veniva confezionato il costume del personaggio. Normalmente grezzo e riciclato, il tessuto buratto – o burazzo – era quello con cui si setacciava la farina o se ne confezionavano i sacchi.
Dalla seconda metà del 1500 ai primi del ‘600 si diffonde la Commedia dell’Arte, caratterizzata nel tempo dalle sue “maschere” e parallelamente, come forma autonoma, lo spettacolo di burattini e marionette. La grande fortuna nel ’600 e ’700 delle marionette contribuisce alla diffusione del teatro barocco, anche presso i piccoli teatri delle famiglie nobili.
Sappiamo però che in Italia il burattinaio non gode del favore della Chiesa: si assiste quindi a una sorta di migrazione in diversi stati europei: Francia, Spagna, Inghilterra.
Con la Controriforma in Italia sorgono le “Accademie”, in antitesi alla Commedia dell’Arte.
Tuttavia, vi è una sorta di continuità del teatro dialettale che vanta autori fin dal ’600.
La trasformazione da Maschera della Commedia dell’arte, al nuovo tipo di maschera, intesa come raffigurazione di una specifica tipologia psicologica umana, avviene più lentamente nelle marionette, più repentinamente e incisivamente nei burattini.
Il teatro dei burattini mette in gioco le arguzie dei suoi personaggi e stigmatizza il loro risvolto psicologico e richiede per questo, non solo una caratterizzazione fisiognomica, ma anche dialettica e di costume popolare.
La valenza narrativa del verbo espone quindi maggiormente alle censure.
Sappiamo che Napoleone proibisce le rappresentazioni delle maschere, intese come personaggi della Commedia dell’arte.
Si rende quindi necessaria la creazione di personaggi nuovi, capaci di ben individuare le diverse fasce sociali: a Bologna compaiono i burattini della famiglia Cuccoli (Filippo, nato a Bologna nel 1806, mette in scena nel 1831 le sue rappresentazioni in P.zza Maggiore, continuerà il figlio Angelo fino al 1903. Il suo impegno sarà poi continuato da Augusto Galli e dalla di lui famiglia). I caratteri dei personaggi, gli zanni, assumono una valenza regionale e si diffondono all’interno di confini linguistici ben precisi. A Bologna compare Fagiolino, creato da Cuccoli, a Modena Sandrone di Campogalliani, a Roma Rugantino, ecc.
Anche i fondali dipinti o scenari assumono connotazioni più precise, artisticamente più accurate e descrittive e anche personalità artistiche degne di nota non disdegnano questa produzione.
Così lo spettacolo, sotto forma anche comica, ben si presta a diffondere istanze sociali, idee politiche, talvolta rivoluzionarie, ma anche a evidenziare le restrizioni che ne conseguono.
Merita un’attenzione particolare il teatro dell’opera dei Pupi, che, tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800, fiorisce in Sicilia, che offre un repertorio prevalentemente di soggetto cavalleresco. Gli spettacoli a soggetto cavalleresco erano già diffusi in Europa sin dal ‘500 e rappresentati con marionette. Nel ‘700 si diffusero anche in Sicilia, riscuotendo però solo agli inizi dell’800 quel grande successo che portò al perfezionamento della meccanica di movimentazione e alla particolare cura dell’espressione figurativa, le cui caratteristiche tengono conto di un preciso codice iconografico, che varia a seconda della” scuola” di appartenenza (Palermo, Catania).
Il repertorio è ispirato prevalentemente dalla narrativa cavalleresca medioevale del ciclo carolingio, dalle gesta dei Paladini di Francia, dal testo della Gerusalemme Liberata.
Nel 2001 l’opera dei pupi siciliani è stata proclamata “capolavoro UNESCO del patrimonio orale e immateriale dell’umanità”.
Il burattino, il cui teatro ha trovato la miglior collocazione in luoghi aperti e forse per questo meno controllabili, diventa voce ed espressione del proprio pubblico.
E quale miglior voce di burattino, se non quella che Collodi ha saputo dare al suo Pinocchio, è riuscita a trasmettere sentimenti umani… rendendo concreto, con la propria metamorfosi, quanto di umano può nascondere un burattino?!
È importante sottolineare come anche il mondo dell’arte moderna ha subito il fascino della “vita parallela” di questi personaggi immaginari: come non ricordare gli arlecchini di Picasso e il suo grandioso sipario dipinto nel 1917 per la rappresentazione di “Parade”, voluta da Cocteau! ■
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