Inarcassa attore importante della Corporate Social Responsability

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Intervista al prof. Luciano Hinna, presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali

Per dimensioni, per tipo di attività che svolge e per i mercati in cui opera, Inarcassa è un attore importante della CSR, la responsabilità sociale d’impresa: con le sue scelte contribuisce alla diffusione di valori etici e con i suoi comportamenti, anche senza volerlo, “moralizza” i settori economici in cui opera diventando veicolo di viralità positiva. Il Codice etico di Inarcassa è uno strumento di auto-regolamentazione adottato su base volontaria che contiene i valori, le linee guida e i criteri di comportamento che devono orientare le relazioni tra tutti gli stakeholder. Ma vediamo, in questa intervista al prof. Luciano Hinna, presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali, come–in un Paese come l’Italia, in cui le troppe norme hanno anestetizzato l’etica–sia possibile recuperare valori etici, e anzi questo stia diventando un atteggiamento virale positivo. E, guardando al futuro, è stato intanto riavviato il progetto di “bilancio sociale” di Inarcassa.

 

Prof. Hinna, perché questa attenzione forte all’etica un po’ in tutti i campi dell’economia, della politica e della società in genere?

Quando si parla di etica vuol dire che la legalità è una moneta fuori corso. Stiamo attraversando un periodo di crisi morale ed economica, sistemica e globale che coinvolge tutti e che ha creato una domanda di bilanciamento tra norme ed etica. Oggi non è difficile constatare come sotto il profilo morale è esplosa un po’ ovunque la diffusione di (dis)valori, fondati sull’egoismo individualistico, un consumismo fine a se stesso, l’indifferenza verso gli altri e il bene collettivo e così le differenze tra i più ricchi e più poveri sono sempre più marcate e nel lungo periodo questo non avvantaggia nessuno. Se guardiamo alla situazione italiana la faccenda è ancora più critica: l’illegalità, intesa come la corruzione e l’evasione fiscale, è vissuta come una “legittima difesa” contro la burocrazia imperante e l’eccesso di regole a volte inutili costruite tenendo conto dei comportamenti dei furbetti e dei disonesti che finiscono però per avvantaggiare proprio quest’ultimi a scapito degli onesti rispettosi della norma. Doing Business ci condanna, ancora una volta, al fondo della classifica: troppe tasse,
troppa burocrazia, 
tempi di pagamento della PA ancora troppo lunghi, 
durata dei processi da Amnesty International,
 costi dell’energia, dell’acqua e dello smaltimento rifiuti superiore alla media 
europea, scarsa qualità dei servizi pubblici etc. C’è da prendere atto che le regole e la politica che le ha promosse non hanno funzionato ed è qui che entra in gioco l’etica che deve riprendersi un suo spazio. L’etica, come diceva Lord Moulton, è lo spazio del non esigibile per norma, ma da noi le troppe norme hanno anestetizzato l’etica e così impera il concetto di reato e di peccato e quello di perdono e di condono.
 

Quale è il ruolo che un ente come Inarcassa può giocare in questo scenario in cambiamento?

La prendo alla lontana. Oggi le agenzie che intermediano valori sono più o meno tutte in crisi e portatori spesso di disvalori invece che di valori etici: la famiglia, la scuola e l’università, la Chiesa, la politica, i media, lo sport, la pubblica amministrazione e le imprese private. Le imprese, però, per operare hanno bisogna di etica, che altro non è che la fiducia reciproca all’interno di una stessa comunità. Da tempo le imprese più attente hanno capito che l’etica paga in termini di vendite di prodotto, di collocamento di azioni in borsa, di reputazione per partecipare agli appalti, e di consenso nei confronti dell’opinione pubblica rispetto ai grandi temi che fanno da sfondo a quella che viene definita la responsabilità sociale di impresa, la CSR, Corporate Social Responsability. La filantropia, il rispetto dei diritti umani, la parità di genere e il rispetto della diversity, il rispetto dell’ambiente sono elementi che qualcuno ha voluto leggere come una forma di risarcimento alla comunità per le scelte di delocalizzazione, di capitalismo selvaggio, di inquinamento a oltranza. Sta di fatto che recuperare valori etici è diventato un atteggiamento virale positivo che coinvolge tutte le imprese anche quelle che non delocalizzano, che non inquinano, e che sono da sempre attente al rispetto delle norme e dei principi etici. E qui arriviamo al ruolo di Inarcassa. Per dimensioni, per tipo di attività che svolge e per i mercati in cui opera, Inarcassa è un attore importante della CSR: con le sue scelte contribuisce alla diffusione di valori etici e con i suoi comportamenti, anche senza volerlo, “moralizza” i settori economici in cui opera diventando veicolo di quella viralità positiva alla quale si è fatto cenno. Questo atteggiamento, che potremmo definire etico e che propone degli standard che si collocano oltre il semplice rispetto delle norme, ha in Italia in questo momento un valore particolare. Da noi purtroppo manca ancora la cultura della vergogna e domina la cultura della colpa.

 

Che cosa significa?

Mi spiego. In antropologia esistono due tipi di società: una è la società della colpa che è quella regolata dalla paura della multa, della sanzione, dell’ammenda: per intenderci non si supera il limite di velocità in autostrada solo perché si teme che vengano tolti i punti sulla patente e non perché si mette a repentaglio la propria vita e quella degli altri. Poi esiste la società della vergogna, che è basata sull‘etica: il problema non è più la multa o la sanzione, ma si ha paura dell’infamia, della perdita di consenso e di fiducia della propria comunità di riferimento. In Italia stiamo lentamente migrando dalla cultura della colpa alla cultura della vergogna, stiamo riscoprendo i valori etici. Purtroppo noi Italiani non abbiamo il concetto di bene comune e non facciamo la spia per denunciare i misfatti del nostro vicino di casa se non lede i nostri diritti personali e così, come le scimmiette non vediamo, non parliamo e non sentiamo e difendiamo l’omertà, che è un valore della mafia, invece che difendere l’onestà che è un valore condiviso della società civile. Dobbiamo fare ancora molta strada e l’orientamento alla CSR delle imprese, Inarcassa inclusa, può certamente aiutare.

 

Il codice etico al quale Inarcassa sta lavorando come si colloca in questo scenario più ampio?

Chiariamo innanzitutto che il Codice etico di Inarcassa–che, per la cronaca va detto, ha già licenziato quello dei dipendenti e fornitori–è uno strumento di auto-regolamentazione adottato su base volontaria che contiene i valori, le linee guida e i criteri di comportamento che devono orientare le relazioni tra tutti gli stakeholder. Ora, se si considera il grande numero di stakeholder, il loro livello socio economico e le reti di cui a loro volta fanno parte (ingegneri e architetti iscritti e loro familiari, dipendenti e loro famiglie, fornitori e le loro filiere di produzione, investitori istituzionali, soggetti dei mercati finanziari, pubbliche amministrazioni, ecc.) si comprende anche il grande impatto che Inarcassa ha nel diffondere principi etici di cui il codice è lo strumento principe.

 

Dopo il codice etico quale sarà il prossimo passo dell’Inarcassa nel solco della responsabilità sociale e dell’etica d’impresa?

La domanda va rivolta agli organi di gestione. Posso solo dire è che è stato riavviato il progetto di “bilancio sociale”, iniziato qualche anno fa quando ancora nessuno nel settore ne parlava, che servirà proprio a raccontare agli stakeholder di Inarcassa i risultati ottenuti, non sotto il profilo economico e finanziario, compito che assolve molto bene il bilancio di esercizio, ma sotto il profilo delle ricadute sociali dell’attività di Inarcassa nei confronti della platea dei suoi stakeholder

 

 

 

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