Il punto fermo

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“Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà… Camminiamo insieme perché l’avvenire appartiene in larga misura ancora a noi.” Così Aldo Moro si rivolgeva ai gruppi parlamentari nel suo ultimo discorso. Era il 28 febbraio 1978. Parole di grandissima attualità, purtroppo mal sfruttate durante una delle innumerevoli presentazioni governative per spiegare l’ennesimo DPCM, più confuso e caotico del precedente, sempre più ondivago e ora anche multicolore.
È proprio Aldo Moro, leader di straordinarie capacità che sembra indicarci la strada, oggi come nel ‘44, quando alla fine della guerra, gran parte degli italiani guardavano con preoccupazione al futuro. Diceva “E adesso? Da dove ripartire? Ora dobbiamo percorrere una lunga e difficile strada: dobbiamo, appunto, ricostruire. Cominciamo da qui. Rimettiamoci tutti a fare, con semplicità, il nostro dovere. Chi ha da studiare, studi. Chi ha da insegnare, insegni. Chi ha da lavorare, lavori. Chi ha da fare della politica attiva, la faccia, con la stessa semplicità di cuore con la quale si fa ogni lavoro quotidiano. Madri e padri attendano ad educare i loro figlioli. E nessuno pretenda di fare più o meglio di questo. Perché questo è veramente amare la Patria e l’umanità”.
Ora come allora, per noi è il momento di ripartire, potendo contare almeno su una possibilità di finanziamento per gli associati segnati dalla pandemia di questi lunghissimi mesi. Una platea vasta e variegata, dove tutti hanno bisogno di tutto. È un impegno mantenuto saldo, malgrado la burocrazia, il caos normativo e le pachidermiche lentezze delle istituzioni, per consentire ad architetti e ingegneri liberi professionisti di riconquistarsi un po’ di futuro. La variazione di Bilancio deliberata da Inarcassa cerca di sollecitare a rimettersi in gioco e di trasmettere la vicinanza dell’ente. Non è la panacea di tutti i mali, ma crediamo senza falsa retorica, che questa misura sia un’occasione per far ripartire le attività di molti colleghi. Non è assistenzialismo, è welfare, che con la previdenza si fonde all’interno del core business della Cassa.
Come ogni grande impresa, anche il nostro ente è un cantiere in movimento. Spesso ci troviamo ad affrontare imprevisti che richiedono soluzioni diverse da quelle che il progetto prevedeva. Questo non significa dover cambiare ogni giorno. Vuol dire, invece, una volta costruite le linee essenziali e programmatiche del presupposto previdenziale, sulla base di dati certi fondati sulle analisi di generazioni in continua evoluzione, adeguare il progetto, modellarlo, senza mai perdere di vistale direttrici principali.
Essere in questo sistema previdenziale assicura certezze e liquidità non seconde a nessuno. Ma diritti e tutele passano attraverso il rispetto di regole e doveri che l’appartenenza ad ogni comunità richiede. Solo così la nostra Cassa potrà continuare ad assicurare protezione ai liberi professionisti di buona volontà che, di fronte alle avversità, avranno il coraggio di rialzare la testa e riprendere il cammino intrapreso.

In copertina: photo by james-peacock su unsplash.

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