Il MIC ospita Gio Ponti
IL MUSEO INTERNAZIONALE DELLA CERAMICA IN FAENZA
Il museo dedicato all’eccellenza della tradizione faentina diviene realtà grazie alla determinazione e all’ingegno di Gaetano Ballardini, appassionato studioso di arte e storia locale, a cui si deve l’ideazione del Museo Internazionale della Ceramica in Faenza, dove l’aggettivo e l’avverbio vogliono indicare l’idea di un museo non circoscritto ai confini della pur ricchissima produzione locale, ma aperto ai materiali provenienti da ogni epoca e da ogni luogo.
Responsabile dell’organizzazione degli eventi culturali faentini, nel 1908 Ballardini si occupa dell’esposizione internazionale dedicata al terzo centenario dalla nascita dell’insigne scienziato faentino Evangelista Torricelli, che si tiene nell’ex convento domenicano di San Malgorio e, sull’onda del successo ottenuto dalla manifestazione, ottiene l’assenso degli espositori del settore ceramico alla proposta di lasciare a Faenza le proprie opere, per contribuire alla nascita di una mostra permanente negli stessi locali dell’esposizione. A questo primo nucleo, si aggiungono presto numerosi manufatti provenienti da donazioni di collezionisti privati, aziende, musei e governi stranieri, a cui Ballardini non cesserà mai di rivolgersi, fino alla scomparsa nel 1953, riuscendo costantemente ad arricchire la collezione del Museo e a farlo risorgere dalla distruzione della Seconda guerra mondiale. Una capacità di stringere legami con grandi collezionisti, grandi personaggi e grandi artisti, un nome per tutti Pablo Picasso, ed anche di saperne muovere la generosità, che Ballardini riesce a trasmettere ai suoi successori nella guida del Museo.
Oggi, il Museo Internazionale della Ceramica in Faenza (MIC) espone la sua ricca collezione negli stessi spazi dell’antico convento dei domenicani e negli ampliamenti di più recente costruzione e le opere di grandi dimensioni nel cortile interno.
Dotato di un laboratorio di restauro d’avanguardia e di una fornitissima biblioteca storica a disposizione di studiosi e appassionati, promuove e organizza iniziative volte ad estendere e valorizzare la cultura dell’arte ceramica, attraverso un’intensa attività didattica, mostre temporanee, conferenze e il Concorso Internazionale Premio Faenza, che si tiene dal 1938.
L’esposizione, articolata in 16 sezioni, consente di adattare l’itinerario in base agli interessi, alla curiosità e… alle energie del visitatore. Immaginando di seguire insieme un percorso, potemmo partire dalle sezioni che espongono la produzione contemporanea di ceramiche popolari, design, rivestimenti pavimentali e parietali e le ceramiche italiane del Novecento; passare alle sezioni che ospitano la scultura internazionale del XX secolo e la scultura ceramica italiana del secondo dopoguerra; quindi percorrere le sale che documentano la produzione dei principali centri ceramici europei dal Cinquecento al Novecento e raggiungere le sezioni dedicate alle ceramiche italiane dal XVI al XIX secolo, alle maioliche italiane del Rinascimento e alle ceramiche faentine medievali, rinascimentali e barocche; per poi giungere alle sezioni dedicate alla tradizione islamica e alle ceramiche classiche del bacino Mediterraneo e del vicino Oriente antico, per spingerci ancora più a Oriente, verso la Cina, il Sud-Est Asiatico e il Giappone, per concludere con le ceramiche dell’America precolombiana.
Il Museo ci fa entrare nel mondo quanto mai vario della ceramica che comprende qualsiasi manufatto realizzato a partire da sostanze solide inorganiche, non metalliche, plasmato a freddo e consolidato a caldo. Manufatti differente per i materiali impiegati, le forme, le finiture, le decorazioni e gli scopi ai quali sono destinati. In principio semplici argille cotte al debole fuoco di forni primitivi, poi lavorazioni sempre più elaborate di impasti arricchiti di caolino, feldspati, quarzi e altre sostanze, rifiniti e decorati in maniera sempre più raffinata, a freddo o a caldo, cotti una o più volte a temperature sempre maggiori, da cui nascono maioliche, porcellane, gress, klinker, vetroceramica e altri materiali altamente tecnologici. Grazie alla ceramica abbiamo arricchito la nostra alimentazione, potendo sviluppare diverse modalità di cottura e di conservazione dei cibi, abbiamo migliorato il nostro stile di vita, costruendo edifici solidi, confortevoli e igienici, abbiamo plasmato oggetti per il culto religioso e opere d’arte, sulla sua superficie abbiamo tramandato i miti e la storia, con essa abbiamo fabbricato oggetti di uso comune e manufatti che mostrano il prestigio di chi li possiede. Oggi, con la ceramica, sappiamo produrre anche lame affilate, grandi lastre sottilissime e resistenti, componenti per le esplorazioni aerospaziali, protesi e dispositivi biomedicali. Una visita al MIC ci fa apprezzare come la ceramica, primo materiale plastico maneggiato dall’uomo, abbia ovunque accompagnato la nascita e lo sviluppo delle civiltà, testimoniandone la storia e la vita quotidiana, la cultura e il gusto, in un legame continuo e indissolubile tra il passato più remoto e il futuro.
Il MIC ospita Gio Ponti
Una cosa che contraddistingue il MIC (Museo Internazionale della Ceramica in Faenza) è sicuramente lo spazio dato alle ceramiche moderne e in particolare alla produzione industriale e di design, proprio i settori che hanno visto protagonista Gio Ponti.
Figura poliedrica, maestro dell’architettura italiana, tra gli organizzatori di Triennali, ideatore e direttore di Domus e Stile, scenografo e costumista alla Scala, designer e promotore del premio Compasso d’oro, Accademico d’Italia e docente al Politecnico di Milano, Gio Ponti esordisce di fatto proprio nell’ambito della ceramica, quando da poco laureato in architettura al regio Politecnico di Milano, assume l’incarico di direttore artistico alla Manifattura Ceramica Richard-Ginori, a cui è chiamato con il preciso compito di modernizzare l’intera produzione dell’azienda. Inizia così la straordinaria avventura nel mondo della ceramica dell’architetto, artista e intellettuale a cui il MIC dedica la mostra “Gio Ponti. Ceramiche 1922-1967”, aperta dal 17 marzo al 13 ottobre. Articolata in 14 sezioni, la mostra raccoglie oltre duecento pezzi in ceramica, in vetro e in tessuto, pubblicazioni e documenti, attentamente selezionati dalla curatrice, Stefania Cretella, docente di Storia delle arti decorative presso l’Università di Verona, provenienti dalla collezione dello stesso MIC e da prestiti di collezionisti privati e importanti istituzioni, quali il Museo Ginori e il Museo di Doccia, il Museo Poldi Pezzoli e il Museo Bagatti Valsecchi, il Castello Sforzesco, Villa Necchi e Wolfsoniana.
Apre la mostra il Busto di donna, primo frutto, ancora acerbo e legato alla tradizione ottocentesca, della collaborazione di Gio Ponti con Richard-Ginori, momento di passaggio verso quelle invenzioni che caratterizzeranno e renderanno riconoscibile il suo linguaggio, che sono già evidenti nelle serie Passeggiata archeologica, La conversazione classica e La casa degli Efebi, nelle quali le forme tradizionali delle ciste, dei vasi con coperchio, delle urne, degli otri e delle coppe sono decorate da Ponti con motivi che fondono l’arte antica e la contemporanea, la classicità e le atmosfere sospese della pittura metafisica di Giorgio de Chirico, oppure con disegni geometrici e astratti o di ispirazione naturalistica nella Serie policroma.
Nella sezione successiva sono esposti diversi oggetti nati dalla collaborazione con Salvatore Saponaro, Libero Andreotti, Italo Griselli e Geminiano Cibau, gli scultori che in Richard- Ginori hanno materialmente plasmato i soggetti disegnati da Ponti. Figure di animali, soggetti allegorici tratti dall’immaginario classico o gruppi plastici derivati da sue precedenti decorazioni pittoriche, come La terra promessa, Il maestro di danza e Il Poeta. In genere piccoli oggetti pensati per arricchire l’arredo di abitazioni eleganti, ma anche il maestoso Centrotavola delle ambasciate d’Italia, composto da una miriade di elementi in porcellana bianca e oro agatato, prodotto tra il 1926 e il 1927 su commissione del Ministero degli Esteri, per adornare le tavole delle delegazioni italiane all’estero in occasione dei pranzi ufficiali.
Proseguendo nel percorso, incontriamo la serie Labirintesca, il cui primo esemplare fu esposto alla Terza Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Monza del 1927. Caratterizza questa serie il raffinato motivo di gusto art déco, quasi certamente collegato al gruppo Il Labirinto, di cui facevano parte lo stesso Ponti, Tomaso Buzzi, Pietro Chiesa, Emilio Lancia, Michele Marelli e Paolo Venini, formatosi per disegnare e produrre mobili di lusso, vasi, lampadari, tessuti e complementi d’arredo. Inizialmente limitata alla sola forma classica del bolo con decoro rosso bordato d’oro su fondo bianco, la serie dà in seguito luogo a diverse varianti cromatiche applicate su piatti decorativi, scatole e piccoli oggetti per fumatori.
Nella sezione dedicata all’esperienza di Domus Nova, veniamo a conoscere questa innovativa linea di arredi in serie, pensata per un pubblico interessato ad un nuovo tipo di arredamento, moderno, pratico, elegante e di qualità. Progettata con l’amico architetto Emilio Lancia nel 1927, la linea Domus Nova è presentata a La Rinascente in ambientazioni corredate da cristallerie di Venini, servizi da tavola in porcellana di Richard-Ginori e dalla scultura del Pellegrino stanco, disegnata da Gio Ponti e modellata da Salvatore Saponaro.
Ancora relativa alla produzione del 1927 è la sezione che presenta due serie che riproducono su piatti e piastrelle coppie di contadini che rappresentano in forma allegorica due temi ricorrenti nel repertorio figurativo di Ponti. Nella serie le Stagioni il tema dello scorrere del tempo, nella serie la Vendemmia, che nasce dai decori ideati per una taverna milanese arredata e ornata da Ponti con gli altri amici del gruppo Labirinto, il tema della raccolta dell’uva.
La sezione seguente ci porta ad anni di poco successivi con i soggetti ispirati al tema del viaggio. Il Trionfo dell’Amore rappresenta su di un pannello la mappa della “illustre Europa amorosa”, una sommaria cartina geografica dei principali Paesi d’Europa del Mediterraneo che riporta i nomi delle più note coppie della letteratura di ciascuno Stato, mentre nelle aree prive di amori celebri compare umoristicamente la scritta “hic non sunt amores”.
La Venere Viaggiatrice è una placca decorativa che ritrae la dea mollemente assopita su un carretto sopra le nubi, tra una valigia, un parasole e altri oggetti legati al tema del viaggio, con una mappa appoggiata sul pube. Sono invece vasi sferici, forse ispirati alla lampada La luna di Robert Lallemant, pubblicata da Ponti su Domus nel 1930, i mappamondi nei quali la terra si trasforma in un oggetto con funzioni pratiche. Appartengono a questa serie il Mappamondo figurato, decorato con disegni dal tratto quasi infantile, che raffigurano i caratteri politici, economici, religiosi, culturali e naturalistici di ciascuna area geografica, e Le mie terre, versione semplificata del precedente.
Torniamo invece ancora agli anni compresi tra il 1923 e il 1927 nella sezione che mostra la serie Le mie donne, nella quale Ponti riesce mirabilmente a rendere in chiave moderna l’iconografia dell’antico tema faentino delle “Belle donne”, sostituendo i profili di volti femminili con nudi stilizzati, ispirati tanto ai maestri del manierismo quanto alla grafica déco e alla pittura di Modigliani. Vasi, boli, coppe, piatti, decorati con eleganti figure, distese sopra le nubi sullo sfondo di città ideali composte da architetture ispirate a Serlio e Palladio, oppure adagiate sulle corolle di grandi fiori o sospese tra nastri intrecciati, sorridenti con in mano fiori e conchiglie.
La sezione che segue ha per soggetto le mani. Espressione diretta del pensiero e al contempo strumento per renderlo concreto, le mani hanno affascinato Ponti lungo tutto il suo percorso artistico. Nel 1935, ancora vicino a Richard-Ginori, di cui aveva da qualche anno lasciato la direzione artistica, Gio Ponti prende gli stampi in porcellana realizzati dall’azienda per la produzione di guanti in gomma e, quasi come in un ready-made, crea La mano della fattucchiera, La mano di Dafne e La mano fiorita, trasformando questi semplici oggetti, con l’aggiunta di pochi elementi decorativi, in preziosi e ricercati capolavori che rivelano il suo estro, libero e immaginifico.
Il percorso continua con i piatti da parata e alcune serie di servizi da tavola, questi ultimi creati in periodi differenti. Nei piatti da parata disegnati per Richard-Ginori, Ponti recupera l’antica tradizione dei piatti ornamentali e celebrativi, raffigurando sulla superficie piana svariati soggetti tratti dalla mitologia, dalla letteratura, dalla storia e dalla contemporaneità, con uno stile raffinato e attento alla cura dei dettagli. Per il servizio da tavola forma Mediolani volge lo sguardo al passato e si ispira alla maiolica lombarda del Settecento, mentre in altri servizi di quello stesso periodo unisce qualità estetica e funzionalità attraverso forme geometriche semplici su cui applica svariati e differenti motivi decorativi, mentre nei servizi della seconda metà degli anni Sessanta per la Ceramica Franco Pozzi, si orienta su forme essenziali del tutto allineate al design industriale di quel periodo, decorate con figure geometriche in versione monocromatica o in combinazioni di colore fortemente contrastanti.
Nella sezione seguente si descrive il rapporto di estrema fiducia e stima reciproca creatosi tra Gio Ponti e Giovanni Gariboldi, che negli anni di attività alla Richard-Ginori si occupa di tradurre in disegni definitivi i bozzetti e le idee dell’architetto e gli succederà nella direzione artistica dell’azienda, dimostrando progressivamente di sapersi allontanare dalle sue influenze, per acquisire una propria cifra stilistica, come, ad esempio, con il Vaso con conchiglie a rilievo, che compare sulla copertina di un numero di Stile del 1941.
Avvicinandoci al termine della mostra entriamo in contatto con lo spirito giocoso e surreale delle creazioni di Gio Ponti degli anni del secondo dopoguerra con Le Dame bianche. Piccole sculture in maiolica bianca, prive di braccia e di testa, con richiami ai personaggi della commedia dell’arte, o con testa di uccello come in certi dipinti di Alberto Savinio, ideate per la Manifattura di Doccia, che hanno all’origine la serie di bottiglie in vetro soffiato con fattezze femminili progettata da Ponti, nel 1947, per la manifattura vetraria Venini.
Arriviamo così alla sezione dedicata al rapporto di Gio Ponti con gli artisti più rappresentativi della scena faentina, e con le iniziative culturali in questa città. In particolare, il forte legame stretto fin dagli anni Trenta con Pietro Melandri, che Ponti coinvolge anche nella realizzazione di alcuni progetti di interni ed al quale fornisce idee e disegni per la preparazione di fantasiose ceramiche, e la frequentazione dal 1946 con i Dal Monte, maestri della scultura devozionale in cartapesta, ai quali fornisce nuove idee per sculture e cornici da realizzare con questo materiale povero della tradizione popolare.
Avvicinandoci alla sezione finale, la mostra mette in risalto l’impulso dato da Gio Ponti alla promozione del “Made in Italy”. Durante tutta la sua vita professionale e soprattutto negli anni Quaranta e Cinquanta, Ponti si impegna intensamente a diffondere un’idea di modernità che riflette le sue esperienze nei diversi campi in cui si è applicato. Pubblica articoli e dirige le riviste “Domus” e “Stile”, che danno ampio spazio a questi argomenti, si fa promotore e partecipa personalmente alle Triennali di Milano e a importanti esposizioni internazionali, come la mostra itinerante “Italy at Work. Her Renaissance in Design Today”, che negli Stati Uniti d’America, tra il 1950 e il 1953, contribuisce fortemente a sostenere la rinascita economica e politica dell’Italia dopo la guerra, facendo conoscere ed apprezzare la qualità dei prodotti dell’industria e della manifattura italiana.
“Per me non esiste ‘il passato’ perché considero che tutto è simultaneo nella nostra cultura”, con queste parole Gio Ponti afferma una chiara tesi poetica e programmatica sull’attualizzazione e l’adattamento alla contemporaneità dei temi antichi, che, prima e dopo la sua scomparsa, viene fatta propria da numerosi designer e artisti italiani. Nell’ambito del design, Alessando Mendini ed Ettore Sottsass creano vasi e altri oggetti che, in qualche misura, sono un aggiornamento formale e decorativo dell’opera di Ponti, mentre tra gli artisti che hanno interpretato il suo messaggio attraverso la ceramica, si possono annoverare Bertozzi&Casoni, Diego Cibelli, POL Polloniato, Andrea Salvatori. Sono quindi alcune delle opere realizzate da chi ha raccolto il testimone dell’eredità intellettuale di Gio Ponti, a concludere l’avvincente itinerario della mostra, con la speranza sottintesa, che altri sappiano in futuro seguirne l’esempio. ■
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