Ripresa economica e Codice dei Contratti, l’esempio di Genova

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Il completamento degli elementi strutturali del nuovo viadotto sul Polcevera, evidenzia che in Italia le grandi opere possono essere ancora realizzate in tempi brevi e certi. In tempi di blocco totale a causa della pandemia di Coronavirus le imprese italiane hanno saputo realizzare ciò che oggi è anche un simbolo, che rinverdisce il mito della realizzazione dell’autostrada “del Sole”.
Il cantiere di Genova dà orgoglio a noi progettisti e la speranza che sia possibile il rilancio degli interventi di cui il nostro Paese ha estremo bisogno, per ridurre la fragilità idrogeologica del territorio, l’obsolescenza delle strutture in calcestruzzo del sistema viabilistico, la debolezza sismica del patrimonio edilizio storico e contemporaneo, il degrado del tessuto urbano e architettonico delle periferie, l’abbandono dei nuclei minori, la compromissione ambientale causata dall’industrializzazione a tappeto, dal traffico veicolare e dalle attività agro-industriali intensive. Tuttavia, l’evento positivo di Genova comporta anche l’ennesima conferma che l’intero procedimento attinente ai contratti pubblici contiene qualcosa che non consente un’efficacia nemmeno lontanamente paragonabile ai tempi e metodi del viadotto sul Polcevera dove, con l’importo dell’opera interamente stanziato, è stato nominato responsabile generale un commissario ad hoc, mentre il progetto non è stato oggetto di gara, non s’è applicato il Codice dei Contratti per l’appalto, e le ditte escluse non hanno presentato ricorsi.
Nel settembre 2019, s’era conclusa una vasta consultazione per l’ennesimo tentativo di riordino della normativa sui lavori pubblici, che è una via crucis iniziata nel 1994 con la legge Merloni: da quell’anno abbiamo assistito e anche partecipato a un processo di rimasticazione, digestione, indigestione di norme e regolamenti sempre sbagliati o inadeguati al loro scopo. Per nulla diversa era stata la vicenda della precedente legge sui lavori pubblici e del secolare regio decreto che la regolava. Ora, di fronte a quella che si prospetta come una fase terribilmente complicata di riavvio dell’economia nazionale, che dovrà passare dalla ristrutturazione del comparto infrastrutture e costruzioni, disponiamo di un quadro legislativo che ha già dimostrato tutta la propria inefficacia. Noi professionisti, che non possiamo operare bene se non in un ambito di regolazione certo, ci chiediamo se vale tentare ancora una volta una ristrutturazione del Codice dei Contratti, oppure se non sia il caso di promulgare una legislazione speciale, emergenziale, quinquennale, che sospenda il Codice e dia operatività a grandi e piccole opere, secondo il “modello Genova”.
È una ipotesi non certo priva di rischi, che va però soppesata con l’immobilità e l’inerzia che il Codice comporta e con il rischio di default nazionale che ne conseguirebbe.

Professione
Il nuovo Ponte di Genova realizzato in tempi record grazie a procedure semplificate
Un piccolo grande miracolo. Il nuovo Ponte sul Polcevera è praticamente ultimato. A breve, a meno di due anni dall’immane tragedia del Ponte Morandi, Genova avrà di nuovo il suo viadotto. Pioveva sulla città ligure quel 14 agosto di due anni fa. In molti pensavano a un tuono, qualcuno giurava di aver visto un fulmine. Poi tanta polvere e quella linea di asfalto, acciaio e cemento nel cielo di Genova non c’era più. Il ponte ha risucchiato nel vuoto auto e tir, e ha schiacciato edifici e fabbriche, uccidendo 43 persone. Ma non è stata colpa del vento o di un fulmine. A far crollare quella enorme opera di cemento armato è stata probabilmente la scarsa manutenzione, forse l’armatura corrosa dalla salsedine che penetrava dalle crepe.   Dopo nemmeno due anni da quella tragedia il nuovo Ponte ha visto la luce, simbolo dell’Italia che talvolta cade ma è sempre in grado di rialzarsi. I lavori non si sono fermati  a Natale,  durante la fase più critica dell’emergenza Coronavirus. Più di un chilometro di infrastruttura appoggiata su 18 piloni. È il progetto che l’architetto Renzo Piano ha regalato a Genova. Ora mancano le ultime cose: il fondo stradale, l’impianto di illuminazione, le barriere frangivento, i pannelli solari. “Dentro alla struttura c’è una mente, ci sono soluzioni tecnologiche studiate per garantire un elevatissimo grado di efficienza», spiega Francesco Poma, project director di Per- Genova, il consorzio composto da Fincantieri e da Salini Impregilo, al Secolo XIX. Ci saranno robot che si muoveranno su binari, nello spazio tra i guard rail e la punta esterna, e avranno il compito di pulire le vetrate (attraverso il recupero dell’acqua piovana) e di ispezionare la struttura in modo tale  insieme a specifici sensori - da intercettare immediatamente qualsiasi variazione. Alcuni sensori analizzeranno la temperatura dell’impalcato in acciaio e sarà attivato un sistema di ventilazione che eviterà accumuli di acqua e di condensa, capaci di innescare fenomeni di corrosione. Allo stesso modo, si cercherà di convogliare più acqua possibile in una canalizzazione integrata (e invisibile) per evitare che la pioggia che cade sull’asfalto del ponte poi scorra sulle pile, accelerandone il degrado. La realizzazione del Ponte si sta concludendo in un tempo breve per la burocrazia italiana. Infatti, diversamente dalle altre opere pubbliche, con il provvedimento del 15 novembre del Commissario straordinario, è stato preso atto della necessità di avviare una consultazione di mercato finalizzata all’instaurazione di una procedura negoziata senza pubblicazione di bando ai sensi dell’art. 32 direttiva 2014/24/ UE e del decreto n. 3/2018 per l’aggiudicazione dell’appalto dei lavori di demolizione, rimozione, smaltimento e conferimento in discarica dei materiali di risulta del Viadotto Polcevera, nonché per la progettazione, l’affidamento e la ricostruzione dell’infrastruttura e il ripristino del connesso sistema viario. Si tratta quindi di un metodo di lavoro che prevede la massima semplificazione delle procedure, e che consente la tempestività delle scelte, evitando possibili contenziosi. Una parte dell’opinione pubblica ritiene che il metodo utilizzato sia la strada maestra per la semplificazione delle procedure per la realizzazione di infrastrutture in Italia, soprattutto in questo periodo di emergenza economica. Un’altra parte ritiene che standardizzare questo metodo possa consentire alla mafia di entrare nel sistema degli appalti più facilmente e favorire fenomeni di corruzione.  
Genoa, Genova, Italy - December 2019: Construction site where collapsed Morandi bridge once stood. First structures (impalcati) of new bridge designed by Renzo Piano are built and placed on pillars
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Il Coronavirus colpisce anche la Biennale di Venezia “Siamo costretti a rinviarla”
L’ emergenza Coronavirus colpisce anche la 17^ edizione della Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. L’evento, dopo un’iniziale riprogrammazione del calendario, è stato rinviato al 2021. Non cambia il programma di “How will we live together?”, mostra curata da Hashim Sarkis, che avrebbe dovuto svolgersi a Venezia dal 29 agosto al 29 novembre 2020. Inizierà, invece, sabato 22 maggio e si concluderà domenica 21 novembre 2021. “La decisione di posticipare a maggio 2021 la Biennale Architettura è una presa d’atto dell’impossibilità di procedere nella realizzazione di una mostra così complessa e di respiro mondiale, a causa del persistere di una serie di difficoltà oggettive dovute all’emergenza sanitaria internazionale in corso”, spiegano gli organizzatori in una nota. La situazione di emergenza ha pregiudicato “la realizzazione, il trasporto e la presenza delle opere e di conseguenza la qualità della mostra stessa”. “In un contesto caratterizzato da divergenze politiche sempre più ampie e da disuguaglianze economiche sempre maggiori, chiediamo agli architetti di immaginare degli spazi nei quali vivere generosamente insieme”. È questo l’appello che Hashim Sarkis, curatore della Biennale d’Architettura e preside della School of Architecture and Planning al Massachusetts Institute of Technology (MIT), ha lanciato ai suoi colleghi. La condivisione è  spiega  il rimedio all’individualismo e alle crisi del pianeta. Ma sottolinea anche all’esigenza di un nuovo “contratto spaziale” che incoraggi il suo vero custode, l’architetto, a coinvolgere nella propria ricerca altre figure professionali e gruppi di lavoro. Artisti, costruttori, artigiani, dunque, ma anche politici, giornalisti, sociologi, cittadini. “Questa mostra  precisa Hashim Sarkis  vuole affermare l’idea che è proprio in virtù della sua specificità materiale, spaziale e culturale che l’architettura orienta i vari modi di vivere insieme”. Con l’interrogativo “How will we live together?” (“Come vivremo insieme?”) che  il titolo all’edizione di quest’anno, Sarkis cita Aristotele che “quando si pose questa domanda per definire la politica, propose il modello di città”. Il mondo cambia e l’architettura deve cambiare con lui. È su questo punto che la Biennale di quest’anno si interroga: quali strade seguire? Una strada è forse tracciata dall’attivismo emergente di giovani architetti  chiamati a proporre alternative  e alle revisioni radicali concepite dalla pratica dell’architettura per affrontare queste sfide. La Mostra, come da anni, sarà ospitata dal Padiglione Centrale e dai Giardini, oltre che dall’Arsenale e da Forte Marghera. Saranno 114 i partecipanti in concorso, provenienti da 46 paesi diversi. La partecipazione diventa sempre più variegata con una più forte presenza di architetti africani, sudamericani e asiatici.    Leong Leong, “View from Santa Monica Boulevard with Adminstrative Offices to the left and Youth Housing to the right,” Anita May Rosenstein Campus, 2019. Courtesy Iwan Baan    Olalekan Jeyifous and Mpho Matsipa, Liquid Geographies, Liquid Borders, 2020. Courtesy Olalekan Jeyifous    Lina Ghotmeh  Architecture, “Stone Garden North Façade”, Stone Garden under construction a year ago, 2020. © Takuji Shimmura  Al di  della canonica mostra, la Biennale Architettura 2021 ospiterà la Stations + Cohabitats, ricerche fuori concorso sui temi della Mostra, sviluppate da ricercatori di università di tutto il mondo. Saranno 63 le nazioni partecipanti all’esposizione negli storici Padiglioni dei Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia, con tre interessanti new entry: Grenada, Iraq e Uzbekistan. Il Padiglione Italia sarà collocato alle Tese delle Vergini (Arsenale). Sostenuto e promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, sarà curato da Alessandro Melis. Al Padiglione delle Arti Applicate (Arsenale, Sale d’Armi) sarà presentato dalla Biennale di Venezia e dal Victoria and Albert Museum, per il quinto appuntamento consecutivo, il Progetto Speciale dal titolo  in questa edizione  British Mosques. In collaborazione con l’architetto Shahed Saleem, il padiglione vuole raccontare la realtà delle moschee faida-te che si sono diffuse in occidente. Tre gli esempi: la moschea di Brick Lane  una cappella protestante divenuta poi sinagoga –, la moschea di Old Kent Road realizzata in un vecchio pub, e la moschea di Harrow Central, costruita accanto alla casa a schiera che ospitava precedentemente i fedeli. “Un tema costante in tutti questi anni è stato quello dei vantaggi sociali che possono derivare dalla presenza dell’Architettura”, ha dichiarato Paolo Baratta durante la conferenza stampa di presentazione, in merito al Progetto speciale. “L’architettura ci aiuta a non sperperare risorse e a donarci qualche grado di felicità”, spiega. “La Mostra di Hashim Sarkis coglie, in uno sguardo ampio, problemi strutturali della società contemporanea. In un’epoca in cui può essere diffusa la sensazione di essere vittime dei cambiamenti e nella quale molti possono approfittare delle paure, dei timori, delle frustrazioni che ne derivano per sviluppare campagne ultra difensive, ci pare utile una Biennale che richiami a tutti che l’identità di una società o di una comunità sta nella qualità dei progetti che è capace di formulare per il suo futuro”. Così, la Mostra di Architettura diviene “anche una “chiamata” al pubblico a farsi visitatore attento, testimone diretto”. A integrare il programma della Mostra dovrebbero essere confermati i Weekends on Architecture  nei mesi di ottobre e novembre –, una serie di conferenze e incontri con architetti e studiosi da tutto il mondo che cercheranno di rispondere alla domanda How will we live together? Al centro del dibattito le nuove sfide che l’architettura dovrà affrontare di fronte all’inesorabile cambiamento climatico e il ruolo dello spazio pubblico nelle recenti rivolte urbane. Troveranno spazio anche le nuove tecniche di ricostruzione, le forme mutevoli dell’edilizia collettiva.  

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