Obiettivo: internazionalizzareCon il Premio Dedalo Minosse un’opportunità per i giovani

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L’undicesima edizione del Premio Internazionale Dedalo Minosse alla committenza d’architettura (DM) si terrà il 21 giugno 2019, nuovamente nel Teatro Olimpico di Palladio, a Vicenza. Il premio è stato finora promosso da ALA Assoarchitetti per 20 anni in 10 edizioni. Nelle profonde difficoltà che gli architetti e gli ingegneri italiani liberi professionisti stanno attraversando da oltre dieci anni, è evidente che le attività all’estero sono una necessità inderogabile, per coloro che tentano di sviluppare una professione qualificata e organizzata, com’è ovunque richiesto a livello internazionale. È però altrettanto evidente, quanto difficili e costosi siano gli accreditamenti all’estero e quanto ne siano incerti i risultati. Il Premio Dedalo Minosse non è la solita manifestazione autoreferenziale rivolta principalmente agli architetti, poiché privilegiando il committente viene posta al centro la speciale relazione che deve instaurarsi tra cliente e architetto, che insieme creano un’architettura. Questa particolarità consente alla manifestazione di presentare ogni volta un ampio scenario mondiale e di mettere in evidenza, accanto ai più famosi committenti e architetti internazionali, anche una quantità di progettisti italiani, architetti e ingegneri spesso giovani, a volte addirittura fino a quel momento sconosciuti. Non si tratta quindi nemmeno di una delle tante manifestazioni che valorizzano un solo architetto già famoso, magari straniero (certo, le archistar servono, come gli ospiti di ogni show), ma di una vetrina che mette a confronto, ogni biennio, non meno di settanta personalità, affermate o di nuovo ingresso nel mondo del progetto e della realizzazione. Questa caratteristica, unica nel suo genere, s’esplica ancor di più nel corso delle mostre itineranti allestite in Italia e all’estero, con le quali il Premio è stato presentato, anche più volte, in quasi tutte le regioni italiane e almeno in 30 Paesi. In queste circostanze, le realizzazioni di progettisti giovani e maturi, di archistar e di promesse, sono esposte insieme e i protagonisti hanno così l’occasione di conoscersi e di avviare percorsi di reciproco approfondimento e collaborazione. Nella recente tappa a Tokyo, questo processo virtuoso s’è reso più evidente, con la spontanea partecipazione (a proprie spese) di progettisti europei, latino-americani e giapponesi, che hanno così manifestato l’importanza del loro lavoro e della sua promozione, che richiede anche sacrifici personali, come un viaggio di 35 ore da Buenos Aires.
 
Da questo test, è nata l’opportunità d’organizzare con regolarità ulteriori scambi e workshop in Italia e all’estero, dai quali potranno forse nascere intese personali, collaborazioni e prospettive professionali. Appare quindi evidente la convergenza d’obiettivi del Premio, con le finalità istituzionali della Fondazione Inarcassa, che sull’internazionalizzazione punta in maniera considerevole, e che dall’accreditamento internazionale culturale e professionale del Dedalo Minosse può ottenere un’importante sinergia. È un’opportunità che ha un vantaggio, rispetto allo schema classico dei tentativi di penetrazione nei mercati dei servizi di progettazione esteri: quello di potersi presentare non come “cacciatori” di lavoro, ma come cultori, divulgatori e promotori della nostra disciplina. Un Premio che da oltre vent’anni qualifica architetture, architetti – ma soprattutto committenti – è un veicolo che può consentire d’avviare un discorso diverso, un approccio che meglio può creare contatti e occasioni di collaborazione e quindi di lavoro, anche grazie alle presenze delle rappresentanze nazionali (ambasciate, ICE, IIC, Camere di Commercio) culturalmente qualificato, il mondo professionale italiano. Da queste potenzialità nasce l’idea. Il Premio Dedalo Minosse quale momento di presentazione “alta” del nostro Paese: un premio italiano che diffonde nel mondo le opere degli architetti di tutto il mondo, mediante eventi con i quali valorizza i progettisti locali e offre opportunità per quei colleghi italiani, che sapranno cogliere il valore dell’occasione. Un lavoro da compiere senz’altro difficile, impegnativo e articolato, ma gli obiettivi lo giustificano. 
 
 

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“La Città di Pietra”Tra le grotte degli Sbariati
In Calabria, nel cuore del Monte Poro, a poca distanza dalla Costa degli Dei, da Tropea Capo Vaticano e Pizzo Calabro c’è Zungri, uno dei centri più vivaci del territorio vibonese. Conserva un grande tesoro archeologico, l’Insediamento Rupestre detto degli “Sbariati”. Il sito forse  opera di una popolazione orientale che a partire dal VIII secolo sfuggiva dalle persecuzioni arabe e iconoclaste e che si era rifugiata nel meridione d’Italia. Da qui, probabilmente, il nome “Sbariati” ossia sbandati. Giunti a Zungri, si percorre un sentiero a ridosso del centro storico che si affaccia su di una straordinaria vallata da dove si scorge il mare. E a un tratto lo scenario cambia. Ciò che appare agli occhi del visitatore  inimmaginabile.Il nucleo centrale dell’insediamento si sviluppa lungo un’unica direttrice, ma tutto il complesso rupestre, composto da circa 50 grotte o forse molte di più, si articola su una superficie di circa 3.000 mq. Le grotte hanno diverse forme e dimensioni, alcune delle quali dotate di copertura a cupola con foro centrale. Esse sono mono o bi-cellulari, articolate su un solo piano o su due livelli, con scale d’accesso scavate nella pietra. Al loro interno si conservano nicchie (forse votive) e incassi scavati nella parte di arenaria per la sistemazione di mensole, che testimoniano gli usi del vivere quotidiano degli abitanti di questi luoghi. Definito “un eccellente esempio di ingegneria idraulica”, il sito  caratterizzato da una fitta rete di canalizzazione per il deflusso dell’acqua piovana nelle vasche di raccolta, poste a diverse altezze. L’acqua  stata, indiscutibilmente, un elemento fondamentale per la scelta del luogo: infatti l’intero sito  circondato da splendide e cristalline sorgenti. L’insediamento rupestre degli Sbariati, probabilmente, datato intorno al VIII-XII secolo,  stato scavato su preesistenze bizantine costituite da silos utilizzati per la conservazione del grano. Definito “il grande granaio del Poro”, questo posto era lo stoccaggio delle derrate agricole, utilizzate anche come merce di scambio, quindi, dovevano non solo essere conservate ma anche nascoste dalle continue razzie che imperversavano. E questo era un perfetto luogo di nascondiglio e lo fu fino in tempi recenti, quando la popolazione zungrese si dovette rifugiare nelle grotte per ripararsi dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Accanto alla città di pietra valorizzata con accorgimenti mirati e con l’illuminazione artificiale notturna, degno di attenzione  il Museo della Civiltà Rupestre e Contadina, che nasce dalla volontà di conservare il ricordo di un mondo rurale purtroppo oggi ormai quasi scomparso. Si tratta di uno straordinario patrimonio culturale di tradizioni popolari, che ha lo scopo di salvaguardare la “memoria sociale” conservando le ultime testimonianze di una cultura millenaria. Questo museo  la testimonianza di un mondo contadino scandita dalle varie fasi del lavoro giornaliero che inequivocabilmente intreccia la vita dei campi con la vita domestica, con i mestieri artigiani e con la vita religiosa.  il Monumento all’oneroso lavoro dei contadini di un tempo che hanno fatto della terra la loro ragione di vita. Il museo  situato all’ingresso del viale che porta all’insediamento rupestre e rappresenta l’anello di congiunzione tra una civiltà che ha fatto propria la cultura del vivere in grotta, di uomini non solo scavatori ma anche contadini, pastori, apicultori, monaci eremiti che hanno portato in questi luoghi una sapiente cultura che via via hanno trasmesso alle generazioni successive.    Zungri, insediamento rupestre degli Sbariati, particolare interno      Il museo si fonde con l’Insediamento Rupestre. Diventa Ecomuseo, guarda all’ambiente nel suo insieme prefiggendosi di tutelarne il territorio, facendo conoscere al pubblico i beni da tutelare che sono gli oggetti della vita quotidiana, i paesaggi, le architetture, le tradizioni. All’interno  ospitata una mostra, curata da Francesco Pugliese, con immagini e documenti del terremoto che la notte dell’8 settembre 1905 sconvolse la Calabria centro-meridionale provocando 600 morti e migliaia di feriti. Le immagini esposte, pubblicate allora su vari giornali ( Illustrazione Italiana, Domenica del Corriere, Tribuna illustrata, Il Mattino, L’Ora, La Stampa, ecc.) documentano gli effetti devastanti del sisma, i ricoveri provvisori dei terremotati, i primi attendamenti e la costruzione delle baracche, i soccorsi, le iniziative in solidarietà coi terremotati che in forme davvero massicce si organizzarono in tutta Italia. Ma nelle immagini c’è anche uno spaccato delle condizioni sociali ed economiche della Calabria d’allora, le abitazioni, i costumi, l’estrema povertà.     Ma parlando di Zungri e del suo immenso patrimonio storico-culturale e antropologico non possiamo non fare un richiamo ad un altro gioiello che questo centro conserva: il Quadro della Madonna della Neve. Si tratta di un dipinto olio su tavola, recentemente restaurato, di inestimabile valore, autentica opera d’arte risalente alla prima metà del 1500. La chiesa della Madonna della Neve, collocata a 100 m dall’ingresso del sito rupestre,  posta all’ingresso di una delle porte d’accesso al sito stesso e lungo lo stesso costone dove si troverebbero molte fosse che un tempo fungevano da neviere per raccogliere e conservare la neve. Quindi, si desume che la chiesa, oggi divenuta Santuario mariano, non sarebbe stata costruita in questo luogo a caso. Stessa ipotesi  stata sostenuta in un convegno, che si  tenuto lo scorso giugno a Zungri, da Francesco Cuteri che ha posto l’attenzione sul perché gli zungresi avessero insito nelle loro tradizioni il culto della Madonna della Neve e sul perché questa si trovi proprio a Zungri. Oscuro, inoltre, il motivo per il quale abbia questo nome. Possiamo legare il nome della chiesa forse al quadro, di cui non si conoscono le origini. Si tratta forse di una copia, una riproduzione autentica della Sacra Famiglia di Raffaello, che si trova al Louvre: Madonna, Gesù Bambino, San Giovanni e Santa Elisabetta. La composizione dei due quadri  identica, superba ed eccellente  stata la mano che l’ha dipinto, motivo per il quale il quadro di Zungri  stato attribuito alla scuola raffaelliana. Da ricerche condotte su tutte le statue e su tutti i dipinti dedicati alla Madonna della Neve, solo questo quadro di Zungri presenta questa composizione. Il primo documento dove si parla di Zungri, ritrovato alla Curia Vescovile di Mileto, risale al 1310, quando un sacerdote della parrocchia di San Nicola avrebbe versato la decima di due tarì. Questo fatto testimonia che Zungri fosse, già all’epoca, un paese fiorente, pur non potendo affermare se questo fosse già un paese vero e proprio o ancora solo un agglomerato di grotte. Anche questo  un percorso ancora da esplorare che, forse, un giorno, mostrerà nuovi legami con il sito rupestre e porterà risposte alle tante domande ancora presenti.   Documentazione gentilmente fornita dall’arch. Maria Caterina Pietropaolo, responsabile del Museo Insediamento Rupestre di Zungri. Si ringrazia per la collaborazione il sindaco di Zungri, arch. Francesco Galati.   
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La Ferrovia retica Dove gli ingegneri divennero pionieri
In Svizzera le ferrovie sono incredibili opere ingegneristiche. Per affrontare dislivelli e superare montagne, in tutto il ’900 i progettisti hanno dovuto trovare soluzioni innovative e particolari. Le tratte ferroviarie tra Thusis e St. Moritz (Albula) e St. Moritz e Tirano (Bernina) sono esempi eccezionali da un punto di vista tecnico per l’inserimento nel contesto alpino e possono essere annoverate tra le ferrovie a scartamento ridotto più spettacolari del mondo, tra tunnel, ponti altissimi e rampe elicoidali. L’importanza straordinaria delle tratte dell’Albula e del Bernina  dovuta anche al paesaggio circostante. Da un lato un’opera ferroviaria di qualità unica, dall’altro lato una tratta che attraversa un panorama culturale di enorme ricchezza. Inoltre, le opere architettoniche della ferrovia costituiscono un tutt’uno con la particolare topografia.    Una ferrovia patrimonio dell’Unesco. Il 7 luglio 2008 il comitato del Patrimonio mondiale dell’Unesco ha deciso in Quebec (Canada) di inserire le due tratte ferroviarie nell’elenco del Patrimonio mondiale. “La Ferrovia retica nel panorama dell’Albula/Bernina”  quindi la terza ferrovia al mondo, dopo quella del Semmering in Austria e quella del Darjeeling in India, a potersi fregiare di un titolo così ambito.    La “cura del ferro” per salvare l’economia dei Grigioni. La Ferrovia retica nacque per l’intuizione dell’olandese di Willem Jan Holsboer (1834-1898). Nel 1887 riuscì a fondare, finanziare e avviare i lavori della prima linea ferroviaria grigionese, la “Ferrovia a scartamento ridotto da Landquart a Davos”, inaugurata già nel 1889 (fino a Klosters e un anno dopo fino a Davos). Ciò era fondamentale per far uscire la regione dalla profonda crisi in cui era piombata dal momento in cui venne realizzata la Ferrovia del Gottardo e che tagliò fuori i Grigioni dai flussi commerciali che fin dal Medioevo passavano attraverso i passi alpini dello Julier, dello Spluga e del San Bernardino. Ma con l’inaugurazione della ferrovia di Arosa nel 1914, cessarono per un lungo periodo tutte le opere di costruzione ferroviaria nei Grigioni. Esattamente fino al 19 novembre 1999, anno in cui entrò in funzione la linea del Vereina (21 km) tra Klosters e la Bassa Engadina.        Dati sulla rete attuale. La rete attuale, a scartamento metrico,  lunga circa 382 km di cui 61 km, elettrificati in corrente continua 1.000 V (la linea Tirano-Sankt Moritz) e 321 km elettrificati in corrente alternata 11.000 V 16 2/3 Hz. La rete attraversa 84 gallerie, di cui quella del Vereina di 19 km (la più lunga d’Europa tra le ferrovie a scartamento ridotto) e quella dell’Albula (di quasi 6 km) e 383 tra ponti e viadotti. La pendenza massima che i treni devono affrontare  del 7%, sulla tratta del Bernina. I punti di interscambio con le altre linee ferroviarie sono a Landquart, a Untervaz-Trimmis e a Coira con le Ferrovie Federali Svizzere, a Disentis/Mustér con la Matterhorn Gotthard Bahn MGB, e a Tirano con le Rete Ferroviaria Italiana. A Tirano, esistono due stazioni ferroviarie (pur se adiacenti): una italiana e una svizzera.    Un turismo per appassionati di ferrovie. Oggi l’80% dell’economia locale deriva dal turismo, fortemente connesso alla Ferrovia retica. Un meraviglioso paesaggio e un tracciato unico sono molto apprezzati non solo dagli appassionati di treni. Così, oltre 10 milioni di passeggeri si godono ogni anno l’atmosfera unica di un viaggio in treno nei Grigioni. Inoltre, per scoprire e vivere al meglio questo sito Unesco,  stato inaugurato un sentiero escursionistico, il n. 33, lungo la ferrovia per ammirare l’intera opera architettonica. Il sentiero si snoda nei pressi della tratta dell’Albula/Bernina e offre di continuo scorci mozzafiato su questa linea ferroviaria ultracentenaria.    Il trasporto merci “combinato”. Ma la ferrovia non ha oggi solo una funzione turistica. Ogni anno vengono movimentate oltre 600 mila tonnellate di merci sulla rete ferroviaria dei Grigioni. E ciò comporta indirettamente anche un grande contributo ecologico, riducendo drasticamente il traffico merci su strada e di conseguenza l’inquinamento prodotto. Le merci raggiungono la loro destinazione attraverso monti e valli, con un trasporto merci combinato. La Ferrovia retica rileva i container nei moderni centri logistici direttamente dalla FFS e li carica sui camion per la distribuzione capillare. La Posta e la Coop spediscono le merci da Coira e Landquart sui treni mattutini supplementari per inviarle direttamente in Engadina attraverso il tunnel del Vereina così da farle arrivare a destinazione prima dell’apertura dei negozi.   

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