L’imprevidenza e il coraggio di guardare avanti

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Un tempo, non molti anni fa, fregiarsi del titolo di libero professionista significava distinguersi da attività subordinate guardando ad un avvenire ricco di soddisfazioni, impegni lavorativi, innovazioni, sfide. Futuro insomma.
Un futuro che si porta dietro retaggi di impronte ordinistiche e di mestieri nati nei primi anni del ‘900, tuttora regolamentati da leggi e cornici deteriorate e vetuste. Non solo. Oggi esistono professioni che da anni non sono più riconoscibili, mentre già si affacciano nuove qualifiche, nuove attività e modi di operare. Il lavoro non è e non sarà più lo stesso, continuerà a cambiare. Le sue mutazioni si nascondono tra le righe di leggi e norme in continua evoluzione, nelle esigenze della collettività, nella difesa e sostenibilità di un ambiente malato, nella gestione di emergenze sanitarie un tempo impensabili. La flessibilità da un lato e la specializzazione di arti e mestieri dall’altro, sono le sollecitazioni che giungono da un’economia sempre più in trasformazione, sempre più tecnologica e virtuale.
E al tempo stesso siamo un Paese che invecchia. E la vecchiaia, si sa, rende più fragili. Un Paese che ancora mal riesce ad avere una visione da offrire alle prossime generazioni e che – pur confermando stima e ammirazione per l’attuale Governo in carica – ragiona e agisce sull’emergenza. Una miopia, questa, che colpisce tutte le aree produttive, ivi comprese le Casse di previdenza. Ma se non riprendiamo a ragionare sul nostro futuro, sulle aperture e non più sulle chiusure, su quelle che saranno le prossime platee e le nostre risorse, se non impareremo ad andare al di fuori degli schemi, aprendo i nostri recinti per vedere come attrarre professioni che non si riconoscono negli Ordini e che pure hanno bisogno di una loro previdenza, allora anche noi rischieremo di cadere nella più nefasta delle imprevidenze. Sarà necessario guardare alle platee anche intergenerazionali e questo senza rinunciare alla nostra anima libero professionale indiscutibile ed esclusiva. Abbiamo quasi 300 mila professionisti laureati in ingegneria e architettura e anche in area tecnica, ai quali non importa di essere iscritti ad un albo, ma sono liberi professionisti, designer, ingegneri informatici, biomedicali, godono anche di redditi discreti, hanno la partita IVA, non sono dipendenti. Tutti laureati in ingegneria e architettura, che non sono iscritti all’Ordine e vanno a versare alla gestione separata. Iniziamo a pensare da qui.
Il tema delle imprevidenze è esploso con l’Inpgi, la Cassa dei Giornalisti, complice anche la trasformazione dell’editoria e, prima ancora, la velocità di diffusione delle informazioni. La necessità di trasmettere notizie con immediatezza e quindi anche con linguaggi semplificati, attraverso strumenti sempre più avanzati e progressivamente alla portata di tutti, hanno cambiato i mercati della comunicazione, abbassato l’età media di contatto, abbandonato mezzi un tempo ‘di culto’, oramai vintage e affidato ai social network il compito di raccontare ognuno con un proprio personalissimo modello, in tempo reale, la vita quotidiana. Mestieri che un tempo facevano un giornale, sono stati inghiottiti dal processo di digitalizzazione. Di questo, hanno fatto le spese la professione stessa di giornalista e la Cassa di previdenza della categoria.
Le professioni sono circoscritte ad ordinamenti superati: quello degli avvocati e procuratori legali è del 1874; quello dei giornalisti del 1908; dei medici del 1910; dei notai del 1913. Noi, ingegneri e architetti risaliamo al 1923. Ecco, nel 2023 il nostro ordinamento compirà 100 anni. Sarebbe una scadenza importante per cambiare il volto della previdenza legata a queste professioni. Altrimenti si parlerà sempre più spesso di imprevidenza, ovvero dell’impossibilità di poter esercitare tutele sociali per il futuro dei liberi professionisti . 

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