Equo compenso e prestazioni gratuite
Il ritorno periodico di provvedimenti legislativi e di sentenze giudiziarie che legittimano le prestazioni gratuite dei liberi professionisti è il segno preoccupante dello scarso valore che l’opinione pubblica del nostro Paese, prima che la politica, attribuisce al lavoro intellettuale.
Anche la recente sentenza del Consiglio di Stato, legata a un bando del MEF del 2019, definisce uno scenario paradossale: il professionista ha sì diritto a un compenso equo, ma purché sia contrattualmente previsto che il suo lavoro debba essere pagato.
In pratica, la medesima sentenza riconosce il diritto del professionista a essere pagato secondo un principio di equità, del quale i parametri di riferimento sono anche stati definiti, ma allo stesso tempo che tale principio possa non essere applicato, nel caso in cui le parti pattuiscano una prestazione gratuita. Siamo ormai da lungo tempo assuefatti alle situazioni kafkiane del nostro sistema, ma che la medesima sentenza sancisse che, a parità di condizioni contrattuali, siano illegittime le prestazioni sottopagate e legittime quelle fornite gratuitamente, non ci era ancora capitato di vederlo.
Peraltro, l’acutezza dei nostri magistrati non lascia il dubbio che una contraddizione o una lacuna o entrambe esistano nella legislazione vigente, ma proprio questo pone il Parlamento di fronte alla necessità d’intervenire, al fine di garantire sempre, anche ai liberi professionisti come ai lavoratori dipendenti, il diritto di ricevere compensi proporzionati alla complessità e alla qualità della prestazione resa.
Tra l’altro, quando scriviamo queste righe, il Senato non è stato ancora chiamato a votare la proposta di legge sull’equo compenso recentemente approvata dalla Camera e quindi potrebbe ancora correggere le criticità che il mondo delle professioni ha unanimemente già evidenziato nelle scorse settimane. Tra queste la norma per la quale, in caso d’affidamento d’incarichi sottosoglia, sarebbe sanzionato il professionista sottopagato, invece che riportato a un giusto comportamento, il committente prevaricatore, ferma restando la facoltà degli Ordini di reprimere deontologicamente i comportamenti scorretti dei propri iscritti.
Quindi potrebbe essere la volta, attraverso l’applicazione generalizzata e non derogabile del principio dell’equo compenso, di eliminare la possibilità di pattuire prestazioni professionali a titolo gratuito, troppo di frequente praticata soprattutto da alcune P.A., a volte per esigenze di bilancio, a volte per motivazioni meno confessabili.
* Presidente Ala-Assoarchitetti
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