Chiacchiericcio, arma letale

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Chiacchiericcio. Brusìo, bisbiglìo, cicaleccio, mormorìo, parlottìo, ronzìo. Tanto quanto il famigerato gossip – strumento di distrazione di massa e catalizzatore dell’attenzione – il parlare-per-parlare distoglie dai problemi reali e rende impossibile approfondire i contenuti. Ebbene, quel ciacolare di nulla prolungato e molesto, recentemente definito da Papa Francesco “arma letale che divide e uccide”, è nemico della previdenza.

Come spiega magistralmente Heidegger nel suo Essere e Tempo, “la totale infondatezza della chiacchiera non è un impedimento per la sua diffusione pubblica ma un fattore determinante.

La chiacchiera è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare della cosa da comprendere. La chiacchiera garantisce già in partenza dal pericolo di fallire in questa appropriazione. La chiacchiera, che è alla portata di tutti, non solo esime da una comprensione autentica, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste più nulla di incerto”.

Sono in molti a credere che per diffondere la conoscenza della nostra difficile materia, basti ripetere qualsiasi cosa, purché detta – o peggio, scritta – il più velocemente possibile. A far da cassa di risonanza ci pensano i social network, amplificatori d’eccellenza di parole, che creano tendenze su cui lasciar proliferare una cattiva informazione.

Certo, la Rete serve e resta un’innegabile opportunità. Offre accessi preziosi e inedite occasioni di espressione, con stimoli all’aggregazione, alla manifestazione di consensi e di dissensi. Ma va gestita cum grano salis, poiché non può esistere una partecipazione realmente democratica senza quei livelli intermedi chiamati a guidare l’interesse e il bene comune. Ecco, per chi punta a far conoscere la previdenza – a spiegarla e a narrarla – strizzando l’occhio alle nuove generazioni, diventa indispensabile restituire centralità ai contenuti, senza lasciarsi attrarre dalle innumerevoli tentazioni egoiche, tipiche di quest’epoca post-pandemica. Già, perché la solitudine del lockdown ha alimentato il bisogno di ‘esistere’, di mostrarsi per testimoniare la propria presenza in vita, con opinioni ricche di un know how per ‘sentito dire’, tanto fittizio quanto virtuale.

A noi, amministratori di welfare, viene richiesto invece tutt’altro impegno. Un impegno gravoso, che esige tempo e partecipazione. Non sono un caso i centonovanta seminari formativi portati avanti in questi anni. Spuntare l’arma letale del chiacchiericcio sta, infatti, nel condividere percorsi intellettuali e operativi, per assumere scelte consapevoli applicandole alla realtà. Da anni, teniamo alto il confronto sulla relazione fondamentale tra previdenza e lavoro e la necessità di rendere la prima più sostenibile per favorire lo sviluppo del secondo. Ogni giorno ci misuriamo sul valore della solidarietà tra le generazioni e dell’equità tra categorie. Abbiamo così assunto decisioni importanti e conseguenti, senza mai tirarci indietro nel contrastare posizioni che ritenevamo sbagliate.

Nessuna superficialità né distrazione è consentita quando si è responsabili di un bene centrale come il risparmio previdenziale. Un bene, che coinvolge il futuro e la dignità dei nostri associati e delle loro famiglie traguardando periodi di tempo tanto lunghi da ricoprire l’arco di una vita. Essere o apparire? Il tempo stringe ma la nostra Cassa ha già tracciato il suo percorso.

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