Officine Grandi Riparazioni un nuovo spazio per Torino
Ci sono edifici che nascono senza essere straordinari, ma lo diventano con il passare del tempo.
È il caso dell’edificio ad H delle ex Officine Grandi Riparazioni, le “OGR” per chi conosce Torino: negli ultimi venti anni ha fatto parte del panorama urbano, prima come semplice episodio fuori-scala dell’asse ferroviario che tagliava in due la città, e poi, con la realizzazione del Passante ferroviario (l’interramento della linea), come grigia presenza scenografica al limite dell’abbandono lungo il grande viale bianco della Spina Centrale.
Un’area industriale dismessa come tante altre, ma come nessun’altra così centrale e strategica rispetto al cuore storico della città e ai nuovi poli attrattori: la stazione Alta Velocità di Porta Susa, la linea della Metropolitana, il Politecnico di Torino, l’Energy Center, il futuro Polo congressuale dell’Area Ex Westinghouse, il grattacielo Intesa Sanpaolo; una delle ultime capaci di resistere per molto tempo, grazie al suo “carattere” e alla sua “potenza”, alla tentazione della trasformazione, non potendo forse vantare gli appetitosi requisiti di altri blasonati interventi. Una cattedrale talmente ingombrante da ipotizzarne, senza neanche troppo clamore, la totale demolizione in occasione del masterplan per il Piano Regolatore Gregotti-Cagnardi: si preferì, ai tempi, l’ampliamento del vicino Politecnico e la realizzazione di una testata verde al Corso Stati Uniti. Ma, fortunatamente, architetti come Cilli e Zucca fecero conoscere a migliaia di persone la straordinarietà e le potenzialità di questo luogo, aprendone i cancelli a moltissimi cittadini curiosi e ignari, e decretando così la fine di un dibattito molto contemporaneo (e sano) tra azione e reazione, tra interventisti (demolitori) e conservatori, a favore di una tutela perenne del complesso.
Ci sono pochissimi edifici urbani capaci di trasmettere un così grande senso di maestosità e stupore a chi ne varca l’ingresso: 20.000 m2 di superficie coperta, 260.000 m3 di volume interno con una altezza nel punto centrale della campata di più di 16 metri; uno Zeppelin in volo faticherebbe a metterlo tutto in ombra, e, nei suoi grandi spazi liberi, potrebbe contenere almeno quattro moderni aerei di linea. Stupisce il silenzio: i rumori della città stranamente non penetrano e non riecheggiano in questo grande acquario pronto per ospitare potenzialmente qualsiasi cosa.
Nel tempo sono state diverse le ipotesi di riutilizzo e diverse sono state le attività occasionalmente ospitate: vengono sempre ricordati il progetto per il nuovo museo ferroviario piemontese (1979), una ipotesi di galleria d’arte moderna (2003), la mostra (2008) “Torino 011 - Biografia di una città”.
Ma solo nel 2011 viene avviata una importante operazione di messa in sicurezza (temporanea) per permettere all’edificio di ospitare la grande mostra per le Celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità di Italia: il progetto dello studio 5+1AA Alfonso Femia Gianluca Peluffo – ora Atelier(s) Alfonso Femia – assieme allo Studio Pession riuscì a mettere a sistema gli spazi e le numerose installazioni che hanno raccontato l’Italia del passato e del futuro (con un meritevole progetto per le due piazze esterne).
Il Presidente Quaglia ricorda il costante interesse della Città di Torino per la riconversione culturale delle OGR e l’appello rivolto nel 2012 alla Fondazione CRT da parte del Sindaco Chiamparino, affinché questa se ne facesse carico: nel 2013 il complesso è passato in gestione alla Fondazione.
Poi la storia della rifunzionalizzazione è molto breve: avviata il 30 luglio 2014 sotto la guida del Segretario Generale della Fondazione CRT e Direttore Generale di OGR Massimo Lapucci, affiancato da una figura di indubbia esperienza nella gestione di trasformazioni e progetti complessi, l’arch. Marco Colasanti, è terminata il 30 settembre del 2017. Mille giorni di lavoro intenso e circa 100 milioni di euro di investimento complessivo. Rimangono da allestire alcuni spazi, ma ormai il destino dell’edificio per i prossimi decenni sembra essere chiaro.
Torino, OGR interno. Foto: Daniele Ratti
Le complessità delle funzioni e del progetto
L’assetto del programma funzionale (coerente con i contenuti della Convenzione siglata tra Comune di Torino e Fondazione CRT) ha richiesto verifiche multidisciplinari integrate che hanno preso in considerazione diversi aspetti: la dimensione, la tipologia e le peculiarità degli spazi disponibili, il loro grado di accessibilità dall’interno e dell’esterno (da parte dei disabili, dei mezzi di servizio e di approvvigionamento, ecc.), il rapporto di ogni attività con le altre previste, il rispetto delle normative e degli standard impiantistici, i costi di gestione e di realizzazione. Il progetto di FOR Engineering Architecture (supportato dall’esperienza dell’impresa che ha realizzato le opere, la Zumaglini & Gallina SpA) sembra aver raggiunto quell’equilibrio pragmatico tra necessità funzionali, Restauro dell’edificio Vs. Nuova architettura, dotazione tecnologica, costi e tempi di realizzazione, che è ormai indispensabile per portare a completamento operazioni di questa portata.
La messa a punto del “masterplan” prima (sviluppato sulla base di un concept iniziale dello Studio Carlo Ratti e poi ripreso, fino alla progettazione esecutiva, da FOR), e poi tutti gli studi di dettaglio, sono stati sviluppati con l’intento di salvaguardare l’originalità e la percezione complessiva degli spazi interni: a uno sguardo disattento sembrano essere immutati sia l’edificio originale, sia i segni lasciati dal tempo. Nulla sembra essere stato introdotto in modo da costituire nuovi “protagonisti” o in maniera disorganizzata, limitando le visuali e l’orientamento. Molte delle murature interne sono state conservate nel loro stato originale (a meno di semplici consolidamenti degli intonaci e pulizie superficiali) e solo le parti a diretto contatto con i fruitori o delimitanti spazi con particolari necessità igieniche sono state intonacate a nuovo. Il nuovo è del tutto riconoscibile e reversibile, disgiunto dalle strutture esistenti e rispettoso, anche nei colori, di quell’atmosfera che traspare già nelle fotografie storiche degli spazi abbandonati.
> Torino, OGR, Ristorante. Foto: Roberto Mancini
Il programma funzionale è ambizioso e articolato, secondo una idea di contenitore multifunzionale flessibile nell’uso e nel tempo:
- L’officina Nord, con una capienza massima di 4.700 persone, è il luogo dell’arte, delle mostre, degli eventi, della digital gallery, e dei concerti di ogni genere e volume (gli studi acustici di progetto sono stati effettuati con complesse simulazioni dalla società Peutz Group, consulente del gruppo di progettazione) secondo configurazioni modulari e con usi anche contemporanei. Al centro il “Duomo”, i cui 19 m di altezza interna erano utili a posizionare in verticale i vagoni da lavorare, ospiterà conferenze e momenti di alta rappresentanza.
- L’officina Sud (i cui lavori saranno terminati nella prima metà del 2018) è lo spazio del lavoro e della ricerca, organizzato in spazi modulari ideali per la maturazione di start-up e di realtà innovative.
- Il Transetto diviene “Snodo” di collegamento tra le due grandi maniche, a supporto ricreativo e ristorativo delle attività insediate e non solo: operano due ristoranti, un cocktail bar e un “tavolo sociale”, lungo ben 25 metri.
Introduce alle funzioni e prova a dialogare con il contesto (forse con una modalità un po' troppo esuberante) la nuova “piazza pubblica” su Corso Castelfidardo, progettata dal team di Building Engineering (come anche l’allestimento dell’area ristorazione e i “volumi uffici”, ancora in fase di completamento).
I nuovi pavimenti radianti
All’interno dell’Edificio ad H sono stati realizzati più di 20.000 mq di nuovi pavimenti in calcestruzzo armato con fibre artificiali, dello spessore di 20 cm, adatti a sopportare il transito di mezzi pesanti per la manutenzione e l’allestimento (1.000 kg/mq di resistenza). I nuovi massetti contengono, oltre alle carpenterie di armatura e al sistema di giunti bidirezionali che ne permette la dilatazione controllata, la rete di tubazioni lunga più di 60 Km dell’impianto radiante a terra per il riscaldamento dei grandi volumi.
Le coperture moderne e le capriate storiche
Nel corso delle lavorazioni di smantellamento dei pannelli di chiusura delle falde di copertura dell’Edificio ad H sono state riscontrate importanti problematiche sui nodi strutturali dell’orditura della copertura delle Maniche Nord e Sud.
Per eliminare tali criticità strutturali è stato necessario intervenire con la sostituzione degli elementi lignei ammalorati o di dimensioni incongruenti, con elementi in carpenteria metallica (profili in acciaio ad “Ω”) a compensazione delle quote di copertura.
Sono stati inoltre sostituiti alcuni elementi strutturali in legno dei quali si è verificato un inadeguato stato di conservazione, in particolare nei punti di giunzione e chiodatura.
Dopo attenta ispezione ravvicinata e puntuale, è stato poi necessario intervenire su molte giunzioni metalliche con la sostituzione, previa verifica, di elementi di fissaggio quali viti, bulloni, rondelle e dadi di serraggio.
Complessivamente si è intervenuti su oltre 8.000 nodi metallici e lignei, con la necessaria sospensione parziale di alcune lavorazioni già in corso e la successiva riprogrammazione degli interventi.
Le normative di sicurezza all’incendio hanno poi imposto la protezione delle strutture portanti con vernice intumescente in strati successivi (il cui numero è stato determinato in funzione del grado di resistenza delle diverse componenti) di tutte le strutture principali (capriate, arcarecci, colonne in ghisa, ecc.) per garantire una resistenza al fuoco minima di 60 minuti.
Nei casi più critici (aste verticali sottili delle capriate) è stato necessario porre in opera fino a 7 strati successivi. In totale sono stati utilizzati circa 30.000 kg di vernici intumescenti.
I nuovi serramenti in acciaio
L’intervento di rifunzionalizzazione ha reso inevitabile un intervento integrale sui serramenti, sostituendo i telai esistenti in ferro (molte volte addirittura senza lastra vetrata) con infissi a taglio termico e bassa trasmittanza in ferro verniciato e costruiti sulla base dei disegni tecnici degli architetti (Studio Carlo Ratti), con l’approvazione della Soprintendenza.
Complessivamente sono stati sostituiti 1174 serramenti per una superficie complessiva maggiore di 6.000 mq. Oltre ai serramenti, sono stati sostituiti 33 portoni, realizzati in acciaio di tipo “corten” a doppia apertura (carrabile e pedonale con push-bar), per complessivi 825 mq.
Gli impianti tecnologici
Considerato l’impatto estetico e strutturale di molte delle soluzioni tecnologiche individuate, ogni aspetto di dettaglio è stato oggetto di un approfondito confronto con gli uffici della Soprintendenza, che hanno sempre dettato linee di intervento rigide, mirate alla tutela dell’edificio, ma nella consapevolezza e nel rispetto degli ambiziosi obiettivi del programma di rifunzionalizzazione.
Per distribuire i fluidi caldi e freddi e le dotazioni elettriche nell’intero complesso, senza gravare sulle murature e sulle capriate esistenti e senza introdurre ulteriori elementi tecnologici a vista, sono stati realizzati più di sette tipi di cunicoli infrastrutturali interrati, estesi complessivamente a più di 1,5 kilometri.
Per garantire le potenzialità di riscaldamento e raffrescamento richieste dalle simulazioni, è stato scelto di realizzare un sistema di trattamento dei fluidi basato su gruppi frigo e pompe di calore ad elevata efficienza energetica condensati ad acqua di falda integrato con la rete di teleriscaldamento urbano, al fine di perseguire in ogni situazione climatica la convenienza economica e il risparmio energetico minimizzando l’energia termica necessaria a mantenere la situazione di comfort.
Nella centrale principale posta nella testata ovest della manica sud sono state installate 3 pompe di calore polivalenti e 1 gruppo frigo, controllate e gestite da un unico sistema di supervisione, che soddisfano nel loro complesso il fabbisogno di energia termica pari a 3.400 kW e di energia frigorifera di 3.100 kW.
Il sistema geotermico a ciclo aperto (portata massima 130 l/s) indispensabile per condensare le macchine delle centrali, è costituito da un campo di 4 pozzi di presa e 4 pozzi di re-immissione dell’acqua in falda, oggetto di approfondite simulazioni e analisi di ottimizzazione, anche per evitare futuri effetti di sovrapposizione con i campi geotermici già presenti nel quadrante urbano (Energy Center, Torre Intesa SanPaolo, Politecnico, ecc.).
In inverno le condizioni di comfort nei grandi volumi a tutt’altezza sono garantite da un sistema di riscaldamento radiante esteso ai 20.000 mq di pavimento, annegato nel massetto strutturale del pavimento (comunque capace di reggere, per questioni manutentive, sollecitazioni superiori ai 1.000 kg/mq).
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Nel periodo estivo, le condizioni ottimali di temperatura sono invece garantite da un sistema ad aria, distribuita attraverso canali microforati ad alta induzione in alluminio, ancorati (con staffaggio antisismico) alle capriate della copertura.
Complessivamente le diverse unità di trattamento aria pre-trattano termicamente e distribuiscono negli ambienti più di 185.000 mc/ora di aria dall’esterno all’interno, recuperando con sofisticati dispositivi la quasi totalità dell’energia residua nell’aria prima che sia espulsa.
Negli ambienti chiusi le condizioni termo igrometriche sono invece garantite da terminali idronici regolabili puntualmente.
L’alimentazione elettrica, il cui consumo massimo stimato è di circa 3 MW, è derivata da due nuove cabine di trasformazione realizzate sul fronte di via Borsellino.
La distribuzione delle linee di forza motrice nell’edificio, al fine di garantire la massima flessibilità d’uso degli spazi e la velocità nella realizzazione o spostamento di nuovi allacciamenti, è realizzata con linee di blindo-sbarre aeree (il cui peso è stato verificato essere compatibile con le strutture esistenti) e con un sistema di colonnine perimetrali a terra, mascherate da armadietti su disegno in metallo corten, dotate di prese elettriche e dati per la connessione degli allestimenti.
L’impianto di illuminazione interno è stato studiato come estensione e integrazione della luce naturale dell’edificio che, già nella sua origine industriale, era stata diligentemente valutata.
Si è scelta una tonalità di luce calda (3.000 K) per avvicinarsi alle tonalità naturali e rendere meno asettici gli spazi interni. ■
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