Il principio dell’anomalia dell’offerta: le analogie tra pubblico e privato
Il testo del codice dei contratti licenziato dal Consiglio dei Ministri sembra escludere il ricorso sistematico al massimo ribasso negli appalti pubblici, almeno per gli importi superiori a € 80.000. Tuttavia, nel caso dei servizi d’architettura e ingegneria, oltre l’80% degli appalti non supera tale soglia e le nuove norme lasciano quindi ancora troppo spazio alla discrezionalità.
L’esperienza ci ha ormai assuefatti a parcelle sotto costo, palesemente insufficienti a remunerare prestazioni capaci di generare un’opera di qualità. È quindi appropriato – come il DdL implicitamente afferma – che l’applicazione combinata del prezzo più vantaggioso e della valutazione qualitativa del progetto, sia riconosciuta essenziale per la qualità della realizzazione.
Un ulteriore elemento di garanzia, a nostro avviso, si otterrebbe estendendo la nozione di anomalia dell’offerta economica agli appalti di servizi, in modo d’escludere affidamenti che prevedano un compenso inferiore ai costi necessari per la “produzione materiale” dei servizi.
Il tutto in vista del superiore interesse rappresentato dalla qualità dell’opera realizzata con il denaro pubblico.
Se tutto questo appare chiaro con riferimento all’opera pubblica, rimane ancora scoperto il mercato delle opere private, che con l’abrogazione della tariffa professionale minima ha perduto ogni riferimento legislativo.
Oggi il comune sentire affida alla contrattazione tra committente e architetto la definizione del prezzo delle prestazioni. Ma l’esecuzione di ogni opera, anche di quelle destinate all’esclusivo uso privato, comporta riflessi d’interesse pubblico, tangibili e non tangibili, quali gli impatti ambientale, energetico e acustico, l’estetica, l’impatto funzionale, la sicurezza statica, sismica e antincendio, l’igiene e la sicurezza dell’uso: non può considerarsi indifferente il modo con cui un’opera privata impatta sul patrimonio comune rappresentato dall’ambiente.
Anche in questo caso quindi, il processo che conduce alla determinazione della qualità dell’opera non può essere abbandonato alla sola buona volontà delle parti, senza che ciò comporti la ripetizione degli errori che hanno condotto allo spreco dei beni territoriali e paesaggistici, pur espressamente tutelati dalla costituzione.
È quindi opportuno che lo Stato intervenga come regolatore anche in questo settore – pur nel rispetto della libera iniziativa – per salvaguardarne le ricadute di pubblico interesse, in modo d’assicurare che il contenuto economico dei contratti di fornitura dei servizi possa garantire la qualità della realizzazione. Anche in questo caso la legge dovrebbe vietare la fornitura di prestazioni sotto costo.
Poi su questa base le associazioni professionali di riferimento, come da tempo hanno fatto quelle dei costruttori, dovrebbero occuparsi di redigere i listini dei costi minimi di produzione dei servizi, per fornire autorevoli parametri di riferimento. ■
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