Il Codice dei Contratti è uno strumento inappropriato. L’occasione e i limiti del Correttivo 2025

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* Presidente ALA-Assoarchitetti e Ingegneri.

Il sistema di aggiudicazione e di gestione degli incarichi pubblici sta assumendo una preoccupante e crescente complessità determinata proprio dal Codice dei Contratti. O meglio il Codice nacque con il difetto irrimediabile di voler provvedere all’interno della medesima struttura normativa alla disciplina di soggetti e prodotti che pur essendo destinati a concorrere alla produzione del medesimo oggetto – nel nostro caso l’opera pubblica d’architettura e d’ingegneria – appartengono a categorie profondamente disomogenee: gli architetti e gli ingegneri in quanto autori di opere della creatività e dell’ingegno, e le imprese di costruzione, quali realizzatori di manufatti di varia natura e complessità. Il vizio sta quindi nell’articolazione del testo: il Codice dovendo disciplinare innanzitutto i rapporti tra pubblica amministrazione e appaltatore/ costruttore, assegnò da subito una primaria importanza ai fattori dell’organizzazione, della dotazione di mezzi e strumenti, al trattamento delle maestranze, alle certificazioni, alla capacità produttiva. Rilevammo in proposito fin dall’inizio, assieme ad autorevoli soggetti di rappresentanza del mondo delle professioni, che questa commistione era impropria, in quanto attribuiva all’architetto e all’ingegnere l’idoneità ad assumere gli incarichi pubblici sulla base di valutazioni determinate soprattutto da criteri che non consideravano le doti personali, culturali, di creatività, di esperienza, di capacità d’interpretare i fenomeni socio-economici, che al contrario sono le caratteristiche peculiari del professionista progettista.

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Esempio di questo atteggiamento è la limitazione della validità nel tempo delle esperienze professionali, che invece appartengono all’intera carriera del professionista e che il Codice riduce soltanto a tre o cinque anni, evidentemente intendendole come caratteristiche organizzative anziché personali e culturali. Siamo quindi convinti che la vera battaglia che dovremo nel breve affrontare sia quella di chiedere un codice dell’architettura e dell’ingegneria separato e diverso da quello che regola gli appalti delle opere, anche perché il sistema vigente in Italia, dove sostanzialmente non si bandiscono i concorsi di progettazione, andrà altrimenti in modo sempre più accelerato verso gli appalti integrati e verso formule aggregative di engineering, che sono imprese commerciali più che professionali.
È quindi sì necessario che tutte le rappresentanze dell’architettura e dell’ingegneria s’impegnino per ottenere, nel corso della discussione del correttivo, emendamenti significativi per quanto riguarda i temi urgenti affrontabili: l’equo compenso senza sconti, l’innalzamento della soglia per l’appalto integrato, la limitazione degli accordi quadro, il riconoscimento del ruolo dei liberi professionisti nella direzione dei lavori e nei collaudi, l’aumento dell’arco temporale di validità dei requisiti, una ragionevole attribuzione delle responsabilità ai progettisti esterni alla PA, il ritorno a tre livelli di progettazione.
Ma è bene che tutte abbiano la consapevolezza che nel breve dovranno affrontare assieme il problema nella sua drammatica consistenza, che si concretizza ad esempio negli allegati 1.7 e 1.9 al Codice, che richiedono una completa riscrittura, all’interno di un codice riservato soltanto alle attività di progettazione e di direzione dei lavori.
 

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