Gas ed energia, crisi a filo doppio

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Se la guerra dovesse andare ancora avanti per molto, già dal prossimo anno, per molti, i costi dell’energia diventeranno insostenibili. Notizia di questi giorni è la stima di Goldman Sachs che per il 2023 prevede che gli extracosti energetici potrebbero portare il costo del gas a 400 euro al megawattora, incidendo quindi di circa il 30% sul PIL europeo. Se si arrivasse a questa condizione, poiché anche il costo dell’energia elettrica è legato a quello del gas, per le famiglie italiane, significherebbe un esborso in bollette da circa 500 euro al mese che potrebbero arrivare ad oltre 600 euro al mese con un blocco delle forniture dalla Russia, scenario ad oggi materializzato dalle esplosioni che hanno danneggiato i gasdotti Nord Stream 1 e 2. 
Le conseguenze nell’immediato sono la riapertura di 7 centrali a carbone che nel complesso compenseranno, con il carbone, l’equivalente di circa 3 miliardi di metri cubi di gas, equivale al 5% del fabbisogno nazionale con un impatto ambientale devastante che riporterà il nostro Paese indietro di decenni. Inoltre, nessuno si è chiesto quale sia la dimensione economica per rimettere in moto questi impianti, per lo più risalenti agli anni ’50, che necessitano di adeguamenti in termini di sicurezza ed adeguamenti a norma che nel complesso non sorprenderebbe se i costi arrivassero a qualche centinaio di milioni di euro. A questi costi si aggiungono anche quelli della materia prima. Attualmente in Italia, abbiamo solo una miniera di carbone attiva in Sardegna che produce 1 milione di tonnellate di carbone annui, quantità certamente non sufficiente per il potenziale fabbisogno. 
Avremmo pertanto la necessità di importare almeno 1,2 milioni di tonnellate di carbone annui e, da chi attualmente importiamo principalmente questa materia prima? Oggi il 78% del carbone viene importato dalla Russia, è evidente allora che dovremmo trovare altri canali di approvvigionamento. Teniamo presente che il costo di questa materia prima dal 2016 ad oggi è passata dai 60€/ Ton ad oltre i 100€/Ton, valori che certamente aumenteranno nei prossimi mesi proprio a fronte dell’aumento della richiesta. A lungo termine, inoltre, si sta pensando di cartolarizzare il deficit economico-tariffario, causato dagli extracosti sulle bollette, per ridistribuirlo sotto forma di accise in un arco temporale di 10 o 20 anni, il che vuol dire avere un fardello di debiti per le future generazioni. In tutto questo ragionamento, nel piano del Ministro Cingolani, al netto dell’invito a fare meno docce, ad abbassare di un grado e ridurre di un’ora l’accensione dell’impianto di riscaldamento, forse si trascura l’aspetto della riduzione dei consumi, che potrebbe contribuire in modo significativo nel processo di autonomia energetica. Ragionare sul taglio dei consumi attraverso un cambiamento delle abitudini degli italiani è lodevole dal punto di vista dei buoni principi, ma probabilmente poco efficace in termini realmente pratici.
In tutto questo ragionamento, invece, della riduzione dei consumi ha un certo rilievo il Superbonus. Siamo certi, infatti, che sia economicamente vantaggioso investire centinaia di milioni di euro tra riapertura delle centrali a carbone e importazione dalla Cina della materia prima? Non sarebbe più logico affiancare un piano di efficientamento energetico degli edifici, piuttosto che indebitarci compensando il deficit attraverso l’utilizzo di fonti altamente inquinanti, rendendoci allo stesso tempo dipendenti da un altro Paese straniero?
Se la politica non avesse ostacolato questo interessante incentivo che permette di rinnovare il patrimonio edilizio italiano, già questo inverno probabilmente molte famiglie avrebbero potuto sostenere le spese energetiche. Ad oggi invece sono pochi i fortunati che sono riusciti ad accedere a questo beneficio fiscale. L’esperienza di questa prima fase del Superbonus ha evidenziato che gli edifici sui quali si è già intervenuti hanno ridotto i consumi talvolta anche di percentuali significative. La prima mossa per indirizzarci verso l’autonomia energetica è certamente la riduzione dei consumi attraverso un rinnovamento energetico degli attuali immobili. Soprattutto quando di fronte si ha un patrimonio edilizio altamente obsoleto come nel nostro Paese. Certamente stiamo parlando di una soluzione intelligente ed efficace, che ha bisogno di un arco temporale di lungo respiro, ma è proprio per questo che incentivi come il Superbonus dovrebbero diventare strutturali.
Se non ci si fosse accaniti con tutti i mezzi nel tentativo di bloccare questa legge, invece di migliorarla eliminando alcune storture (solo prime case, solo per classi energetiche E,F,G e/o edifici over 30), già oggi, ci saremo potuti preoccupare un po’ meno per gli effetti energetici di questo conflitto. Confidiamo che, anche alla luce dei futuri scenari, il neo Governo riaffronti la tematica energetica con tutte le valutazioni necessarie, al fine di favorire una vera transizione ecologica per il nostro Paese.
 


I copertina: iStock.com/LeoWolfert 

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