Un modello di CER pubblico/privato

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Si sta verificando, dopo un periodo di approccio guardingo, un notevole interesse per le CER (Comunità Energetiche Rinnovabili) da parte di diversi settori della nostra società a livello nazionale, in particolare cittadini, PMI, artigianato, piccolo commercio; anche alcuni Comuni si sono coinvolti attivando un modello che più di ogni altro può consentire il raggiungimento degli obiettivi della normativa europea REDII (direttiva UE 2018/2001), recepita con D.Lgs. n. 199/2021 dall’Italia, obiettivi che è bene qui riportare:

• aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili;
• ridurre l’inquinamento e la dipendenza dall’estero;
• contrastare la povertà energetica consentendo a tutte le famiglie l’accesso all’energia.
In un precedente articolo già si erano illustrati gli obiettivi delle CER e i vantaggi ambientali che comportano; si era chiarito che tutti i possessori di un POD (Point of Delivery- Punto di Fornitura) possono partecipare ad eccezione delle grandi aziende e delle imprese che producono e commerciano energia. Si erano ricordati gli incentivi che il GSE (Gestore dei Servizi Energetici) riconosce alle CER in base alle direttive che nel tempo emettono il GSE stesso e l’ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente). Si erano indicati i vantaggi per le aziende e per le famiglie derivanti dalla partecipazione alla CER sia dal punto di vista economico (maggiori incentivi e migliore utilizzo dell’energia ottimizzando gli orari in virtù dello scambio tra aziende e famiglie), che sociale l’attenzione alla povertà energetica; inoltre la CER può contribuire a creare un “senso” reale di comunità.
La normativa prevede un criterio cui si devono attenere tutte le CER: non avere fini di lucro; pur mantenendosi osservanti di questa regola però le forme giuridiche possibili sono molteplici:
Consorzio: il Consorzio di aziende non può associare privati cittadini, mentre il Consorzio di acquisto è una forma prevista anche all’interno delle altre configurazioni;
Cooperativa: la società Cooperativa è comunque una struttura aziendale, basata sul principio una testa un voto che non riesce a tutelare la differenza di investimento, di produzione di consumo che ogni socio potrebbe attuare; i controlli esterni (effettuati dall’organismo nazionale cui la Cooperativa aderisce o dalla prefettura) rappresentano una complicazione sul piano operativo;
SB Società Benefit: questa tipologia di società prevede una partecipazione che deve essere approvata dai singoli organi amministrativi delle aziende che intendono associarsi, prevedendo obblighi di scritture contabili e fiscali; anche l’uscita dalla CER potrebbe comportare complicazioni amministrative per la stessa;
Associazione no profit: l’Associazione no profit richiede caratteristiche particolari per l’iscrizione all’albo del terzo settore; la stessa costituzione è complicata tant’è che non tutti i notai sono disponibili a redigere l’atto costitutivo. I controlli sono molto complessi;
Associazione non riconosciuta: questa è la forma più semplice, più flessibile nei percorsi di ingresso e uscita dei soci e meno vincolata nella gestione e nelle attività; è priva di personalità giuridica, ma con suo codice fiscale.
Tra i vari modelli di CER (cui si ricorda possono aderire tutti i possessori di un POD all’interno del perimetro di una medesima cabina primaria) uno in particolare ritengo che sia interessante da valutare perché, anche se comporta un iter procedurale apparentemente più complesso, offre migliori garanzie nella gestione operativa e amministrativa.
Si tratta di un modello nel quale l’attore principale è il Comune che è socio fondatore insieme ad altri soggetti e ciò costituisce garanzia di natura gestionale e sociale in un’ottica di partecipazione democratica.
La formula solitamente scelta è quella dell’Associazione non riconosciuta; la sua costituzione può essere effettuata con una scrittura privata eventualmente autenticata dal Segretario comunale per contenerne i costi; successivamente vengono registrati l’atto costitutivo e lo statuto e richiesto il codice fiscale all’Agenzia delle Entrate. L’Ente pubblico assume il ruolo fondamentale di aggregatore di soci, dato che assicura che non si verifichino intenti speculativi. Inoltre, la presenza dell’Ente garantisce che gli scopi previsti dalla normativa vigente vengano rispettati, in particolare quello del contrasto alla povertà energetica, consentendo alle famiglie in difficoltà di beneficiare anch’esse degli incentivi previsti.
L’Ente pubblico garantisce inoltre una gestione corretta e trasparente della CER e costituisce un elemento di fiducia indispensabile per coloro che intendono aderire alla comunità, promuovendo un corretto equilibrio tra energia prodotta e consumata. Mettendo a disposizione della CER i propri impianti fotovoltaici, l’Ente spesso risparmia sulla spesa pubblica destinata all’energia consentendo o un beneficio fiscale ai cittadini e alle aziende o più servizi alla collettività.
L’associazione viene promossa dal Comune nella persona del Sindaco che ne diviene il primo presidente pro tempore. Il primo consiglio direttivo normalmente si riserva 60/120 giorni per la promozione della CER sul territorio per acquisire le adesioni e quindi convocare la prima assemblea generale che dovrà approvare il regolamento interno. Un software (di cui esistono già esempi operativi) gestirà i millesimi assegnati a ciascun membro in base alla sua capacità di producer e/o di consumer o di prosumer e potrà nel contempo modificare la tabella millesimale in base alla modifica della composizione della CER a seguito di entrate e uscite di associati (sempre possibili in questo modello democratico e libero) e/o alla realizzazione di impianti da parte dei singoli soci.
Il percorso procede parallelamente su più binari:
• l’analisi del territorio: popolazione, realtà produttive e di servizio, immobili, redditi, composizione delle famiglie;
• l’analisi degli impianti di produzione di energia rinnovabile esistenti;
• la valutazione della dimensione attesa della CER;
• l’equilibrio atteso della composizione dei soci per l’ottimizzazione dei consumi e della produzione.
In questo modello è del tutto evidente che l’azione del Comune nel dialogo con le aziende e i cittadini risulta più efficace di altre forme di aggregazione finalizzate alla costituzione di una CER.
Senza contare che il Comune, in caso di necessità, può contare sull’eventuale supporto della propria organizzazione interna. La CER offre solo i servizi essenziali per la sua sopravvivenza, avvalendosi ovviamente di collaboratori e professionisti che si devono occupare dei calcoli per la ridistribuzione dei proventi in seno alla comunità nonché anche della vendita dell’energia prodotta e non utilizzata in seno alla comunità esplorando il mercato per trovare il miglior prezzo di vendita. La CER potrebbe anche contribuire all’economia locale identificando in zona una serie di fornitori e/o installatori di impianti fotovoltaici, pompe di calore etc., nonché di tecnici professionisti per la progettazione, la direzione lavori, la sicurezza e le varie procedure; una sorta di albi verificati anche con l’ausilio del Comune per garantire la competenza dei vari soggetti, lasciando la libertà di scelta comunque ai soci interessati.

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Siamo ancora in una fase sperimentale in termini concreti nella realizzazione di CER e/o CEC (Comunità Energetica dei Cittadini) in qualunque forma; molte sono state costituite ma sono ferme al palo perché la loro attivazione operativa, la comunicazione corretta, l’ottenimento della fiducia da parte degli utenti sono elementi non semplici da ottenere in tempi brevi.
Si riportano infine alcune considerazioni derivanti dalle prime esperienze avviate.
Da notare che quasi sempre l’ambito della cabina primaria non coincide con i confini del Comune, per cui ci si trova di solito ad avere porzioni di territorio di uno o più Comuni limitrofi all’interno dell’ambito della cabina primaria e aree del Comune promotore non ricomprese in detto ambito.
La recente esperienza dell’Ecosuperbonus 110% ha certamente avuto effetti positivi sulla crescita di commesse e di fatturato per imprese e professionisti, ma ha creato distorsioni sia nel mercato, sia nelle aspettative della gente; il ritorno a un assetto più logico può generare effetti positivi (come la discesa dei prezzi) ma necessita di alternative valide e strutturali perché comunque gli obiettivi di una reale transizione energetica sono ormai imprescindibili anche in relazione al conclamato cambiamento climatico, anche indipendentemente dalle risoluzioni governative a livello internazionale e dalle normative vigenti.
La CER ben si inserisce in questo iter essendo uno strumento che consente proprio una impostazione strutturale e non contingente con una distribuzione sul territorio nazionale che può diventare capillare, ma non puntuale, consentendo anche un controllo e una gestione attenta agli aspetti sociali ambientali e in particolare paesaggistici; infatti, soprattutto nel modello riportato in questo articolo con la presenza diretta del Comune, si possono valutare in un’area di estensione significativa (quella della cabina primaria) le superfici complessive dei tetti non solo di edifici residenziali e produttivi, ma anche di immobili abbandonati nonché di quelli pubblici e di quelli agricoli (stalle, magazzini, serre, etc.) al fine di formulare una previsione globale che si auspica – con la creazione di una o più CER – possa nel tempo consentire l’utilizzo di tutte le superfici delle coperture disponibili senza andare ad intaccare terreni che devono sempre più essere mantenuti liberi da strutture di qualsiasi tipo.

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