Cambia la valutazione di resistenza al fuoco degli edifici

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La resistenza al fuoco delle strutture e degli elementi di compartimentazione è una materia che, nel corso del tempo, si è evoluta in maniera molto significativa, addirittura esponenziale negli ultimi anni, soprattutto nel nostro Paese. Nel mondo professionale è, ancora oggi, un argomento considerato di nicchia, sebbene, fin dall’entrata in vigore delle NTC2008, per il progettista strutturale sia diventato obbligatorio calcolare le strutture anche rispetto alle azioni eccezionali.
In Italia la prima normativa che ha affrontato la problematica della resistenza al fuoco delle strutture è stata la ben nota Circolare n. 91 del 14.09.1961, riguardante le “norme di sicurezza per la protezione contro il fuoco dei fabbricati a struttura in acciaio destinati ad uso civile”. Questa norma ha affrontato il problema della resistenza al fuoco delle strutture, valutando lo spessore di materiale protettivo da applicare per garantire una certa classe di resistenza al fuoco. Fino al 2007 questa circolare è stata l’unico riferimento normativo del settore e la sua applicazione è stata estesa a tutte le tipologie strutturali, non solo agli edifici civili in acciaio.
Dal 2007 a oggi il mondo normativo è cambiato, recependo le numerosissime evoluzioni scientifiche che si sono affermate nel tempo in Europa e nel mondo: partendo dai decreti del Ministero dell’Interno del 16 febbraio, del 9 marzo e del 9 maggio 2007, fino ad arrivare al Codice di Prevenzione incendi.
Nel mondo professionale, semplificando, si sono create due “fazioni”: chi lavora nel settore della resistenza al fuoco come faceva prima del 2007 e chi ha iniziato dopo. Per entrambe, spesso, è inconcepibile ciò che è “normale” per l’altra “fazione”.
Oggi, a distanza di 13 anni, si avverte ancora la difficoltà di far comprendere il nuovo approccio agli incendi, nonostante alcuni fenomeni eclatanti (WTC7, Windsor Tower, Greenfell Tower, São Paulo 26-storey building, per citare i più famosi) abbiano evidenziato quanto può essere distruttivo un evento di questo tipo e quali possano essere le conseguenze per le strutture. D’altronde si è passati dalla verifica di quale spessore applicare agli elementi strutturali per garantire la resistenza al fuoco alle modellazioni termostrutturali tridimensionali transienti non lineari, alcune delle quali finalizzate alla verifica dei meccanismi di collasso a causa di un incendio o per prevenire collassi progressivi o sproporzionati. Se in precedenza si parlava solo di classi e carico d’incendio, oggi si discute anche di scenari d’incendio, soluzioni alternative, FSE, meccanismi di collasso, prevenzione di collassi progressivi e di collassi sproporzionati.
Una cosa però è possibile per tutti: evitare di chiudere gli occhi o far finta di niente e rendersi conto che il mondo è cambiato; pertanto non è possibile non affrontare il problema della resistenza al fuoco sminuendolo o ignorandolo, ma acquisendo consapevolezza della sua importanza tecnica e della sua cogenza normativa.
 
Progettazione vs Verifica Il retaggio, che ancora oggi resiste nel mondo professionale è legato al concetto di verifica di resistenza al fuoco. Infatti, sia per costruzioni nuove che per quelle esistenti, si osserva una generale tendenza finalizzata alla mera verifica di queste prestazioni, molto spesso limitata all’applicazione del semplice ma rigido metodo tabellare. Qualora le strutture, così come sono, non garantiscano le prestazioni richieste dal progetto di P.I., difficilmente si prova ad approfondire le analisi oppure a intervenire sulle strutture per migliorarne le prestazioni, ricorrendo invece all’istituto della deroga ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. 151/2011. Questo approccio, se può ritenersi accettabile in alcune situazioni legate a edifici esistenti, diventa alquanto singolare per strutture ancora da realizzare oppure di nuova costruzione.
Nella migliore delle ipotesi, soprattutto per i manufatti in acciaio, il problema della resistenza al fuoco viene risolto utilizzando dei protettivi, che però necessitano di manutenzione nel tempo e, inevitabilmente, prima o poi dovranno essere sostituiti. Si pensi a una vernice intumescente: è sbagliato passare questo prodotto sulla vernice preesistente, bisogna ricreare le condizioni di acciaio nudo e poi passare la nuova vernice. Solo così si ha garanzia di una sua efficace protezione in caso d’incendio.
In merito a ciò, ci si deve chiedere perché non si è pensato a progettare correttamente la struttura rispetto a tutte le azioni significative prevedibili, come previsto dalle NTC? Perché non si è pensato già in fase di progetto a soluzioni tecniche per assicurare le prestazioni di resistenza al fuoco alla struttura? Perché non sono state svolte le adeguate analisi strutturali sulla struttura prima di realizzare l’attività? Sono state valutate le soluzioni alternative?
“In qualche modo si trova sempre una soluzione per la resistenza al fuoco”, rispondono in tanti. Ma è una risposta errata. Infatti, è possibile effettuare delle valutazioni progettuali più spinte di quelle che si è abituati a immaginare, sia con riferimento al cimento termico, avvalendosi di modellazioni più o meno complicate, fino alle metodologie della FSE, che alle prestazioni della struttura, mediante calcoli analitici su singoli elementi e fino ad avvalersi di analisi termomeccaniche transienti non lineari.
Di seguito si riporta un esempio di valutazione di resistenza al fuoco svolto con la metodologia della FSE. In particolare nel caso in esame, si richiede per la resistenza al fuoco il livello di prestazione al fuoco I con soluzione alternativa, ovvero la verifica della tipologia del collasso della struttura, controllando che avvenga in modo implosivo. Questo aspetto rappresenta un’ulteriore novità nel mondo della resistenza al fuoco: infatti, con questo nuovo approccio, poco importa quando la struttura collasserà, l’unico aspetto fondamentale è che lo faccia in maniera opportuna. In generale i telai in acciaio in condizioni di incendio tendono a collassare verso l’esterno, a causa della dilatazione termica della zona esposta all’incendio, che può essere seguita da un progressivo cambio di direzione di spostamento causato del degrado termico dei materiali. La predominanza dell’uno o dell’altro individua il collasso implosivo oppure un collasso volto verso l’esterno. Si cercherà pertanto di progettare la struttura con una gerarchia della resistenza che permetterà, in caso di incendio, di far collassare per primi alcuni elementi nella zona centrale e consentire che questi riescano a “portarsi dietro” il resto della struttura, ottenendo così il collasso implosivo desiderato. Oppure si cercherà di rafforzare le zone perimetrali della struttura sempre con lo scopo di rendere più suscettibile all’incendio la parte centrale della struttura in esame.
Modellando in maniera più avanzata l’incendio (tramite FSE) e con avanzate analisi termostrutturali, nelle quali l’incendio è un dato di input, si riesce a dimostrare che le prestazioni della struttura garantiscono il raggiungimento del previsto livello di prestazione di resistenza al fuoco. Qualora si progetti il collasso implosivo per livello di prestazione II, è bene evidenziare che, oltre alle modalità di collasso, interessa anche il tempo minimo in cui la struttura non deve collassare, pari al valore minimo tra 15 minuti e 2RSET, al fine di non precludere l’esodo dei pochi occupanti presenti in queste situazioni progettuali.
 

Figura 1: Analisi fluidodinamiche di uno scenario di incendio


 

 

Figura 2: Analisi termostrutturali, deformazione ultima


 
Progettazione integrata Il mondo professionale (sia privato che pubblico) deve prendere coscienza che, per evitare di fronteggiare problematiche spesso irrisolvibili o non tecnicamente e finanziariamente poco sostenibili, la resistenza al fuoco deve essere affrontata sin dalle prime fasi della progettazione, al pari di tutti gli altri aspetti edilizi, strutturali e impiantistici. Un edificio correttamente progettato per le azioni sismiche potrebbe risultare inadeguato ai fini della resistenza al fuoco o viceversa; e non possono ovviamente essere trascurate nemmeno le altre azioni eccezionali (urti ed esplosioni), che possono condurre a progettazioni strutturali ancora differenti. Con riferimento alla sola azione eccezionale dell’incendio, soprattutto per costruzioni di una certa importanza (per affollamento, per rilevanza strategica, ecc.), spesso non vengono affrontate per tempo (o per nulla) le problematiche della sicurezza antincendio e della robustezza, definita come la “capacità di evitare danni sproporzionati rispetto all’entità di possibili cause innescanti eccezionali quali esplosioni e urti”. Eppure entrambe fanno parte dei requisiti fondamentali che devono possedere le opere da costruzione (par. 2.1 NTC2018), al pari di sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU), sicurezza nei confronti di stati limite di esercizio (SLE) e durabilità.

 
La progettazione integrata è fondamentale sempre; limitandosi solo agli aspetti di resistenza al fuoco, inoltre, la stessa dipende moltissimo dalla tipologia costruttiva e dai materiali strutturali utilizzati. Esempi banali sono legno e acciaio, che notoriamente hanno ottime prestazioni nei confronti dell’azione sismica, ma non spiccano certamente per il loro comportamento in condizioni d’incendio. E non è possibile valutare correttamente gli scenari d’incendio di progetto con i metodi della Fire Safety Engineering FSE, se non c’è sinergia tra progettisti (architettonico, strutturale, degli impianti tecnologici, fluidodinamico, ecc.), atteso che questi scenari dipendono fortemente dal layout, dalle caratteristiche dei materiali utilizzati, dalla disposizione delle aperture di ventilazione, dagli impianti di condizionamento e ventilazione, dagli impianti di protezione attiva. A proposito di questi ultimi, il Codice di Prevenzione incendi (P.I.) consente di tenere conto degli impianti di spegnimento per ridurre l’azione termica se questi sono definibili “ a disponibilità superiore”: pertanto anche il progettista di questi impianti non può arrivare dopo, ma va coinvolto sin dall’inizio nel processo progettuale.

In questo modo ci sono notevoli benefici per tutti: i committenti beneficiano, soprattutto economicamente, di questa sinergia progettuale, dal momento che tutti gli aspetti sono valutati in maniera integrata, ottimizzandone la realizzazione; i progettisti, che non hanno le mani legate da numerosi e spesso insormontabili vincoli tecnici e possono trovare soluzioni tecniche migliori, potendo spaziare maggiormente nella scelta; la collettività, in quanto il risultato finale sarà certamente migliore di quello ottenibile sommando sequenzialmente il contributo di diversi attori. Chi coordina l’intera progettazione? Chi ha il compito di dettare la linea? Forse è arrivato il momento di pensare, anche per il settore delle costruzioni, a un project manager, una figura che non è ancora diffusa. Nei lavori pubblici dovrebbe essere il Responsabile unico del procedimento (RUP), in quelli privati il responsabile tecnico del committente, ma spesso entrambi non sono sufficientemente valorizzati, anche dal punto di vista economico.
Pertanto la resistenza al fuoco è un aspetto fondamentale nel calcolo delle strutture, che non può normalmente essere trascurato. Solo quando l’incendio non è significativo si può omettere la verifica di resistenza al fuoco. Ma quando è possibile trascurarla? La risposta è in mano al progettista, il quale potrà trarre questa conclusione a seguito di un’attenta valutazione. E quando è trascurabile l’evento incendio in un’opera da costruzione? L’unica risposta sensata, che non richiede valutazioni strutturali di resistenza al fuoco, è un carico d’incendio specifico di progetto inferiore a 100 MJ/mq (se calcolato con riferimento al D.M. 09.03.2007) oppure inferiore a 200 MJ/ mq (se calcolato con riferimento al Codice di P.I., che può essere utilizzato per una progettazione complessiva di P.I. e non solo per la resistenza al fuoco). Con questi valori non sono richiesti requisiti di resistenza al fuoco. Per essere sicuri che il carico d’incendio specifico di progetto sia sempre lo stesso è doveroso ricordare che il carico d’incendio specifico di progetto costituisce un vincolo per l’esercizio dell’attività, per cui diventa fondamentale la conoscenza della destinazione d’uso e delle possibili variazioni di materiale combustibile nell’ambito della vita dell’attività.

 

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