Tra il dire e il fare
Certamente erano buone le intenzioni del D.L. 29 maggio 2024, n. 69, – Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica – cosiddetto decreto SALVA CASA, volte al perseguimento di:
• semplificazione in materia edilizia e superamento delle incertezze interpretative;
• recupero del patrimonio edilizio esistente e riduzione del consumo di suolo;
• rilancio del mercato della compravendita immobiliare.
Ma nonostante la bontà dei propositi la traduzione legislativa degli obiettivi è stata sino ad ora quasi sempre parziale, incerta e di rinvio a successiva disciplina (regionale o a volte anche comunale).
La nuova Legge “deroga senza abrogare” ad altre normative vigenti – quali la Legge n. 115/1942 (disciplina urbanistica), il Decreto interministeriale 144/1968 (standard urbanistici ed edilizi e zonizzazione del territorio), il Decreto del Ministero della Sanità del 1975 (altezza minima e requisiti igienico sanitari) – con le quali le nuove disposizioni potrebbero entrare in contrasto.
E ciò non pone al riparo i professionisti e gli uffici tecnici della PA dal rischio di una non corretta interpretazione.
Nel SALVA CASA si introducono, ad esempio, la riduzione dell’altezza minima degli alloggi e la riduzione delle superfici minime, al fine di asseverarne l’agibilità, vincolando il tutto al miglioramento delle caratteristiche igieniche sanitarie di questi alloggi senza però specificarne i limiti e non dando parametri quantitativi degli adeguamenti igienico sanitari necessari. Come la gradualità delle tolleranze geometriche introdotta non trova l’adeguamento dei requisiti igienico sanitari espressi nel D.M. del 1975 ma viene inserita una tolle ranza del 2% a prescindere dalle superfici utili. Per una omogeneizzazione delle norme sarebbe stato auspicabile avere la stessa gradualità delle tolleranze.

Si rischia quindi una sorta di “derogabilità permanente” in ambiti di competenza di altre normative e di generare criticità nel governo dei territori che necessitano invece di una nuova disciplina urbanistica e di un nuovo codice delle costruzioni.
Da qui l’indifferibilità della riforma del Testo Unico dell’Edilizia nella sua interezza ed organicità. Accanto agli elementi favorevoli del SALVA CASA (tipo: la disciplina dello stato legittimo, l’attività di demolizione e ricostruzione, l’uso dei sottotetti, i cambi di destinazione d’uso, le strutture mobili, pergotende ecc.) è del tutto evidente che il decreto, plaudito da molti e combattuto da altri, contiene un vulnus molto grande: è l’ennesima modifica parziale di una disciplina, il D.P.R. 380/2001, ormai obsoleta e incoerente con altre disposizioni di legge (es. le norme tecniche). Un vulnus che affonda nella ricerca del consenso a discapito della razionalità e della messa in ordine del complesso sistema delle costruzioni.
Il D.P.R. 380/2001 fu promulgato anteriormente all’emanazione delle NTC 2018 e pertanto il TUE dovrà recepire i principi generali, i criteri di pianificazione, progettazione, realizzazione e gestione delle opere strutturali da esse derivanti.
E importante sarà l’introduzione della definizione di livello di affidabilità di una costruzione in relazione al livello di rischio. Occore quindi semplificare le pratiche strutturali: rendendole digitalizzate e unificate su tutto il territorio nazionale con modelli procedurali standard. Analoga definizione, da avere in modo univoco in tutto il Paese, deve esserci sulla classificazione degli interventi rilevanti e non dal punto di vista strutturale. Inoltre si considera essenziale l’istituzione dell’anagrafe delle costruzioni per opere pubbliche e private e l’introduzione del fascicolo digitale della costruzione con la raccolta di tutte le informazioni relative al fabbricato.
Dulcis in fundo: chi sa se rinunciare alla riscrittura del testo, come di fatto è stato fatto, in nome di una semplificazione alla ricerca di facile e immediato consenso sia stata davvero la scelta più giusta per un settore ormai governato dai contenziosi. ■
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