Radioattività nelle case Nuovi obblighi per chi costruisce
La radioattività e i suoi effetti sono da sempre parte integrante della vita dell’uomo. La nostra attività quotidiana è, infatti, caratterizzata dalla interazione con sorgenti e nuclidi radioattivi di origine naturale e artificiale. La radioattività di origine naturale, alla quale siamo esposti quotidianamente, è dovuta ai raggi cosmici e alle emissioni dal suolo, ai materiali di costruzione e al cibo per via della presenza di sorgenti radioattive naturali nel terreno, nelle rocce, nell’acqua e nell’aria. Quella artificiale, invece, è legata alle attività umane in ambito medico, industriale e della produzione di energia elettrica. La pericolosità delle radiazioni è legata all’energia che le particelle radioattive emesse dagli elementi chimici instabili depositano nei tessuti (le grandezze di riferimento in radioprotezione sono la dose assorbita, la dose efficace e la dose equivalente valutate a seconda del tipo di particelle radioattive e della tipologia di tessuto e quindi di organo del corpo umano nel quale l’energia viene depositata). Come emerge da uno studio condotto sui cittadini degli Stati Uniti1, la radioattività naturale contribuisce per circa l’80% alla dose annua assorbita dalla popolazione, e di questa circa il 70% è dovuta al radon. Questo è un gas radioattivo naturale osservato da Marie Curie e identificato da Friedrich Ernst Dorn a cavallo tra Ottocento e Novecento. È presente nelle catene di decadimento delle famiglie di uranio e torio, elementi naturali diffusi nella crosta terrestre. Le catene radioattive sono caratterizzate da una serie di elementi instabili che, decadendo, emettono particelle la cui interazione con i tessuti umani è caratterizzata dalla deposizione di energia con un conseguente danno biologico. Nei primi decenni del Novecento si riteneva che gli effetti dovuti agli elementi radioattivi naturali fossero addirittura benefici. Questa idea aveva portato alla diffusione di prodotti cosmetici, bevande e farmaci a base di elementi della famiglia dell’uranio (il radio, in particolare, dal quale viene generato per decadimento il radon) e al diffondersi di situazioni estreme come ad esempio la prassi di avvolgere i neonati in coperte arricchite di radio. Tuttavia, furono accertati attorno agli anni ‘20 tumori ossei al mascellare di operaie che durante la prima guerra mondiale erano state addette a dipingere le lancette ed il quadrante di orologi luminescenti con vernici contenti sali di radio, così come fu verificato che i minatori che lavoravano nelle miniere di cobalto della Sassonia soffrivano di cancro ai polmoni con una percentuale trenta volte più elevata che il resto della popolazione. Così, è emerso in maniera netta il danno biologico legato alla inalazione e ingestione di radio e radon. Il contributo alla dose, infatti, viene distinto a seconda se si tratta di una esposizione di tipo esterno o a una contaminazione interna legata a ingestione, inalazione o passaggio attraverso ferite cutanee. La pericolosità del radon e, in particolare, di quello presente nella catena dell’uranio naturale, risiede nella sua caratteristica di essere inodore e incolore. Negli ambienti chiusi può concentrarsi raggiungendo talvolta valori anche molto elevati, rappresentando così, come accertato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la seconda causa di tumore al polmone. Il radon presente nel terreno si diffonde nel sottosuolo e può raggiungere l’atmosfera con maggiore facilità quando il sottosuolo è poroso o fratturato, mentre può trovare maggiori resistenze nel caso di terreno compatto, dove sono presenti limi e argille. La presenza di radon all’interno degli edifici è quindi legata alla combinazione di parametri come la concentrazione nel sottosuolo e la porosità del terreno e la sua dinamica è ulteriormente influenzata dalle variazioni di temperatura e di pressione dell’aria tipicamente presente negli edifici (edifici residenziali, scuole, ambienti di lavoro) che aspirano aria contaminata dal terreno. Il tempo in cui il radon dimezza la sua concentrazione emettendo particelle radioattive è di 3,8 giorni. I suoi prodotti di decadimento o “figli” (isotopi del polonio, piombo o bismuto) sono a loro volta radioattivi ed emettono radiazioni. L’effetto dannoso legato al radon è essenzialmente causato dai suoi prodotti di decadimento a vita breve (tempo di dimezzamento entro 30 minuti), che, essendo solidi, si depositano sul pulviscolo presente nell’aria e su finissime particelle sospese, i cosiddetti aerosol, e, per inalazione, si fissano all’interno dell’apparato respiratorio irradiandolo. Al fine di limitare i rischi per la popolazione è necessario ricorrere quindi a un accurato monitoraggio del territorio che, come previsto dalla normativa vigente, le regioni e provincie autonome stanno effettuando. La normativa di riferimento oggi in Italia prende in considerazione i rischi da esposizione al radon soltanto per quanto concerne i luoghi di lavoro fissando “livelli di azione” espressi in termini di concentrazione di attività di questo gas nell’aria (500 Bq/m3), il cui superamento richiede azioni di rimedio (bonifica sull’edificio o sui sistemi di ventilazione). Questi valori sono espressi in termini di concentrazione media annuale, essendo questa molto variabile sia in termini giornalieri che stagionali. I riferimenti sono rappresentati dal decreto legislativo del 26 maggio 2000 n. 241 e dal decreto legislativo n. 230 del 17 marzo 1995 che regolamentano le attività lavorative in particolari luoghi esposti al rischio radon quali tunnel, stabilimenti termali, catacombe, grotte e, comunque, in tutti i luoghi di lavoro sotterranei, oltre che le attività lavorative estrattive. La recente direttiva 2013/59/EURATOM introduce rilevanti aggiornamenti alla vigente normativa di radioprotezione anche nel settore radon, indicando il livello di riferimento in termini di concentrazione nell’aria, oltre il quale è necessario intervenire (scende a 300 Bq/m3). Inoltre, la direttiva richiede l’applicazione del Principio di Ottimizzazione allo scopo di mantenere l’esposizione al minimo ragionevolmente possibile tenendo conto delle conoscenze tecniche e delle condizioni economiche e sociali.
Emirati Arabi, Lifescapes Beyond Bigness, 16. Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia, FREESPACE, foto di Francesco Galli
Sul tema della prevenzione e della riduzione dei rischi si apre un ampio settore d’interventi che riguarda sia le nuove costruzioni, con l’introduzione di buone pratiche di progettazione ed esecuzione di lavori nelle aree a rischio radon, sia le costruzioni esistenti nelle quali le misure estese su un arco temporale di almeno un anno hanno mostrato la presenza e un rischio associato. L’unico metodo sicuro per accertare la presenza di radon è effettuare la misura, tramite appositi rivelatori. Infatti, edifici adiacenti possono presentare concentrazioni del gas totalmente diverse, in quanto la sua propagazione nel terreno e la sua penetrazione negli edifici avvengono in base alla tipologia di contatto tra edificio e suolo e all’uso di particolari materiali da costruzione. Per questo, risulta molto complessa una valutazione teorica della concentrazione del radon. Il radon si insinua negli edifici per convezione termica che nasce dalla differenza di temperatura tra edificio e suolo (con correnti d’aria che trasportano il radon dal suolo all’interno per depressione, attraverso crepe, fessure o altri punti non a tenuta nelle fondamenta o nei muri) e in corrispondenza di crepe e giunti in pavimenti e pareti, fori di passaggio cavi, tubazioni e fognature, pozzetti e aperture di controllo, prese della luce nelle pareti della cantina, camini, materiali permeabili come solai in legno, laterizi forati, muri in pietra. In linea di massima i metodi per la protezione preventiva dei nuovi edifici sia per il risanamento di quelli esistenti sono simili e consistono nella riduzione della concentrazione di radon nel suolo, nella prevenzione di ingresso del gas nell’edificio e nella rimozione del gas dagli ambienti. Tra gli interventi più importanti si segnalano la depressurizzazione del suolo, la ventilazione del vespaio, la sigillatura delle vie d’ingresso e la pressurizzazione dell’edificio, mentre la tecnica principale di riduzione della concentrazione di radon dopo il suo ingresso all’interno dell’edificio è l’installazione di sistemi di ventilazione meccanica forzata. La differenza fondamentale che riguarda nuove e vecchie costruzioni risiede nella circostanza che gli interventi su edifici esistenti siano legati ad una valutazione complessiva che tenga conto dell’efficienza dell’abbattimento del radon e dei costi di installazione ed esercizio. Per le nuove costruzioni, le misure di prevenzione sono calcolabili e comportano costi supplementari relativamente modesti, mentre lo stesso tipo d’interventi, se applicati a costruzioni esistenti, non in fase di ristrutturazione, possono ovviamente comportare costi e disagi inaccettabili. Un elenco dettagliato dei possibili interventi è ben descritto da alcuni documenti pubblicati dalle agenzie regionali ARPA per la protezione dell’ambiente del Friuli Venezia Giulia e della Toscana, le quali hanno provveduto ad effettuare una rilevante campagna di prove sperimentali sul territorio e compilato schede descrittive di possibili interventi di risanamento o buona prassi di progettazione. Con la pubblicazione della nuova Direttiva Europea numero 59/2013 approvata il 5 dicembre 2013 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 17 gennaio 2014, è divenuto – inoltre – obbligatorio per tutti gli Stati Membri dotarsi di un Piano nazionale radon (PNR) da aggiornare periodicamente per realizzare, in modo coordinato a livello nazionale, il complesso di azioni necessarie per ridurre il rischio di tumore polmonare associato all’esposizione. In campo edilizio il PNR raccomanda che negli strumenti urbanistici (piani regolatori, regolamenti edilizi, ecc.) di tutti gli enti preposti alla pianificazione e al controllo del territorio, sia introdotta la prescrizione per tutti i nuovi edifici di adottare semplici ed economici accorgimenti costruttivi finalizzati alla riduzione dell’ingresso del radon e a facilitare l’installazione di sistemi di rimozione del gas che si rendessero necessari successivamente alla costruzione dell’edificio. Analoghe prescrizioni dovranno essere previste per gli edifici soggetti a lavori di ristrutturazione o manutenzione straordinaria che coinvolgano in modo significativo le parti a diretto contatto con il terreno. Non resta che attendere l’imminente recepimento della Direttiva Europea che segnerà certamente una nuova era nella progettazione degli edifici in aree a rischio radon e inevitabilmente rappresenterà un volano per il risanamento degli edifici esposti a questo rischio in un’ottica di prevenzione e protezione della salute della popolazione e dei lavoratori esposti. ■
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