Le dimore, testimoni di vite importanti, private del loro “genius loci”

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Rileggo in questi giorni un appassionato scritto di Vittorio Sgarbi del 2021, dedicato alle sorti della casa museo di Federico Zeri a Mentana.

Non solo Vittorio Sgarbi, ma molti personaggi della cultura si sono schierati contro lo scempio e l’incuria a cui questa dimora è stata abbandonata.

Le vicende sono note: le ultime volontà del grande studioso d’arte prevedevano che, a parte alcuni lasciti cospicui a importanti Istituzioni Museali, agli altri eredi e due importanti quadri all’amico avvocato e studioso d’arte Fabrizio Lemme, il corpus, il cuore pulsante delle sue raccolte (biblioteca e fototeca) fosse destinato, unitamente alla casa, alla Università di Bologna, che avendogli conferito la laurea ad honorem, lasciava supporre per questo insieme rispetto e protezione assoluta.

Villa Zeri a Mentana

Certamente nel pensiero del Maestro, il contenuto (biblioteca e fototeca ricchissime ambedue di documenti esemplari altrimenti introvabili) frutto degli studi e ricerche di una vita e il contenitore, la casa progettata dall’architetto Busiri Vici e arricchita da una raccolta di circa 400 epigrafi antiche, costituivano un unicum indissolubile, come una cellula in cui il nucleo, per la vita stessa della cellula, è inseparabile dalla membrana che lo custodisce.

Il fato, o la volontà umana, o un malinteso senso della proprietà hanno voluto diversamente: la casa, svuotata del suo contenuto che ora è a Bologna, nei locali dell’ex chiesa di Santa Cristina ora UniBo, si trova così privata del suo “genius loci” e abbandonata all’incuria.

Una buona parte delle epigrafi sono state rubate e l’immobile messo in vendita come “immobile non strategico appartenente a un Ente pubblico”.

Il pensiero del luogo, amatissimo dal possessore e frequentato in passato da grandi personaggi, uomini colti o amanti dell’arte, rispettato come un santuario ma vissuto pienamente da ogni visitatore, riempie di malinconia.

Personalmente ho conosciuto il Prof. Federico Zeri nell’occasione della sua visita alla mostra di ceramiche antiche “Le mille e una notte”, di cui nel 1990 avevo curato il progetto, dagli allestimenti alla ricerca degli esemplari da esporre, alla scelta di un titolo che ha attratto e suggestionato migliaia di visitatori, al catalogo, redatto in maniera puntuale e approfondita da eminenti studiosi della materia.

Le ceramiche esposte, di antica cultura ispano- moresca, persiana, turco-ottomana, spaziavano, come epoca, dal XII al XVII secolo e provenivano dai più prestigiosi musei non solo italiani: il Louvre, il Top Kapy, l’Institut du Monde Arabe di Parigi, il Musèe des Beaux Arts di Lione, ecc.

Quell’esperienza ha rappresentato per me, che ho progettato molti eventi – mostra, un momento fondamentale di crescita culturale e conoscenza. In quel periodo ebbi modo di incontrare tanti studiosi dell’arte, da Ernst Gombrich a Marthe Bernus Taylor, specialista dell’arte islamica, da Vittorio Sgarbi a Eugenio Riccomini.

Accompagnai il Prof. Zeri nella visita a tutto il percorso mostra, rimanendo lui incantato dalla rarità e preziosità dei pezzi esposti, che, nelle osservazioni di lui, rivelavano anche a me, che pure conoscevo bene la mostra, aspetti nuovi e sorprendenti.

Rimase da mattino a sera, attardandosi assai più di quanto io sapevo essergli abituale. Mi regalò anche dei preziosi consigli in rapporto alla contrapposizione delle esposizioni della ceramica antica legandole alle espressioni degli artisti del ‘900. Seguii questo suggerimento negli anni successivi con l’alternanza biennale di antico e moderno e presentando, nella cadenza del Concorso Internazionale della Ceramica, le mostre dedicate a grandi artisti moderni come Picasso, Mirò, Burri.

Il complesso museale di Santa Cristina a Bologna

La conversazione con Zeri spaziò dall’arte ai personaggi che la frequentavano e parlammo anche di Vittorio Sgarbi.

Fra di loro era nato un contrasto, di cui la stampa aveva forse esasperato i toni e le dimensioni.

Ma, anziché polemizzare, o ribadire il proprio punto di vista, Zeri con signorilità, ma non senza l’ironia che lo distingueva, mi disse di ritenere Sgarbi una delle figure più geniali e colte del mondo dell’arte, ma la vita sempre in corsa che conduceva non gli avrebbe consentito di produrre quell’opera letteraria importante, che invece la sua cultura e i suoi estimatori avrebbero meritato!

Le Mille e una Notte. Ceramiche persiane,
turche e ispano moresche (Faenza Editrice, 1990)

Un aspetto che mi ha sempre affascinato della sua personalità, che emergeva anche dalla nostra conversazione, era anche l’autoironia: quell’autoironia che, qualche anno dopo, lui avrebbe sfoggiato con nonchalance nelle dissacranti incursioni in TV (lo ricordiamo asserragliato dentro una immaginaria trincea, oppure abbigliato da neonato poppante con tanto di cuffietta e biberon!) accanto a Gianni Ippoliti nella trasmissione “Processi somari”.

Dopo la visita a “Le Mille e una notte” il Prof. Zeri dichiarò ai giornalisti “La rassegna de ‘Le Mille e una notte’ è splendida e allestita in modo magico e ne sono rimasto incantato!”.

Nei giorni seguenti a quella dichiarazione e alla sua visita alla mostra, promossa da televisione nazionale, giornali, e grandi antiquari, Faenza fu invasa da migliaia di visitatori.

Di quell’incontro mi rimane anche una bellissima lettera, che il Prof Zeri mi fece pervenire alcuni giorni dopo, intensa di apprezzamenti positivi sulla mostra e sui criteri espositivi che avevo adottato esaltando ogni pezzo posizionandolo su cubi di cristallo trasparente, dove il piano d’appoggio di ogni oggetto era costituito da sabbia di vetro che incideva di luci ed ombre gli oggetti esposti moltiplicandone la leggibilità. Le parole di quell’uomo, che aveva creato musei come il Getty Museum, di Malibu, che aveva curato la collezione di pittura italiana del Metropolitan Museum di New York, che aveva ricevuto incarichi dalle più prestigiose Istituzioni e gallerie Italiane e straniere mi riempirono di orgoglio ed emozione.

Quella stessa emozione che oggi mi porta a meditare sui destini di altre dimore, amate testimoni di vite importanti e che hanno poi subito destini diversi: penso alla malinconia e al degrado che circonda la villa “La Colombaia” appartenuta a Luchino Visconti a Forio d’Ischia.

L’edificio, costruito in stile neogotico sul finire del 1800, sorge, colorato di bianco e azzurro, in posizione dominante sul promontorio del bosco di Zaro, aperto sul mare verso l’infinito e circondato dalla lussureggiante macchia mediterranea.

Villa “La Colombaia” a Zaro di Ischia

Luchino Visconti, che trascorreva sull’isola i suoi periodi di riposo, ne venne in possesso acquistandolo negli anni ’50 e ne affidò la ristrutturazione all’arch. Giorgio Pes.

L’interno fu corredato secondo il gusto del regista con importanti arredi e finiture liberty, le finestre ogivate arricchite con vetrate multicolori e pavimentazioni provenienti dalla demolizione di antiche ville.

La villa, con la presenza del regista, si aprì a tanti ospiti e momenti di mondanità e di vita culturale che intensificarono la realtà culturale dell’isola.

La sepoltura di Luchino Visconti e della sorella Uberta

Scomparso Visconti iniziò la decadenza. Ora, spogliata degli arredi, asportate le vetrate multicolori, passata di proprietà al Comune, appare in contrasto con lo splendore del mare e la magica luminosità dell’isola, come un contenitore vuoto e trascurato sia all’interno che all’esterno, ufficialmente aperta al pubblico, ma difficilmente visitabile.

Nel disordine globale una scala in ferro arrugginita conduce a uno dei terrazzi che, circondato da merlature in stato di precarietà, si apre su di un panorama mozzafiato.

L’interno, quasi completamente vuoto, è stato nel tempo utilizzato come contenitore per qualche mostra fotografica.

Oggi ciò che amareggia di più è sapere che, a pochi passi dalla villa, dove comincia il bosco rigoglioso, in un punto segnato appena da una grossa pietra rocciosa riposano, impotenti testimoni di tanto scempio, le ceneri del regista assieme a quelle della sorella Uberta!

Nel 2021 La Colombaia è stata oggetto del Concorso per il Premio Internazionale di Restauro delle Architetture Mediterranee. Non ho potuto sapere l’esito del concorso, ma auspico, almeno per questa dimora, la dignitosa rinascita, che la testimonianza di un grande uomo come Luchino Visconti e della sorella Uberta Visconti meriterebbe.

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