Le ceramiche di Vietri

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Le ceramiche di Vietri sono una delle più famose eccellenze del made in Italy in tutto il mondo. Piastrelle e maioliche per l’arredo degli appartamenti e talvolta anche di facciate di chiese ed edifici sono il frutto del sapiente lavoro di artigiani della cittadina sorrentina, che tramandano le tecniche realizzative di generazione in generazione. Alle ceramiche di Vietri abbiamo dedicato la copertina e il fil rouge fotografico di questo numero della rivista. Le ceramiche racchiudono tutti i colori della Costiera amalfitana: l’azzurro del cielo, il blu intenso del mare, il bianco delle onde, il giallo del sole e dei limoni, il verde smeraldo della vegetazione mediterranea. Questi colori si accostano per contrasto e non vanno a sfumarsi l’un l’altro, dando immediatezza alle immagini, sintetizzate creativamente. Notizie di una fiorente attività produttiva di ceramiche risalgono al Trecento. Nel Cinquecento, invece, la produzione si è orientata principalmente verso utensili da cucina o comunque prodotti di uso domestico, come scodelle e vasetti. Nel Seicento, una semplice produzione artigianale si è trasformata in vera e propria arte, con ceramiche decorate e legate al culto religioso: acquasantiere domestiche, maioliche con soggetti religiosi ed edicole votive. Intorno al 1920, anche grazie alla diffusione internazionale della produzione vietrese, nella cittadina iniziarono a giungere artisti e artigiani di fama mondiale per scoprire i segreti di questa produzione e contribuendo anche a dare a Vietri una proiezione internazionale. I ceramisti tedeschi, piuttosto abili con la produzione chimica, inventarono il “Giallo di Vietri” e i famosi “cucci”. Le botteghe dove vengono prodotte le ceramiche sono oggi uno spettacolo nello spettacolo da ammirare immergendosi nelle strette vie cittadine. Qui stili e contaminazioni da tutto il mondo continuano a dare forma a questa incredibile arte.

 
Idee e dintorni
Sciare su un inceneritore? A Copenaghen si può ed è al centro della città
Waste-to-energy. È la tecnologia che permette di ricavare energia dalla spazzatura. Ma non si tratta dei soliti termovalorizzatori dove bruciare i rifiuti per alimentare il riscaldamento delle abitazioni o gli impianti elettrici, inquinando l’ambiente circostante. In questo senso la tecnologia ha fatto passi da gigante e ha come fiore all’occhiello il nuovissimo termovalorizzatore di Copenaghen, in grado di ottimizzare la produzione di energia e di minimizzare l’inquinamento ambientale.    Il nuovo inceneritore di Copenaghen al tramonto (Foto di ARC)   Il termovalorizzatore di Copenaghen  da poco inaugurato  è stato progettato dallo studio di architetti danesi guidato da Bjarke Ingels. Inaugurato a fine novembre in centro città sulla Copenhill, è diventato subito una vera e propria attrazione per la capitale danese. Il suo tetto è inclinato per ospitare ben tre piste da sci di diversa difficoltà, due impianti di skilift, un ascensore per le terrazze panoramiche, una parete da arrampicata e una caffetteria. Ma al di  della sua capacità di trasformarsi in attrazione, il nuovo termovalorizzatore di Copenaghen ha due caldaie a grata, in grado di bruciare ciascuna 35 tonnellate di rifiuti ogni ora, con un carico termico nominale di 112 MW. Lo schema tecnico scelto garantisce il massimo recupero di energia elettrica e termica, senza soffrire consistenti variazioni della composizione del rifiuto bruciato. Inoltre, il sistema di condensazione del vapore dei fumi messo a punto per questo impianto, permette un ulteriore recupero del calore, incrementando di circa il 20%, garantendo, quindi, un rendimento complessivo di 107%. A regime l’impianto garantisce energia per il riscaldamento a 140mila appartamenti della città e corrente elettrica a circa 500mila abitanti. Per comprenderne la portata, il termovalorizzatore è simile all’impianto italiano di Figino che fornisce il teleriscaldamento in vari quartieri di Milano, la metà in termini di potenza dell’impianto A2A di Brescia. Ma a Copenaghen non tutti i rifiuti diventano energia. L’impianto, infatti, è anche in grado di suddividere la spazzatura in materiale da incenerire e materiale da riciclare. I metalli vengono estratti dalle ceneri della combustione e anche le stesse ceneri vengono riciclate e trasformate in materiale inerte per calcestruzzo o per il manto stradale al posto della sabbia o della ghiaia. Inoltre, l’acqua della condensazione del vapore contenuto nei gas viene recuperata per reintegrare quella perduta lungo la rete di teleriscaldamento.    Il sistema di gestione della raccolta differenziata (Foto di ARC)   Se in Italia i termovalorizzatori sono al centro di polemiche ambientaliste a causa di elevati livelli di inquinamento, a Copenaghen il problema è stato minimizzato grazie a un particolare trattamento dei gas prodotti dalla combustione dei rifiuti. I gas vengono trattati da un filtro elettrostatico, da un catalizzatore triplo (seguito dall’economizzatore), uno scrubber e soprattutto dal sistema di condensazione del vapore acqueo. Le acque reflue di processo di condensazione vengono trattate in un sistema di precipitazione convenzionale, integrato con filtri a sabbia, filtri a carbone e scambiatori ionici. Il condensato è trattato con un processo di osmosi inversa che produce acqua pulita, potenzialmente priva di sali e inquinanti. Tutto questo processo di trattamento dei fumi si è reso necessario per ridurre i costi delle tasse sulle emissioni inquinanti: per ogni chilo di ossidi di azoto emesso infatti, in Danimarca si pagano 3,3 euro. Ciò ha incentivato l’istallazione di impianti di depurazione dei fumi, riducendo i composti dell’azoto a meno di 15 milligrammi ogni metro cubo d’aria emessa. ■ 
Editoriale
Il gamberetto Pietro
Per comprendere quel che accade nel governo non serve essere fini analisti o accaniti lettori di lunghe articolesse politiche. Basta la filastrocca del gamberetto Pietro. “Il gamberetto Pietro più va avanti più va indietro. Studia le correnti e dopo tanti conti si dirige a nord. Ma quando poi di notte si inverte la corrente, non ci capisce niente. Gira verso sud e non arriva mai”. Dalle storielle ad un’amara realtà, il passo è breve. Prendiamo la pace fiscale, che prevede una serie di azioni volte ad estinguere le posizioni debitorie dei contribuenti nei confronti dell’erario e di altri enti pubblici. È il famoso “saldo e stralcio”. Da un lato il governo vieta a Inarcassa di sostenere i propri iscritti riducendo il peso delle sanzioni, accusandola di favorire l’evasione e danneggiare la finanza pubblica. Dall’altro, non solo rottama i suoi stessi contributi previdenziali ma anche quelli degli altri, ovvero quelli dei liberi professionisti. Da un lato, si spende e si prodiga per l’educazione fiscale e previdenziale, portando nelle scuole il rispetto delle regole e della lealtà contributiva. Dall’altro, legittima processi di rottamazione del risparmio obbligatorio, sapendo che gli effetti saranno ben più gravosi dei benefici, quando la prestazione previdenziale ne risulterà ridotta. Così, con la speranza di sanare le indecisioni del gamberetto Pietro, il prossimo 18 giugno il Tar del Lazio discuterà il nostro ricorso contro la bocciatura, da parte dei ministeri vigilanti, della delibera sulla riduzione delle sanzioni. Mentre il resto del mondo si mobilita in favore della qualità degli spazi e delle opere pubbliche, con processi partecipativi e meritocratici, il nostro gamberetto cambia strada e con la Legge di bilancio 2019, introduce la “Centrale Unica per la progettazione di beni ed edifici pubblici”. Una struttura a cui  alla faccia di trasparenza e concorrenza  le amministrazioni potranno affidare tutti i servizi di ingegneria e architettura per la realizzazione delle opere. Senza contare che agire in modo centralizzato attraverso modelli ripetitivi mina la conservazione e lo sviluppo dei nostri territori, garanzia dell’identità storica e della cultura collettiva. Chissà poi se Centrale Unica, Invitalia, Investitalia, Strategia Italia e Codice Appalti riusciranno mai ad andare tutti nella stessa direzione. Con buona pace dell’agognata semplificazione. Le discrasie sono sotto gli occhi di tutti, anche guardando agli altri fatti recenti. Da quei cinquantasette chilometri del tunnel della Tav, ancora oggi, il prode gamberetto non riesce ad uscire. Per non parlare della Tap, avallata con una clamorosa marcia indietro dopo averne sbandierato il blocco totale. Continuiamo ad assistere ad iniziative scollegate, settoriali e spesso incoerenti con le regole europee e le politiche di livello internazionale. La verità è che al nostro Paese manca una strategia con principi chiari, unitari e soprattutto interdisciplinari, che indirizzi e promuova interventi strutturali e non più straordinari. Siamo architetti e ingegneri liberi professionisti e come tali vogliamo che il nostro Paese recuperi competitività e si riappropri del sistema insediativo e territoriale quale elemento centrale per migliorare la qualità della vita. Non vogliamo più assistere ad un inutile quanto dannoso ritorno al passato. Perché, a dirla con un calzante proverbio spagnolo, “camarón que se duerme se lo lleva la corriente”. ■ 

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