Il paesaggio “disegnato”Gli stradoni nobiliari tra Emilia e Lombardia

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Conoscere, tutelare e valorizzare i parchi e i giardini storici. Sono molti i convegni e le tavole rotonde che si sono occupati negli ultimi decenni di ridare “luce” a queste aree verdi. Questa attenzione si è via via diffusa a partire dal convegno ICOMOS su “La protezione e il restauro dei giardini storici” che si è svolto nel 1981 a Firenze, nel quale si sono poste le premesse per una Carta del restauro dei giardini storici. Viali, passeggiate alberate, veri e propri cannocchiali prospettici dal Rinascimento all’Ottocento inoltrato hanno segnato e “disegnato” parte del territorio dell’attuale regione Emilia-Romagna, arricchendo siti storici o ambiti circostanti ad antiche strutture castellane, nonché alle più scenografiche “ville di delizia” che connotavano l’antico Stato di Milano come ancora ci documentano le grandi e belle incisioni di Marc’Antonio Dal Re (1726 e 1743). Alla cartografia, documento del contesto territoriale, testimonianza del prestigio del casato, complessa orchestrazione figurata ora connotata da una precisione filologica, ora caratterizzata da una stesura simbolica, la colta aristocrazia affidava la memoria dei propri beni: dai terreni ai castelli ai palazzi alle ville, dai corsi d’acqua ai mulini ai fabbricati rurali. Per molti di questi beni è possibile conoscere provenienza, ampliamenti, passaggi, vendite, permute ecc. anche attraverso il ricco materiale d’archivio. La documentazione cartografica è inscindibile da quella descrittiva, poiché visualizza il contenuto della ricognizione descrittiva. L’analisi di questa documentazione assume pertanto un pieno valore soprattutto se affiancata dalla rilettura di altri materiali: note di spese, libri di conti, relazioni, contratti ecc. ci consentono di cogliere l’evoluzione dei modi iconografici della rappresentazione del territorio e del paesaggio più in generale. Le grandi e belle mappe, i cabrei, alcuni disegni e le molte proposte per interventi progettuali, documentano da un lato la ricchezza e l’elevata qualità grafica dei materiali cartografici, dall’altro l’intensa attività condotta ad opera di alcune figure di professionisti del rilievo e del disegno. Cabrei e mappe costituiscono anche per le città del ducato farnesiano, Parma e Piacenza e per l’esteso territorio, una testimonianza della “civiltà del vedere”. La traduzione in pianta di terreni, eseguita a vario titolo su commissione della locale aristocrazia, rispondeva non solo al crescente bisogno di illustrare graficamente il patrimonio immobiliare di nobili e di ecclesiastici. Fra il Seicento e il Settecento si registra una progressiva indagine cartografica tesa alla ricognizione del territorio, nella convinzione che il sapere passi attraverso il rappresentare.
 
Antonio Fornaroli, Cabreo sec. XVIII, Piacenza-Archivio di Stato
 
Le cause e le destinazioni di queste carte sono molteplici e differenziate. Misurazione e descrizione di estese proprietà fondiarie erano sovente connesse ad annosi problemi di divisioni di terre e/o deviazione di acque, a questioni di eredità e alla volontà di delimitare i confini fra più nuclei familiari. Fra questo variegato materiale si conservano anche alcune preziose testimonianze di giardini e di viali alberati presenti sul territorio farnesiano, l’area più occidentale dell’attuale regione Emilia-Romagna. Si tratta di un territorio caratterizzato da una ricchezza di giardini storici e di viali alberati che hanno consentito, nei secoli, di modellare il paesaggio seguendo i precetti economici e produttivi di una nascente utopia urbana. L’organizzazione dei coltivi, correlata alla diffusa presenza di architetture castellane, di residenze di villa, di viali alberati e stradoni conducenti alle proprietà patrizie sono i segni preminenti di questo scenario. Lo stradone/viale ha svolto il ruolo di elemento coordinatore dello spazio agrario, sotteso a relazionare in modo funzionale e ornamentale i centri periferici con la rete dei territori confinanti, creando così degli epicentri puntiformi, generatori di nuovi orizzonti del paesaggio extraurbano. L’analisi comparata condotta sulla cartografia storica dei secoli XVIII e XIX di una vasta area compresa fra le attuali Emilia, Lombardia e Veneto, consente di rivalutare i segni che la storia ha sedimentato nel paesaggio, sempre più incalzato da un processo di modernizzazione del territorio, che in modo indifferenziato ne spoglia i caratteri costitutivi, privandolo della sua memoria storica identitaria. Viali alberati e stradoni che conducono alle proprietà patrizie hanno tradizionalmente sottolineato, con la loro assialità, la presenza aristocratica sul territorio. Se ne conservano esemplari testimonianze in Friuli-Venezia Giulia, in Veneto e in Emilia-Romagna; sono purtroppo scomparsi gli scenografici viali alberati delle “ville di delizia” dello Stato di Milano, testimoniati dalle incisioni di Marc’Antonio Dal Re ( Ville di delizia o siano Palagi camperecci nello Stato di Milano, 1726, ed. Il Polifilo Milano 1963). Nella cartografia del periodo farnesiano e nelle successive testimonianze cartografiche e pittoriche si riflettono soprattutto gli impianti aulici di residenze e di giardini, di lunghi viali di accesso che agganciano la villa all’intorno, di complessi rurali che si innestano ai lati del corpo padronale, piegandosi in avanti ad angolo retto e organizzando un’ampia corte. Stradoni alberati e assi viari ombreggiati da filari di pioppi segnano e disegnano, con esibita assialità, la presenza aristocratica. La villa è perno del territorio-campagna tramite il prolungamento degli assi che governano edifici e giardini in lunghi e rettilinei viali di accesso che agganciano la dimora a tutto il resto. L’organizzazione della campagna è scandita da idrovie e da assi viari che tramano il territorio relazionandosi secondo una calcolata sintassi distributiva con le emergenze architettoniche, rurali e di delizia. Un lungo viale alberato traguarda nell’avancorte del castello Trissino da Lodi alla Bastardina e a Corneliano (San Giorgio Piacentino), in prossimità dell’accesso alla villa, il viale si divarica disegnando una Y i cui bracci proseguono rispettivamente nella corte rurale l’uno, nella campagna l’altro. Non si tratta di percorsi viari e di tracciati alberati paragonabili agli stradoni nobiliari presenti nella campagna friulana, né tanto meno dei lunghi tracciati viari che attraversano i giardini delle ville di delizia lombarde testimoniati dalle incisioni del bolognese Marc’Antonio Dal Re (1726 e 1743). Nel ducato farnesiano sono infrastrutture percorribili in carrozza, funzionali a collegare la residenza di villa con le pertinenze rurali, con il territorio, con il parco venatorio, con l’oratorio e con la strada pubblica. La capillarità delle testimonianze ha reso questi segni caratteristici nell’architettura del paesaggio italiano. Le loro peculiarità, viceversa, non hanno finora incontrato l’attenzione degli studiosi, mentre in tempi molto recenti si è prestato interesse al ruolo dello stradone/viale come elemento generatore e di organizzazione razionale dello spazio agrario, connesso a intendimenti funzionali, rituali, ma anche ornamentali, per gli effetti scenografici che queste forme ricorrenti potevano fornire agli allestimenti paesaggistici.
 
Corneliano di San Giorgio (PC), stradone alberato a Villa Rocca
 
Per quanto attiene in particolare al contesto dell’attuale regione Emilia-Romagna, la passeggiata alberata tornò in auge nel Rinascimento, come integrazione scenica della residenza di villa, fungendo da tramite tra edificio e paesaggio. Dal Rinascimento all’età dei Lumi, la funzione di queste passeggiate alberate, lunghi e ombrosi stradoni era per lo più connessa alla valorizzazione delle possessioni suburbane di alcuni grandi casati, legata perciò alla presenza di insediamenti castellani prima e alla diffusione della tipologia della villa poi, caposaldo di un’organizzazione territoriale volta al ridisegno dell’ambito patrizio di riferimento.
Giardino e residenza suburbana si fondono in una unica composizione, impostata secondo precise regole prospettiche, incentrate sul viale alberato. Il rapporto tra il complesso residenziale e l’ambiente naturale circostante è sottolineato da Leon Battista Alberti e da Francesco di Giorgio Martini, che raccomandano di adottare per i giardini gli stessi criteri costruttivi degli edifici attigui, dei quali sono l’estensione all’aperto. Il giardino si caratterizza come l’elemento chiave nel passaggio, che si registra a partire dal Quattrocento, dalla struttura sigillata del castello a quella aperta sul paesaggio della villa. In questo contesto si disegnano i primi assi viari alberati, gli stradoni d’accesso alla proprietà nobiliare che, come gli assi viari e/o fluviali, erano disciplinati da una attenta sintassi distributiva che li relazionava agli edifici dominicali e agli annessi rustici. Il viale enfatizzava il nucleo gentilizio padronale secondo una calcolata visuale prospettica come per esempio a Tavernago e a Fontana Pradosa.
Nel corso del XVIII secolo, l’elemento formale dello stradone nobiliare si traduce, progressivamente, in elemento simbolico, messaggio ideologico che riflette il potere e il rango dei committenti, le cui mire rappresentative sovente ne determinarono l’estensione al corredo vegetale e statuario.
L’asse viario alberato era costituito dalla carpinata, da un filare di pioppi o di gelsi, oppure era delimitato da quinte di acacia farnesiana, direttrici visive che conferivano unità di percezione a interventi edilizi spesso di diversa origine temporale. Nel caso particolare degli stradoni presenti sul territorio piacentino, questi risultano distintivi della persistenza del potere feudale che si estese oltre l’età dei Farnese (1545-1731), permanendo in età borbonica prima e di Maria Luigia d’Austria duchessa di Parma e Piacenza poi. Oggi sull’intero territorio delle province di Parma e di Piacenza, se ne conservano poco più che una decina, parte dei quali ripiantumati nel Novecento. 

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