Il diritto al compenso per i creativi
Una recente sentenza del Tribunale di Palermo ha riconosciuto i diritti d’autore di un progetto per la realizzazione di punti vendita per una catena commerciale, condannando la società committente a risarcire l’architetto per aver replicato in altre sedi il “concept store” disegnato dal professionista, senza il suo consenso.
Il diritto d’autore è l’istituto giuridico che tutela i risultati dell’attività intellettuale attraverso il riconoscimento all’autore dell’opera di vari diritti, sia quelli di carattere morale (relativi alla tutela della personalità di autore) sia quelli di tipo patrimoniale (riguardanti l’utilizzo economico dell’opera creata). La sentenza ricapitola la storia dell’incarico al professionista, gli accertamenti peritali e lo svolgersi degli eventi.
L’incarico conferito al professionista, a fronte di un compenso, prevedeva la progettazione di massima comprensiva di rilievi dei locali, studio del lay-out e redazione di particolari costruttivi e decorativi dell’esercizio commerciale, inclusa la componentistica d’arredamento e gli spazi di servizio; il progetto di allestimento interno dell’intervento, la scelta dei materiali di rivestimento e di esecuzione della componentistica di arredamento, dei corpi illuminanti e delle controsoffittature; la direzione artistica in fase di progettazione e realizzazione della componentistica di arredamento, la consulenza artistica in loco di tutta la parte di componentistica, arredamento e allestimento.
La successiva realizzazione del progetto ha conferito ai punti vendita dei caratteri di riconoscibilità tali da renderli catalogabili nella categoria dei cosiddetti “concept store”, nei quali l’architettura dell’ambiente gioca un ruolo fondamentale e deve estremizzare la percezione dei prodotti e arredamenti, design, luci, musica sono costruiti intorno a una precisa filosofia che pone al centro il cliente.
Nel contratto stipulato tra il professionista e la società era stato espressamente stabilito che l’architetto riservasse a sé la piena proprietà del progetto “nei termini riferiti al diritto d’autore dell’opera artistica” e che questo sarebbe stato messo a disposizione della committenza per il solo negozio per il quale era previsto l’intervento. Il progetto era stato poi esteso, in accordo tra le parti, ad altri due punti vendita.
Successivamente la società aveva replicato in altre tre sedi il medesimo format, senza pattuirlo con il progettista e senza il suo consenso.
L’architetto si è quindi rivolto al Tribunale delle imprese, invocando la tutela del diritto d’autore e qualificando il proprio progetto come “opera creativa dell’ingegno”.
La legge n. 633 del 22 aprile 1941 (legge sul diritto d’autore), ancora oggi in vigore con numerose modifiche rispetto all’originale, definisce la natura giuridica del diritto d’autore introducendo una nozione “bipolare” che vede coesistere autonomamente sia il contenuto materiale (patrimoniale) sia quello morale.
La normativa sul tema è anche integrata dal Codice civile che all’art. 2575 recita: “Formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”.
L’art. 12 della legge sul diritto d’autore, richiamato dalla sentenza, stabilisce che l’autore dell’opera ha: il diritto esclusivo di pubblicare l’opera; il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo originale o derivato; è considerata come prima pubblicazione la prima forma di esercizio del diritto di utilizzazione.
Riassumendo quanto prevede la legge, di concerto a varie interpretazioni e sentenze, possiamo affermare che il diritto d’autore comprende nei vari campi artistici i diritti morali (diritto alla paternità dell’opera, il diritto al ritiro dell’opera dal commercio e il diritto all’integrità dell’opera) e i diritti patrimoniali (diritto di pubblicare l’opera, diritto di riproduzione, diritto di trascrizione, diritto di utilizzare economicamente l’opera, diritto di comunicare al pubblico l’opera, diritto di rappresentare o recitare in pubblico l’opera; diritto di distribuzione dell’opera, diritto di tradurre, diritto di elaborare, diritto di modificare, diritto di noleggiare, diritto di dare in prestito, ecc.).
I Giudici sulla scorta di una precedente sentenza del 2011, specificano e confermano che il concetto giuridico di creatività al quale si riferisce l’art. 1 della legge sul diritto d’autore non coincide con quelli di creazione, originalità e novità assoluta, ma rappresenta “la personale individualizzata espressione di una oggettività appartenente, esemplificativamente, alla scienza, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia”. Un’opera dell’ingegno riceve, pertanto, protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore. La creatività, quindi, non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia.
Anche per la progettazione di uno spazio commerciale si applica la legge sul il diritto d’autore. Con questa lettura del diritto d’autore rientra quindi il progetto di arredamento di interni, nel quale ricorra una progettazione unitaria, con l’adozione di uno schema in sé definito e visivamente apprezzabile, che riveli una chiara “chiave stilistica”, di componenti organizzate e coordinate per rendere l’ambiente funzionale ed armonico, ovvero l’impronta personale dell’autore, ed è proteggibile quale opera dell’architettura, non rilevando il requisito dell’inscindibile incorporazione degli elementi di arredo con l’immobile o il fatto che gli elementi singoli di arredo che lo costituiscano siano o meno semplici oppure comuni e già utilizzati nel settore dell’arredamento di interni, purché si tratti di un risultato di combinazione originale, non imposto dalla volontà di dare soluzione ad un problema tecnico- funzionale da parte dell’autore. Passando alla quantificazione del danno, i Giudici osservano che è escluso il risarcimento del danno morale in quanto il progetto non è stato alterato, svilito o utilizzato per finalità estranee rispetto a quelle per cui è stato creato. Non ricorre contraffazione o plagio né che sia stata pubblicizzata o attribuita ad altri la paternità del progetto, in quanto la società ha affidato ad altri la realizzazione esecutiva dello stesso.
Resta innegabile, invece, la violazione del diritto di sfruttamento dell’opera spettante all’architetto e pertanto i Giudici hanno valutato il danno, quantificando il compenso dovuto con il raffronto rispetto agli importi pattuiti in contratto. L’ultima ma rilevante decisione scaturisce dall’approfondimento del ruolo tenuto dalla ex collaboratrice del progettista, anch’ella coinvolta nella sentenza di condanna. Per quest’ultima, escludendo l’appropriazione della paternità del progetto, risulta invece appurato da messaggi inviati su vari social che la stessa, dopo il licenziamento da parte del professionista, ha concorso con la società convenuta nell’usurpare il progetto al fine di darne esecuzione e, pertanto, anch’essa è condannata in solido sia al risarcimento per il danno economico, sia alle spese processuali.■
In copertina: MART Rovereto. Foto Mart, Lorenzo Viesi
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