Sulla demolizione, o del contrasto al consumo di suolo

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Una riflessione su un intervento edilizio che non esiste e sul consumo di suolo

Abito in una città meridionale di media dimensione, che negli anni Settanta ha condiviso con tante altre realtà italiane il percorso di elaborazione e approvazione del Piano Regolatore Generale. L’esigenza era quella di porre sotto controllo l’edificazione massiccia, che aveva da pochi anni cambiato in modo consistente il volto della città, e di fermare la sostituzione selvaggia di parti del tessuto urbano consolidato con “palazzine” svettanti sull’esistente, dissonanti nelle forme e nei materiali rispetto alla città storica. Il Piano, elaborato negli anni del “boom economico”, è approdato in città un anno prima della cosiddetta “austerity”, la crisi petrolifera del 1973/74, con tutto il suo portato culturale di ottimismo progressista: nella prefazione si legge, infatti, che è dimensionato tenendo conto della crescita del numero degli abitanti da 50.000 a 90.000 unità (!). Negli anni seguenti la crescita degli abitanti non c’è stata (siamo 49.000 nel 2022), il PRG, invece, è stato attuato in tutte le sue previsioni volumetriche. In aggiunta, negli anni successivi, sono stati promossi altri strumenti urbanistici che hanno consentito la realizzazione di ulteriore nuova cubatura edilizia (il Decreto Sviluppo, il Piano Casa, il Recupero abitativo dei sottotetti - solo per citarne alcuni) strumenti che hanno contribuito ad aumentare il carico volumetrico in molte parti del tessuto urbano, investendo anche le zone agricole.
Tuttavia, la facilità nel realizzare edifici nuovi ha impedito un reale rinnovamento del resto del tessuto esistente e il suo adeguamento alle esigenze della vita contemporanea: dalla accessibilità al miglioramento strutturale in funzione antisismica, dall’efficientamento energetico all’approvvigionamento di energia rinnovabile. Nella maggior parte dei casi l’esistente è semplicemente rimasto agli standard che possedeva al momento della sua realizzazione. Il risultato di questa attività edilizia si riflette oggi in una spaventosa discrepanza del mercato immobiliare di molti centri del Sud Italia, in cui l’imponente offerta di immobili in vendita non è bilanciata dall’esigua domanda di acquisto.
La diretta conseguenza è nell’abbandono di alcune “vecchie” abitazioni che, per motivi diversi (assetti ereditari, spostamenti migratori, zone urbane non raggiungibili comodamente, ecc.) smettono di essere utilizzati e rimangono silenti sotto l’azione corrosiva del tempo, quella invasiva delle piante infestanti, quella distruttiva dei vandali. Accade nei centri storici, ma anche nelle campagne, e la diffusione di questo fenomeno è maggiore di quanto si pensi, come testimoniano numerosi articoli di stampa sui ruderi urbani, sull’abbandono delle campagne e sul degrado delle periferie.
Abbiamo più case di quelle che ci occorrono, cosa facciamo di quelle che sono inservibili? È possibile, dopo tanto costruire, formalizzare tra gli interventi edilizi un intervento che permetta, ove serve e ce ne siano le condizioni, la “mera demolizione”? È possibile immaginare che anche la “mera demolizione” possa essere sostenuta da un incentivo?


La normativa
Demolire è più difficile che costruire: il Testo Unico in materia edilizia (D.P.R. 380/2001) non comprende, infatti, tra gli interventi edilizi la “mera demolizione”, ovvero la demolizione a cui non faccia seguito alcuna ricostruzione. Le ragioni di questa assenza devono essere inquadrate da un lato nella dominante cultura della conservazione dello status quo e dall’altro nella propensione alla trasformazione attiva del territorio, in una logica che sottende da sempre la pianificazione: la modifica del territorio viene intesa, quasi sempre, come crescita (costruzione - ristrutturazione - ampliamento).
Invece, nella prospettiva di una popolazione in continuo decremento (secondo l’ISTAT in Italia perderemo dieci milioni di abitanti in cinquant’anni), è utile avviare una riflessione sulla trasformazione del territorio nel senso della sottrazione di volume edilizio ed eventualmente della restituzione alla collettività di suolo permeabile. Uno strumento concreto che, sotto stretto controllo urbanistico, permetta di dare un’ulteriore risposta positiva alle politiche messe in campo oggi in favore della limitazione del consumo di suolo. Naturalmente in questo articolo non si tratta degli edifici abusivi, per i quali è intervenuta una ordinanza di demolizione e rimessa in pristino, né degli edifici sottoposti a vincolo o di valore storico, che devono essere tutelati e non possono essere demoliti. Si tratta, invece, di tutti quei casi di edilizia minore e di scarsa qualità architettonica, strutturale o energetica, nei quali il proprietario sarebbe disponibile a rinunciare a volumetrie legittimate da titoli abilitativi esistenti per motivi economici, di sicurezza o igiene pubblica.
Attualmente, chi vuole demolire un edificio, non ha un riferimento diretto nell’articolato del Testo Unico sull’edilizia né informazioni provenienti da altre norme di settore o da sentenze. Può procedere applicando il principio normativo della residualità: poiché l’art. 6 bis del D.P.R. 380/2001 stabilisce che la CILA è utilizzabile per “Gli interventi non riconducibili all’elenco di cui agli articoli 6, 10, e 22” e poiché la mera demolizione non è inserita nel suddetto elenco, per esclusione sembra corretto assoggettarla alla Comunicazione di inizio lavori asseverata.
Tuttavia, è sempre bene controllare la normativa regionale: alcune regioni, infatti, includono l’intervento di demolizione nella propria normativa come intervento da assoggettare a Segnalazione certificata di inizio attività. Ad esempio, la Lombardia1 dispone che tra gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio possa applicarsi la SCIA “per le demolizioni non seguite da ricostruzione, secondo le procedure di cui all’articolo 19 della legge 241/1990 e all’articolo 23-bis, commi 1 e 2 3, del d.p.r. 380/2001”. La Toscana2 include tra le opere e gli interventi soggetti a SCIA “le demolizioni di edifici o di manufatti non contestuali alla ricostruzione o a interventi di nuova edificazione”. Anche l’Emilia-Romagna3 include la demolizione tra gli interventi edilizi soggetti a titolo abilitativo (Art. 9 comma 1) tuttavia non è definito con chiarezza il titolo necessario: se SCIA o Permesso di Costruire.
Un punto fermo è stato posto, qualche anno fa, dalla Sentenza del TAR Lazio n. 3416/2018 che ha stabilito che la demolizione di opere esistenti non richiede il rilascio del Permesso di Costruire: è da «escludere che interventi di mera demolizione di opere già esistenti (ovvero, interventi di demolizione a cui non faccia seguito alcuna ricostruzione), (…), possano essere annoverati tra gli interventi imponenti il previo rilascio del permesso di costruire e, ancora, tra quelli soggetti al previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica da parte dell’autorità competente, attesa la piena idoneità di essi a garantire proprio la salvaguardia dello stato dei luoghi, così come oggetto di tutela da parte del legislatore”.
Tra l’altro l’intervento della demolizione di un manufatto esistente pone anche un interrogativo in merito alla correttezza del pagamento del costo di costruzione e degli oneri di urbanizzazione.

Conclusione
La parola è la cosa: formalizzare nel Testo Unico in materia edilizia l’intervento della demolizione, potrebbe permettere l’elaborazione di misure utili al fine del contenimento del consumo di suolo. Un piccolo ampliamento della normativa ma molto significativo in termini urbanistici.

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Da diversi anni l’Europa ha messo in campo politiche e raccomandazioni volte al contenimento del consumo di suolo, che ha formalizzato con la Strategia tematica del consumo di suolo del 2006 e con molti altri provvedimenti successivi. Negli anni ha rafforzato il richiamo alla tutela del paesaggio, del patrimonio ambientale e al contenimento di suolo consumato, sottolineando la necessità di porre in essere buone pratiche volte all’eliminazione degli effetti negativi dell’impermeabilizzazione, con la conseguente riduzione del rischio idrogeologico. Ha, inoltre, fissato l’obiettivo, non banale, dell’allineamento del consumo di suolo alla crescita demografica reale entro il 2030.
A livello nazionale il Piano per la transizione ecologica, approvato a marzo 2022, ha stabilito misure per il contrasto al consumo di suolo e al dissesto idrogeologico, con obiettivo zero: deve essere zero il bilancio tra suolo costruito e suolo rinaturalizzato e reso di nuovo permeabile. I valori percentuali più elevati di suolo consumato si registrano a Nord, nelle aree urbane e periurbane e negli ambiti costieri, dove gli interventi sono più urgenti. Fissa l’obiettivo dello zero netto entro il 2030: “Il bilancio tra il consumo di suolo e l’aumento di superfici naturali attraverso interventi di demolizione, deimpermeabilizzazione e rinaturalizzazione” deve essere zero.
In attesa di un rafforzamento delle norme nazionali sul consumo di suolo, alcune regioni hanno dettato proprie disposizioni in materia: tra queste di grande interesse è la legge regionale “Veneto 2050”4 che assume, quali principi informatori, la programmazione dell’uso del suolo, la riduzione progressiva e controllata della sua copertura artificiale e la rinaturalizzazione del suolo impropriamente occupato da opere incongrue in ambiti urbani degradati.
Tra le regioni italiane il Veneto ha uno dei valori più alti di suolo consumato. La legge “Veneto 2050” pone tra gli obiettivi di riqualificazione edilizia e ambientale la demolizione integrale di opere incongrue o di elementi di degrado nonché di manufatti ricadenti in aree a pericolosità idraulica e geologica, o nelle fasce di rispetto stradale, con ripristino del suolo naturale o seminaturale e istituisce un fondo regionale per la rigenerazione urbana sostenibile e per la demolizione delle opere incongrue per le quali il comune in cui ricade l’edificio, a seguito di proposta dei proprietari, abbia accertato l’interesse pubblico e prioritario alla demolizione. Promuove, quindi, processi concreti di rinaturalizzazione del suolo attraverso la concessione di incentivi.

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Molti piani degli anni Settanta hanno sovradimensionato la crescita del numero degli abitanti e ciò ha comportato che, in alcune zone, il patrimonio edilizio esistente sia maggiore delle reali necessità abitative. Il nostro territorio è caratterizzato da una straordinaria permanenza patrimoniale, che è stata brutalmente affiancata, nell’ultimo secolo, da un imponente consumo di suolo mediante urbanizzazioni diffuse e di bassa qualità edilizia. Il Testo Unico in materia edilizia non ha previsto nel suo articolato la mera demolizione, né alla data della sua promulgazione, né con le modifiche successive e questa lacuna normativa ha contribuito al mancato sviluppo di una riflessione sul tema e all’impossibilità di mettere in campo misure concrete volte alla rigenerazione urbana. Un incentivo alla demolizione potrebbe affiancarsi ad altre misure al fine del rispetto degli obiettivi di contenimento del consumo di suolo e di un ridisegno degli ambiti urbani e paesaggistici. L’auspicio è che il legislatore nazionale possa promulgare degli interventi coerenti anche in questa direzione.


* Con la collaborazione del Comitato di Redazione per le ricerche sulla normativa urbanistica regionale.
1. L.R. 12/2005 Regione Lombardia Legge per il governo del territorio Art. 33 comma 1 lett. c).
2. L.R. 65/2014 Regione Toscana Norme per il governo del territorio Art. 135 comma 2 lett. e ter).
3. L.R. 15/2013 Regione Emilia-Romagna Disposizioni generali dell’attività edilizia l’Art. 9 comma 1 fa riferimento all’Allegato Definizioni, tra le quali è inserita alla lettera i) la “Demolizione, gli interventi di demolizione senza ricostruzione che riguardano gli elementi incongrui quali superfetazioni e corpi di fabbrica incompatibili con la struttura dell’insediamento. La loro demolizione concorre all’opera di risanamento funzionale e formale delle aree destinate a verde privato e a verde pubblico. Il tipo di intervento prevede la demolizione dei corpi edili incongrui e la esecuzione di opere esterne”.  
4. Regione Veneto L.R. 14/2017 Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”.

In copertina:iStock.com/jat306

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