Milano: Expo e dopo Expo

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Le esperienze del passato. La legacy dell’evento

 

Expo Milano 2015 ha rappresentato un luogo di grande attrazione e di sperimentazione nell’ambito del progetto di siti espositivi. Le esperienze del passato mostrano però quanto delicata sia la questione del successivo riuso. Le idee ancora in campo sono molte, ma solo se questa fase verrà gestita con sensibilità e lungimiranza sarà possibile pensare alla riqualificazione dell’area come a un volano di sviluppo per il futuro, nella speranza che un luogo sul quale al momento vige un destino a lungo termine ancora incerto si trasformi in una grande opportunità per la città e per il territorio. Anche di questo tratta “Archibook Expo 2015” (vedi box in questo servizio), nato per illustrare i principali temi e progetti dell’esposizione. Ora si tratta di guardare avanti e per il nuovo sindaco di Milano, Giuseppe Sala, sarà una prova non meno impegnativa della sfida dello stesso Expo.

 

Legacy, tra dimensione materiale e immateriale

La questione della legacy rappresenta un tema che, nel progetto di grandi eventi temporanei come Expo 2015, deve essere affrontato con grande responsabilità, sia per la sua importanza strategica nei confronti dello sviluppo del territorio, sia per le molteplici modalità in cui può essere declinato.

Il più importante lascito immateriale è stato quello della Carta di Milano, una raccolta di buone pratiche a favore di un’alimentazione sana e sostenibile e di un’assunzione di impegni a medio e lungo termine per garantire il diritto al cibo e all’acqua.

Per quanto riguarda il lascito materiale, una prima parte avrebbe dovuto riguardare le Vie d’Acqua, uno dei punti di forza della candidatura di Milano: il progetto è stato però notevolmente ridimensionato perché, appena dopo il completamento degli 8 km di piste ciclabili tra il Canale Villoresi e il sito di Expo, e la conclusione dei lavori per la riqualificazione della Darsena, la Via d’Acqua Sud (quasi 12 km di canale sotterraneo, tra il sito di Expo e la Darsena stessa) è stata bloccata a causa dell’incremento dei costi e delle proteste di alcuni comitati cittadini.

Più riuscite sono sembrate invece essere le sperimentazioni sul futuro dei Padiglioni: come quello del Regno Unito, il cui “alveare” è già stato ricostruito nei Royal Kew Gardens a Londra, o come quello degli Emirati Arabi che, dovendo essere riportato in un Paese dalle condizioni diverse dalle nostre, è stato fin dall’inizio concepito nell’ottica del duplice clima con cui si sarebbe dovuto confrontare. Ma le ipotesi di riconfigurazione sono state molto diverse: il Padiglione del Bahrein diverrà un orto botanico, quello di Monaco la sede della Croce Rossa in Burkina Faso, quello del Cile una biblioteca a Santiago. Anche per i cluster sono state valutate alcune possibili riconfigurazioni, da active houses (a basso impatto) a centri di accoglienza, da alloggi per le comunità fino a piccoli spazi commerciali.

 

Expo e dopo Expo: le edizioni del passato

Più complessa e sempre di grande attualità, invece, risulta essere la questione del riuso del sito espositivo perché, come evidenziato in una mostra organizzata alla Triennale nel 2009 dall’Ordine degli Architetti di Milano, questo passaggio non è sempre stato affrontato in modo virtuoso.

Uno dei casi più problematici ha riguardato ad esempio Expo Siviglia 1992 (215 ha): l’area della manifestazione, collocata sull’isola della Cartuja, è stata organizzata secondo una rigida griglia con padiglioni da riutilizzare per la successiva Città della Scienza e della Tecnica. Al termine dell’evento, la società mista pubblico-privata che ha gestito questa fase ha modificato la destinazione d’uso, aggiungendo un parco divertimenti integrato in seguito da uno stadio da 60.000 posti, lasciando però alcuni spazi fatiscenti e molti edifici in stato di degrado.

Expo Lisbona 1998 (340 ha) ha permesso invece di rigenerare un’area industriale in parte dismessa alla foce del fiume Tago, con la costruzione non solo di nuove infrastrutture e spazi pubblici, ma anche di insediamenti residenziali che sono stati successivamente riutilizzati: nonostante questo, alcuni edifici espositivi non hanno però trovato una nuova destinazione.

Expo Hannover 2000 (170 ha), sorta sui terreni della Fiera del 1947 e ampliata con ulteriori 70 ettari, è stata ben strutturata dal punto di vista viabilistico (con un treno di collegamento verso la città, una stazione intercity verso il territorio e una teleferica di attraversamento), ma si è chiusa con un deficit di oltre un miliardo di euro, e oggi vede molti spazi dismessi e ancora non utilizzati.

Più riuscito è stato il caso di Expo Suisse 2002 (42 ha), situata in 4 città (Neuchatel, Biel-Bienne, Morat e Yverdon-les-Bains) a ovest della Confederazione. Focalizzata sul tema dell’arteplage, inteso come luogo di confine tra acqua e terra, l’edizione si è contraddistinta per un uso misurato del territorio, l’attenzione alla questione ambientale e una grande popolarità tra i visitatori.

Expo Saragozza 2008 (150 ha), collocata in una zona arida oltre il fiume Ebro, ha avuto il pregio di riportare il tema dell’acqua a diverse scale, dal Masterplan ai Padiglioni; nonostante questo la manifestazione ha avuto il minor afflusso di pubblico degli ultimi vent’anni, e anche per il post-evento l’idea di trasformare il sito in un incubatore per aziende ha permesso di riutilizzare solamente una metà dell’area.

Ad Expo Shanghai 2010 (528 ha), dove il tema del progetto “Better city, better life” ha suggerito alcune linee guida per lo sviluppo della metropoli, il sito è diventato un luogo dalla vocazione turistica e culturale, con la creazione di nuovi alberghi, centri commerciali e uffici, e la trasformazione di alcune delle costruzioni esistenti, come il Padiglione Cinese (ora China Art Museum), il Padiglione Francese (ora Shanghai 21st Century Minsheng Art Museum), e lo stesso Padiglione Italiano (ora Shanghai Italian Center), nonostante la distanza dal centro lo renda non facilmente accessibile dai grandi flussi turistici.

La ricognizione operata da questa mostra ha avuto a nostro avviso il merito di mettere in luce due aspetti: il primo è che nel prossimo futuro un evento come Expo possa essere nel suo assetto complessivo ripensato, valutando anche la realizzazione di progetti più leggeri (com’era l’idea dell’Orto planetario per Expo Milano 2015, elaborata dalla Consulta ma poi accantonata) o diffusi sul territorio (come è stato Expo Suisse 2002); il secondo è che in un caso come quello milanese, ove Expo è stato concepito secondo un modello più tradizionale (in un unico sito di grandi dimensioni, e secondo un modello insediativo di carattere “fieristico”) per la gestione della fase del post-evento sia sempre necessaria una governance forte, che consenta di operare con maggiore chiarezza e nel pieno interesse della collettività, e un programma diversificato, aperto all’aggregazione di più funzioni e ad uno sviluppo più flessibile nel tempo.

 

Il caso di Milano

Nel novembre 2015, tramontata nel frattempo l’idea dello stadio, è stata lanciata dal premier Matteo Renzi l’idea di costruire una cittadella scientifica, un Centro mondiale di genetica e big data da realizzare con l’IIT di Genova, affidando poi il coordinamento dell’operazione a un Comitato Guida che coinvolgesse il Politecnico di Milano e l’Università Statale.

Al momento in cui scriviamo, il post-evento consiste in due fasi di attuazione.

La prima è quella legata al cosiddetto “Fast Post”, una situazione intermedia tra Expo e il progetto di ridestinazione, che ha permesso di riaprire l’area da maggio a settembre in occasione della XXI Triennale: per questo evento, inizialmente previsto all’interno del Media Center, si è tornati a operare sul Cardo, più facilmente accessibile, con sei aree ricavate negli spazi dell’Auditorium e di Coop (il mercato del futuro).

La seconda invece riguarda l’operazione a lungo termine che oggi, in seguito alla pubblicazione del bando per la selezione dell’operatore economico, tecnico e finanziario, ripropone l’idea del “Parco della Scienza, del Sapere e dell’Innovazione”, costituito dallo Human Technopole (centro di ricerca sulle scienza della vita, dalla genetica alla genomica) e dal Campus delle facoltà scientifiche dell’Università degli Studi di Milano, mantenendo la superficie a parco di 440 mila mq.

La situazione sembra oggi orientarsi in questa direzione, ma la fase del confronto e delle decisioni non risulta certo conclusa: molto dipenderà infatti dagli esiti di questa selezione e dalle modalità attraverso le quali questo programma verrà espresso, sia per la definizione degli usi che verranno a insediarsi che per la qualità architettonica e urbana degli interventi.

Come abbiamo cercato di mostrare nella nostra ricerca, Expo Milano 2015 ha rappresentato un luogo di grande attrazione e di sperimentazione nell’ambito del progetto di un sito espositivo. Le esperienze del passato mostrano però quanto delicata sia la questione del successivo riuso. Solo se questa fase verrà gestita con sensibilità e lungimiranza sarà possibile pensare alla riqualificazione dell’area come ad un volano di sviluppo per il futuro, nella speranza che un luogo sul quale al momento vige un destino a lungo termine ancora in definizione si trasformi nella grande opportunità per la città e per il territorio che potenzialmente rappresenta.

 

Il racconto dell’Esposizione

In che modo è stato concepito e come si è evoluto nel tempo il progetto di Expo 2015? In quali tipologie di spazi si è articolato? Quali elementi hanno caratterizzato i Padiglioni, dal punto di vista delle scelte compositive e costruttive? L’idea di “Archibook Expo 2015”, un libro realizzato nel maggio 2015 da Bellavite Editore in collaborazione con l’agenzia Welcome, curato da Matteo Moscatelli da un’idea di Giorgio Cortella e Michela Fumagalli, è nata proprio per rispondere a queste domande, e per illustrare i principali temi e progetti dell’esposizione. L’ultima sezione ha riguardato il post-Expo, ambito che ancora oggi desta particolare interesse perché, terminate le attività e la fase del dismantling, il sito espositivo ha assunto per la città un ruolo e un significato completamente nuovo.

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