Hospice: quando l’architettura favorisce l’incontro e il sostegno

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Alcune vicende legate al mondo della sanità pubblica, che hanno avuto vasta eco nazionale sui media, hanno portato in primissimo piano, negli ultimi tempi, il tema della dignità dei malati terminali e delle strutture idonee ad accoglierli.

Su questo tema, però, l’Italia non è all’Anno Zero, come testimonia il bel libro “Tempi e riflessi”, curato da Claudio Bertorelli ed edito da Quodlibet Studio per la collana “Città e Paesaggio”. Il libro, uscito la scorsa estate, racconta l’esperienza del gruppo formato da Evasio De Luca (1953), Mario Foltran (1936-2010) e Nerino Meneghello (1935) e mostra le idee e le soluzioni adottate dai tre architetti per alcune strutture ospedaliere tra Conegliano e Vittorio Veneto. Tra queste l’Hospice Antica Fonte di Vittorio Veneto, completato un paio d’anni fa, è sicuramente il progetto di punta di questo sodalizio che ha al suo attivo 11 interventi in ambito ospedaliero. Non bastano – sostengono i progettisti – colori più freschi o una maggiore qualità d’arredo per gli edifici di cura e di assistenza. E neppure astratti concetti come “appropriatezza” e “affidabilità” che hanno mascherato il naturale bisogno dell’uomo ammalato di ordine, chiarezza, silenzio, pulizia e di tutti quei fatti “che conferiscono alla vita valore e senso, alla malattia rispetto e aiuto”.

In particolare il progetto dell’Hospice di Vittorio Veneto nasce nella comunità sociale, raccoglie le risorse con il metodo del volontariato e si ispira, come metodologia, ai Maggie’s Center britannici, luoghi di incontro e sostegno ai malati oncologici e alle loro famiglie. Al centro il concetto di “umanizzazione”, posto come primo punto del decalogo steso nel 2000 dalla commissione nazionale guidata da Umberto Veronesi e Renzo Piano per il meta-progetto per un Nuovo Modello di Ospedale volto ad affermare il valore della persona, sia essa paziente, medico o operatore.

L’Hospice (10 posti letto, più 2 in day hospice) si presenta come una casa privata, con una dichiarata simmetria bilaterale, con l’ingresso al pubblico che sembra un “retro” e la facciata delle degenze un “fronte”. La necessità diventa funzione e quindi forma. Il perimetro esterno diventa una piccola fortezza della cura e la corte interna una piccola oasi di luce morbida, nella quale i progettisti hanno “catturato” una porzione del paesaggio circostante e utilizzato la sua bellezza in un nucleo silenzioso, ma “sensibile” per momenti di esistenze al limite della sopportazione.

Con l’Hospice si è pensato a un luogo familiare dove la dimensione dell’accompagnamento e della presa in carico della persona colpita da una malattia in cui si è persa la prospettiva della guarigione, aiuti a conservare la speranza e ad alleviare la sofferenza conservando alla persona malata la propria dignità. Sono spazi progettati con una sensibilità particolare verso la dimensione immateriale della vita e verso il tema della consolazione: temi e dimensioni che non possono mai abbandonare i nostri luoghi di cura.

Al tema dell’hospice è ispirato anche il bel racconto “Deviazioni” dello scrittore torinese Marco Peano (1979) che impreziosisce il volume. In apparenza l’hospice nell’immaginario paese di Nolza non ha nulla a che fare con quello di Vittorio Veneto, ma – come tutti gli hospice - anche quello di Nolza è un luogo in cui la speranza e la fratellanza umana sono al centro di tutto.

Il libro, molto ben illustrato dalle foto di Francesco De Luca, Laura Bolzan e Andrea Pertoldeo, riassume anche testimonianze e riflessioni sui metodi, sui linguaggi e sui contesti culturali che hanno alimentato il lavoro del gruppo De Luca-Foltran-Meneghello nel corso degli anni. Gli schizzi che accompagnano il “Diario di Atelier” fanno riferimento agli studi svolti per il progetto di riqualificazione del complesso Ex Ospedale di Serravalle a Vittorio Veneto, una struttura ospedaliera abbandonata negli anni Sessanta, ma che era nata agli inizi del XIV secolo per opera dell’Ordine dei Battuti e poi cresciuta fino a interessare l’area esterna delle mura cittadine in cui si svolgevano fiere e mercati.

Un’ultima notazione riguarda l’etica di questo gruppo di architetti e il loro impegno che li ha portati a sviluppare un metodo di lavoro che controlla sempre il progetto anche nelle esperienze di verifica e nella sua “vita”.

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