Colpito dal fulmine

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Un esempio di ricostruzione com’era: il campanile antico della pieve di S. Genesio, nel novarese
 
Fig. 1

I mesi scorsi hanno posto sotto l’occhio di tutti lo scempio devastante provocato dal terremoto che ha distrutto una parte significativa del patrimonio artistico. Ma ci sono esempi di ricostruzione quanto mai adeguati al contesto odierno.

Il 22 aprile del 2012 durante un violento temporale un fulmine si abbatté sul campanile antico della pieve di S. Genesio a Suno, diocesi di Novara.

Questa torre campanaria in pianta misura 3,55x3,65 m mentre in altezza raggiunge i 35 m.

La datazione della base del monumento fino a 6-8 metri di altezza risale al X-XI secolo, mentre la parte superiore è stata ricostruita dopo un primo crollo intorno al 1519 (fig.1).

Il fulmine, colpendo la croce ferrea, è penetrato nella struttura e, abbattendo la cuspide, è sceso fino all’altezza di 6,7 m, squarciando l’intera tessitura muraria, demolendo parte dei lati nord ed est fino a 14 m di altezza, uscendo dallo spigolo della muratura est-sud, creando un notevole sbrego. Un effetto dirompente!

Avvicinarsi alla struttura così ridotta era molto rischioso, anche per i tecnici stessi; si è deciso dunque di procedere con la fase propedeutica-conoscitiva tramite il rilievo e la ricerca storica e materica a cura degli architetti Cupia e Monfrinoli, in funzione della ricerca critica e di comprensione dell’opera stessa.

Si è effettuato il rilievo accurato con distanziometro da terra, nonché confrontando con foto esistenti. Sul rilievo effettuato è stato puntualmente trasposto il quadro fessurativo, per poter affrontare lo studio tensionale esistente. In collaborazione con l’Ing. Arcucci è stata progettata una mesh di mattoncini brick di circa 20 cm di lato, creando gradualmente un modello che rispondesse alla realtà. Allorquando nel modello sono apparse le stesse fessure diffuse e di ampiezza passante di 2-3 cm che la struttura dimostrava, si è avuto riscontro di corrispondenza al reale del modello matematico.

L’attenzione si è quindi focalizzata sul punto individuato quale concentrazione di massimo stato tensionale. Nella sezione più preoccupante le fessure verticali, oltre ad essere molto significative, sommavano per ampiezza oltre 7 cm, verificando che ormai il lato del campanile non misurava più 355 cm, bensì 362 cm. Staticamente questo fatto era alquanto preoccupante.

In riferimento ai parametri di resistenza di murature simili, già verificati, il modello suggeriva che lo stato tensionale riservava un sufficiente grado di sicurezza e quindi si è deciso di proseguire, seppure con molta prudenza, nel progetto di intervento per restaurare il campanile.

 
 
Fig. 2

 
 

È stato studiato un esoscheletro provvisionale in putrelle d’acciaio e tubi innocenti che è stato calato dall’alto, utilizzando un’autogru con braccio fino a 65 m. L’esoscheletro, realizzato in 7 livelli, era dotato di piattelli a vite, con interposti cuscinetti in legno che bloccavano in modo quasi continuo le murature integre rimaste in situ e le brecce degli squarci, che risultavano essere preoccupanti ferite nella struttura muraria (fig. 2).

La muratura molto eterogenea è costituita da ciottoli di fiume di varie pezzature, mista a mattoni in argilla ben cotti dove per gli angoli, in molti casi, sono stati usati blocchi di pietra squadrati. Il tutto con legante in malta di calce. Tuttavia dalle brecce si evidenziavano molti vuoti che, successivamente, sono stati riempiti iniettando boiacca di calce molto liquida, in modo da percolare all’interno delle murature, onde ottenere una coesione maggiore.

Questa fase di intervento è stata effettuata con operai che lavoravano con cestelli aerei e non appoggiati alla struttura.

Terminata la posa dell’esoscheletro e la fase di consolidamento della muratura, un primo grado di parziale sicurezza era stato raggiunto, quindi successivamente è stato realizzato un castello di spinta da poter sostenere il campanile nella direzione sud-est, la più compromessa (fig. 3).

A quel punto è iniziato l’intervento di restauro vero e proprio, con la scelta di come realizzare questo intervento di restauro conservativo che si riferisce al contesto di cultura, ma che non deve escludere le innovazioni e le integrazioni, è stato avviato, seguito dalla Prof.ssa Zonca, un confronto filologico con la Soprintendenza preposta, unitamente a uno studio e riproposizione dei materiali (laterizi, pietra e malte) e delle cromie.

Il progetto, concordato con la Soprintendenza, prevedeva due punti fondamentali: non asportare nessuna parte delle murature esistenti e separare i detriti secondo le tipologie per poterli riutilizzare nella ricostruzione. Si poneva quindi il problema della scelta della metodologia della ricostruzione delle parti mancanti: tenere il ricostruito visibile a livello? o ricoprirlo con intonaco in modo tale da differenziare la nuova dall’originaria muratura?

 
 

Fig. 3

 

La Soprintendenza ci invitò a ripristinare il tutto con metodo del tutto simile alla tessitura originaria, tonalizzando le cromie.

Dunque si doveva ricostruire e sanare le ferite in modo tale che il visitatore non si accorgesse della differenza tra vecchio e nuovo.

Per far ciò si sono preparati vari campioni di malta calcica che presentasse le stesse granulometrie e la stessa tonalità dell’esistente e sono stati scelti alcuni mattoni tra una serie di laterizi fatti a mano con diverse argille e diverse cotture, da integrare agli originali e ai ciottoli accantonati.

Poiché i lembi degli squarci risultavano essere con inclinazione verso il basso, si è realizzata una implementazione di muratura che non tendesse a scivolare sui piani inclinati esistenti delle murature. Per ovviare a questo inconveniente sono state inserite alcune piastre in acciaio a scalini per contribuire a rendere orizzontale il contatto tra nuovo e vecchia muratura. Sono poi stati inseriti alcuni connettori in acciaio inox di legatura tra le due murature.

 
Fig. 4

Procedendo con questa metodologia, si è raggiunta la quota della cella campanaria, al di sotto della quale sono stati posti gli ancoraggi della futura guglia prefabbricata a piè d’opera. Si è fatto uso di calchi dei lembi di archi rimasti, onde ricostruire in modo veritiero la cella originale, riutilizzando anche una colonnina, recuperata dopo la caduta parzialmente integra, e ricostruita a piè d’opera appartenente a una bifora. Essendo la cella costituita solo in laterizio, questa tipologia di tessitura ne ha facilitato la stessa ricostruzione.

Un ulteriore impegno è stato quello di migliorare le prestazioni di resistenza al sisma del campanile ricostruito. A tal fine sono state prese due decisioni importanti: l’inserimento di 8 cinture in acciaio, realizzate con chiavi all’interno della muratura e capochiavi simili a quelli storici e in un secondo momento la realizzazione a terra della guglia, alta circa 9 m con struttura e assito in legno ricoperto di rame, presentato con modello grafico e tridimensionale, così come tutti i particolari architettonici dettagliati forniti all’impresa, disegnati dagli Arch. Guadagnin e Zanone.

Analizzando nel merito la resistenza al vento di una vela molto leggera quale la nuova cuspide, si è zavorrata la stessa, solidarizzandola con le murature della cella campanaria mediante tirafondi in acciaio al raggiungimento della base della cella sottostante.

Sulla parte terminale della guglia sono state apposte la cuspide in sasso e la croce ferrea originali.

Con questa realizzazione “leggera” si è evitato di gravare con un grosso peso sulla sommità il campanile.

Con l’operazione di rimozione dei ponteggi di spinta e dell’esoscheletro, esattamente due anni dopo l’evento distruttivo, abbiamo riconsegnato alla popolazione di Suno il campanile della pieve di San Genesio, con grande gradimento dei tecnici della Soprintendenza, del Pievano che sin dall’inizio aveva creduto nella ricostruzione del campanile e non ultimo, con grande soddisfazione di tutto il team (fig. 4). 

 
 
 

 

 

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