Adattamento climatico e resilienza delle comunità

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La pianificazione di protezione civile interconnessa con gli ambiti di pianificazione strategica territoriale

Il clima sta cambiando ed è destinato a modificarsi ancora in modo significativo durante il XXI secolo, anche con le migliori azioni che potranno essere intraprese per la riduzione delle emissioni dei gas serra. Le emissioni complessive, dal periodo preindustriale ad oggi, hanno determinato una concentrazione di anidride carbonica in atmosfera oramai costantemente superiore a 400 ppm, che continuerà, almeno per i prossimi trent’anni, a determinare un riscaldamento del pianeta. Se non verranno rispettati gli obiettivi di riduzione delle emissioni, per l’Unione Europea il riferimento è quello della legge Europea sul clima, che si pone l’obiettivo ambizioso di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e con l’obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 55% entro il 2030, il riscaldamento a fine secolo sarà tale da determinare modifiche irreversibili alla dinamica atmosferica e oceanica terrestre con conseguenze devastanti e neanche completamente immaginabili.
Gli impatti del cambiamento climatico si avvertono già in ogni comparto naturale, socioeconomico e produttivo su cui si basa l’organizzazione della nostra società. Molti di questi impatti sono diretti, pensiamo ad esempio ai danni dovuti agli eventi estremi, o all’impatto sulla salute dovuta alle ondate di caldo estivo, ma anche indiretti, attraverso quella che viene denominata “catena degli impatti”, dovuta alla profonda interconnessione che esiste tra diversi settori e che spesso viene sottovalutata.
Pensiamo all’incremento della frequenza e della durata dei periodi siccitosi, che determina situazioni di carenza idrica, criticità per l’agricoltura e danni al patrimonio forestale e alla biodiversità, di cui sono ricchi i nostri corsi d’acqua. Ma la siccità prolungata porta anche all’aumento degli incendi boschivi che, quando avvengono in territori prossimi alle città, ne peggiorano la già pessima qualità dell’aria, o in territorio montuoso aumentano la suscettibilità al rischio idrogeologico. Un impatto ne può generare molti altri, a catena.
Il riscaldamento globale porta all’aumento della frequenza e durata delle ondate di caldo estivo, che nelle città determinano effetti importanti sulla salute e sulla mortalità delle persone più fragili, ma anche scarsità della risorsa idropotabile, diminuzione della portata e della qualità dei corsi d’acqua che attraversano le città, degradazione del verde pubblico, alterazione dei cicli produttivi con incremento del rischio antropico, maggiore domanda di energia per il raffrescamento con possibili interruzioni e ritardi nell’erogazione dei servizi. Senza dimenticare le condizioni di disagio diffuse nella conduzione della vita ordinaria, la diminuzione della produttività, gli effetti negativi sul turismo, il minor utilizzo degli spazi pubblici e dei sistemi di trasporto collettivo.
Gli IMPATTI sono dunque gli effetti della forzante climatica sui sistemi naturali e non che sono esposti a tale forzante, mediati dalla loro vulnerabilità, cioè dalla propensione a essere negativamente influenzati dal cambiamento climatico, e dalla loro resilienza, cioè dalla capacità di risposta, di adattarsi alle nuove condizioni, di mettere in campo tutte le capacità e le abilità, le risorse culturali, sociali ed economiche per adottare nuovi comportamenti.
Data la forzante climatica, di origine fisica, la combinazione di questi elementi: esposizione, vulnerabilità e resilienza determina la gravità dell’impatto del cambiamento climatico. Dato un evento estremo da un punto di vista fisico non vi è infatti una relazione 1:1 con un impatto estremo.
Ma come definiamo il rischio climatico? Ognuno degli impatti possibili è caratterizzato da una severità, da una gravità (che può essere misurata in termini economici, o di perdita di vite umane o di patrimonio naturale, ad esempio) e da una probabilità di accadimento, data dalla probabilità che quel cambiamento del clima che determina l’impatto avvenga. Il prodotto tra la gravità dell’impatto e la sua probabilità di accadimento genera il rischio. Possiamo avere un rischio elevato quando un impatto sarà molto gravoso, anche con una bassa probabilità di accadimento, oppure con un impatto mediamente severo ma molto probabile.
Il rischio climatico sta aumentando non solo perché l’entità del cambiamento climatico sta aumentando in modo quasi esponenziale, pensiamo ad esempio al riscaldamento globale come si è impennato nel corso del XXI secolo, ma anche a causa dell’incremento generalizzato della vulnerabilità della nostra società, dell’ambiente e del territorio in cui viviamo, ma anche degli ecosistemi da cui dipendiamo.
L’utilizzo indiscriminato delle risorse naturali, spesso non rinnovabili, la diffusione delle infrastrutture, il mancato rispetto delle regole della natura, la fragilità del nostro sistema di mobilità e di connessione, l’invecchiamento della popolazione, l’impoverimento e la nascita delle nuove forme di povertà, la disuguaglianza crescente, la debolezza istituzionale, sono elementi di vulnerabilità che anche la pandemia ha messo bene in evidenza. La vulnerabilità è poi estremizzata dalla presenza di altri fattori di stress concomitanti, come, ad esempio l’inquinamento, le condizioni di disagio sociale, una bassa qualità della vita ma anche fattori fisici, come la degradazione degli ecosistemi, l’impermeabilizzazione e il consumo di suolo, la cementificazione spesso inopportuna.
Le sinergie tra impatti diversi rappresentano un ulteriore elemento di incremento del rischio. Se è ormai certo, ad esempio, che le condizioni di siccità si riproporranno più frequentemente e per periodi più lunghi in funzione dell’entità del riscaldamento, a causa della diminuzione della neve nella stagione invernale e della progressiva fusione dei ghiacciai alpini, gli impatti connessi alla disponibilità dell’acqua sono destinati a essere sempre più gravosi e complessi da gestire. Se non saremo in grado di adattare le nostre esigenze, rivedere le regole alla base delle scelte della politica agricola e delle pratiche agronomiche, i conflitti per l’utilizzo dell’acqua diventeranno all’ordine del giorno e coinvolgeranno tutte le tipologie di utenti.
Se è difficile stimare con certezza ragionevole un incremento nel futuro delle grandi alluvioni, certamente i fenomeni convettivi intensi, magari di breve durata ma con intensità di precipitazione eccezionale, saranno la norma. La loro predicibilità, nel tempo e nello spazio, rimarrà difficile e questo li renderà in grado di generare impatti ancora più devastanti.
Le città sono dei luoghi dove il rischio climatico è molto elevato, a parità di intensità delle forzanti climatiche. E questo non solo a causa della vulnerabilità elevata, poiché le nostre città non sono state pensate e disegnate climate proof, cioè, “a prova di clima” (pensiamo ai sistemi di smaltimento delle acque meteoriche spesso insufficienti, all’impermeabilizzazione del terreno, alla vetustà di molti edifici che risentono in modo particolare di eventi estremi), ma anche perché è elevata l’esposizione. Non solo, ovviamente, per la concentrazione delle persone, ma per la funzione che le città svolgono come poli produttivi, come centri di creatività e innovazione, luoghi in cui si concentrano il sapere e la cultura, l’istruzione secondaria e le università, dove si sviluppa la ricerca. Senza dimenticare l’importante funzione di servizio che le città svolgono per i territori circostanti. Le azioni sul clima messe in campo dalle aree urbane potranno essere molto efficaci, agire oltre i confini fisici della città e creare soluzioni che rappresentano ispirazione e risorse per altri territori.

Sinergia tra i sistemi di prevenzione e gestione del rischio e le opzioni di adattamento al cambiamento climatico nel ridurre gli impatti degli eventi meteorologici estremi


La riduzione delle emissioni, in tempi rapidi e in modo consistente, e il raggiungimento della neutralità climatica rappresenta un obiettivo imprescindibile per ridurre il riscaldamento globale e mitigare gli impatti del cambiamento climatico. Ma a questo, è necessario affiancare un lavoro importante sull’adattamento, strategia che ci può consentire di affrontare gli impatti negativi, ridurne le conseguenze e, in qualche raro caso, sfruttarne le opportunità. L’adattamento è un processo che, attraverso un ragionamento iterativo, circolare e inclusivo, porta a disegnare una serie di azioni volte a ridurre la vulnerabilità e aumentare la resilienza del nostro sistema sociale ed economico. L’adattamento è una somma di abilità, capacità di adattamento attivo e flessibilità necessaria per adottare nuovi comportamenti una volta che si è appurato che i precedenti non funzionano, con un approccio anticipatorio. L’adattamento è vincente se il cambiamento climatico è di entità limitata, e pertanto deve essere pianificato e implementato da subito, mentre può non essere sufficiente, o molto costoso, in caso di cambiamenti importanti. È efficace se coinvolge, sin dal suo disegno, la comunità che dovrà adottare le azioni per attuarlo, sia esso un territorio, una organizzazione, un sistema sociale, una impresa… perché la sua applicazione dipende fortemente dal grado di accettazione del contesto esterno. L’adattamento è specifico, di un territorio, di una comunità, le azioni devono essere disegnate tenendo conto dei fattori locali, siano essi geografici, geomorfologici, ma anche di esposizione della popolazione e dei beni, di resilienza socioeconomica. Ed è proprio la resilienza che si vuole accrescere con l’adattamento, la capacità di far fronte all’evento e di mettere in atto azioni di contrasto che limitino i danni. Queste caratteristiche proprie dell’adattamento trovano molte similitudini nei sistemi di prevenzione del rischio, inclusa la pianificazione di protezione civile, sia per obiettivi comuni, sia per la metodologia di costruzione e implementazione, sia nella misura della loro efficacia, tanto che molte opzioni di adattamento possono trovare, nelle politiche a tutti i livelli di governo, una collocazione efficace nella pianificazione territoriale e in quella di protezione civile.
Pertanto, la risposta di protezione civile per essere efficace non potrà più essere pianificata ‘meccanicamente’, sulla base di concetti ‘statici’ di censimento e organizzazione delle risorse umane e strumentali (che prevedano, ad esempio, che allo scattare di un’allerta meteo si attivino funzioni di supporto e uomini e mezzi che monitorino e operino su un territorio), ma disegnata considerando tutta la comunità sociale ed economica e tutte le risorse che insistono su un territorio. Questo tipo di approccio non può prescindere da un coinvolgimento diretto della comunità nel senso più ampio nella pianificazione delle azioni di prevenzione e protezione da intraprendere per ogni specifica risposta di protezione civile. In altri termini occorre che la pianificazione divenga a pieno titolo partecipata.
Si rende necessario, pertanto, studiare forme di partecipazione che coinvolgano, in tutti i livelli della pianificazione di protezione civile, tutti i rappresentanti di una comunità (dai rappresentanti di associazioni e gruppi sociali, fino più in generale ai rappresentanti di tutti i portatori di interesse o stakeholder), estendendo l’azione anche ad altri livelli di coinvolgimento che riguardano la governance e il progetto del territorio.
Solo attraverso pianificazioni strettamente interconnesse e interdipendenti sarà possibile ridisegnare un territorio che sappia meglio adattarsi e proteggersi da eventi di tipologia e portata mai sperimentati in precedenza, con azioni sinergiche che conducano ad esempio alla diminuzione dell’impermeabilizzazione dei suoli, alla rigenerazione degli spazi semi-abbandonati alle periferie delle città, alla riduzione (o, meglio ancora, all’azzeramento) del consumo di suolo, alla rinaturalizzazione dei corsi d’acqua anche in ambito urbano.

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Altre azioni auspicabili comprendono, ad esempio, riformare le tipologie costruttive, studiare e favorire l’impiego di materiali diversi che meglio resistano alle azioni di eventi estremi, costruire con una maggiore attenzione agli aspetti della sicurezza pubblica.
Ma per fare questo serve una norma tecnica pensata e attuata con il contributo degli ordini professionali, degli analisti dei rischi, delle tante specializzazioni sulla sicurezza che assumerebbero un ruolo sinergico importante in questa trasformazione.
La gravità degli impatti del cambiamento climatico è destinata ad aumentare se misure di adattamento e sistemi di pianificazione, prevenzione e gestione del rischio che puntino ad aumentare la resilienza delle comunità non vengono attuati, se si limitano le risorse economiche sulla prevenzione indirizzandole a obiettivi di più breve termine, se non si valorizza la capacità delle istituzioni e dei sistemi sociali di imparare, di mettere in gioco la conoscenza e l’esperienza, di individuare forme collaborative di condivisione di idee e azioni, di creare sistemi di governance sensibile e reattiva, tenendo conto dei benefici ambientali, economici e sociali su più larga scala che ne possono conseguire.

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