Uso “umano” della tecnologia e attenzione verso l’ambiente. Come cambia il Design

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Gli operatori del settore puntano a sensibilizzare le istituzioni e a progettare al fine di avere un mondo più equo e sostenibile

L’organizzazione internazionale del design, l’International Council of Societies of Industrial Design - ICSID - ha cambiato nome e si chiama ora WDO - World Design Organization. Perché cambiare, dopo 60 anni? Forse WDO è più semplice da pronunciare e da memorizzare, soprattutto per alcune culture distanti dalla realtà europea dove nasce l’organizzazione, fondata a Parigi nel 1957 (un anno dopo l’Associazione per il Design Industriale ADI a Milano). Ma questa non sarebbe stata una ragione sufficiente. Dietro a un cambiamento che potrebbe apparire solo formale, si struttura una riflessione profonda su cosa sia il design e quali siano i suoi obiettivi per il futuro.
 
Le organizzazioni di design sono sorte nel dopoguerra, nel secolo scorso, nel momento in cui il settore aveva necessità di aprirsi a una clientela più ampia che si  affacciava sul mercato a seguito del boom economico e della rivoluzione dei costumi. Il design, nato a seguito della rivoluzione industriale, si è sviluppato grazie al Bauhaus in Germania. Da quel momento ha sempre cercato di affermarsi come disciplina indipendente, in grado di trasformare le semplici merci in “prodotti”, dotati di un senso e di un linguaggio innovativo. Architetti, intellettuali e produttori hanno immaginato un obiettivo comune, lavorando intorno all’estetica industriale, valorizzando il lato umanistico del progetto all’interno della produzione meccanicistica, inseguendo l’obiettivo democratico di dare la maggiore quantità di bellezza al maggior numero di persone possibile. Non si trattava di un interesse di categoria, legato solo a quello professionale dei progettisti, quanto piuttosto un obiettivo comune nel promuovere un’attività allora nascente: il design industriale.
 

Lampadari di design


 
Oggi, grazie alla visione di quegli appassionati fondatori, il design ha assunto un’identità indipendente e viene ormai considerato non solo un’attività produttiva e commerciale ma, a tutti gli effetti, una delle forme d’arte contemporanee. Insieme al cinema e alla fotografia è una delle forme espressive introdotte dalla rivoluzione tecnologica industriale e parla del nostro modo di produrre, di creare, di  comunicare; racconta il nostro modo di vivere. Siamo adesso di fronte a una nuova rivoluzione tecnologica, quella che chiamiamo rivoluzione digitale.
 
I cambiamenti introdotti impattano sul modo di produrre, di distribuire, di comunicare analogamente a quanto avvenuto nel secolo scorso, con l’impulso del sistema produttivo. Così, anche il design cambia. Si continuano a progettare oggetti, insieme alle aziende, ma sempre più si lavora anche con enti e istituzioni per la creazione di prodotti più immateriali come i processi e i servizi, destinati alla collettività. La metodologia industriale viene utilizzata e applicata a nuovi tipi di ricerca e progettazione. Si tratta di un approccio strategico e trasversale che coinvolge attori diversi tra loro. La parola “industriale” sfuma nel suo significato e lascia spazio a una visione più ampia di design. Per i nostalgici del periodo d’oro del design questo passaggio è stato vissuto come una perdita, ma alla fine ha prevalso la necessità di confrontarsi con le sfide presenti e future. Ancora una volta è la componente utopica che guida il designer e la sua visione sociale; ancora una volta è necessario impedire che le nuove tecnologie “disumanizzino” i rapporti sociali e come all’inizio del secolo scorso, di fronte all’incognita della produzione industriale, è necessario capire come arginare la potenza disgregatrice della tecnologia.
 
Il design è una disciplina che si è sviluppata a cavallo tra l’approccio scientifico e quello umanistico, dovendo relazionarsi con la produzione e il consumo. Questo ruolo di mediazione rimane e diventa ancora più importante nel rapporto con tutte le tematiche introdotte dallo sviluppo sfrenato che sta coinvolgendo alcune aree del pianeta.
 

 

Studio di progettazione e design


 
Per tutto il secolo scorso il design aveva posto al centro della ricerca l’uomo, i suoi bisogni e i suoi desideri (e quindi l’ergonomia, il “design for all”, il rapporto armonico tra forma e funzione); ora diamo per scontate queste capacità di risultato e dobbiamo cambiare paradigma. Al centro è necessario mettere il pianeta. L’uomo deve fare un passo indietro, riconoscendo di essersi spinto oltre il limite nello sfruttamento delle risorse. Per questo motivo WDO, nell’aprire il suo nuovo corso, ha sottoscritto l’impegno a promuovere gli obiettivi 2030 delle Nazioni unite, gli UN SDG - United Nations Sustainable Development Goals, sensibilizzando il settore a lavorare nella direzione del loro raggiungimento. Si tratta di 17 obiettivi generali che pongono l’accento sui valori fondamentali che dovranno guidare le nostre azioni, se intendiamo continuare a vivere su questa Terra. Alcuni di questi sono strettamente legati alle attività di progettazione e produzione che determinano l’impatto sull’ambiente.
 
Progettisti, produttori e intellettuali sono di nuovo chiamati a un impegno sociale per sensibilizzare, attraverso il proprio lavoro, le amministrazioni politiche a cambiare direzione. È un percorso che si fa ogni giorno più urgente perché i problemi da affrontare sono sotto gli occhi di tutti: consumo delle risorse, necessità di riciclo dei rifiuti, urbanizzazione, mobilità, inquinamento, accesso all’acqua e al cibo, equilibrio ecologico precario. La tecnologia può individuare le soluzioni, il design può contribuire, insieme ad altri attori sociali, a renderle comprensibili, umane, eque. “Design for a better World”.

 

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