Perizia tecnica e qualità architettonica, da 2000 anni a sostegno della simbologia

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Ricorre quest’anno il bimillenario del ponte romano di Rimini. Eretto per volontà dell’Imperatore Ottaviano Augusto a partire dal 14 d.C. e ultimato nel 21 d.C. sotto il governo del successore Tiberio, questo ponte è tra i pochi manufatti ad aver assolto la sua funzione per duemila anni senza richiedere o subire modifiche di rilievo.
Costruito in blocchi di pietra di Aurisina, chiara, compatta e resistente, il ponte attraversa il fiume Marecchia con cinque arcate, sostenute da solidi e spessi piloni muniti di speroni frangiflutto e ruotati in direzione della corrente fluviale per meglio penetrarne il flusso. I prospetti sono ornati con edicole doriche e figure a bassorilievo sulle chiavi di volta e sono marcati dall’ombra della mensola su cui poggiano i robusti parapetti, più rilevati nella parte centrale, al cui interno sono scolpite due iscrizioni che attestano la costruzione del ponte per volontà imperiale. Provvisto di ripide rampe di accesso e all’epoca più imponente di quanto oggi appaia, il ponte si staglia a sfondo del porto ed è ben visibile anche dal mare, che dista solo 200 metri.
 
Dettaglio del prospetto lato mare del ponte. Foto di Massimiliano Sirotti
 
Per comprendere quali ragioni portarono a costruire in quel luogo e in quell’epoca un tale esempio di perizia tecnica e di qualità architettonica, dobbiamo risalire a quando, sconfitta la coalizione di Galli Senoni, Etruschi, Umbri e Sanniti nella battaglia di Sentino, i Romani affermano la loro egemonia sul territorio peninsulare e qualche anno dopo, nel 268 a.C., fondano la colonia di Rimini. Caposaldo a difesa dei territori conquistati e testa di ponte per nuove espansioni, sorto dove l’Appennino si distacca dall’Adriatico e si apre la Pianura Padana, l’insediamento è raggiungibile dalla capitale risalendo il corso del Tevere fin quasi alla sorgente per poi discendere verso l’Adriatico lungo la valle del Marecchia. Con l’estendersi e il consolidarsi delle conquiste, la nuova città diviene un importante nodo stradale collegato con Roma (via Flaminia, 219 a.C.), Piacenza (via Emilia, 187 a.C.) e Aquileia (Via Popilia, 132 a.C.). Quando poi, nel 90 a.C., viene elevata al rango di primo municipio cispadano, Rimini segna anche il confine settentrionale dei territori di cittadinanza romana. Sarà per questo che, entrando in città di ritorno dalla Gallia a capo di legioni armate, Giulio Cesare compie un aperto gesto di sfida contro Roma e le istituzioni repubblicane, primo passo verso un accentramento del potere che, dopo la sua morte, porterà alla terza guerra civile e all’istituzione dell’Impero da parte di Ottaviano Augusto. Asceso al potere, l’imperatore riconosce Rimini come luogo simbolico del passaggio al nuovo regime di governo e, dichiarata la città Colonia Augustea, ne promuove un profondo rinnovamento urbano, che avvia dal 27 a.C., suo primo anno di principato, facendo trasformare la porta per Roma in arco trionfale a sé stesso dedicato, facendo poi erigere il teatro e altri edifici pubblici, pavimentare le strade e potenziare le dotazioni portuali ed infine, nell’anno della morte, avviando la costruzione di un nuovo ponte monumentale: varco tra Roma e le terre del nord e fondale aulico del porto.
 
1450 ca., bassorilievo di Agostino di Duccio all’interno del Tempio Malatestiano di Rimini: nella più antica raffigurazione della città è ben visibile il ponte romano sul fiume Marecchia. Da: Alla scoperta del Tempio Malatestiano, Il Resto del Carlino / Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini
 
Da quel momento le sorti del ponte e della città sono spesso unite. Cent’anni dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, con la Romagna orientale duramente contesa tra Bizantini e Goti, Rimini è occupata da questi ultimi, che nel 582, per frenare gli assedianti, abbattono l’ultima arcata del ponte. Inutilmente, perché, aggirato l’ostacolo, vengono cacciati da Sud. L’arcata viene riparata, ma circa nove secoli dopo l’ultimo Malatesta signore di Rimini la fa nuovamente troncare per installarvi una sorta di ponte levatoio, che viene presto rimosso. Il danno è riparato in qualche maniera fino a che nel 1680, con Rimini nei domini della Chiesa, Papa Innocenzo XI incarica di ridare integrità al ponte Agostino Martinelli, prelato ferrarese esperto in materia, a cui si deve la non perfetta ricostruzione dell’arcata, visibile ancora oggi. Con l’unità d’Italia, la pavimentazione originale, profondamente solcata dalle ruote di bighe, carri e carrozze, viene sostituita da un nuovo lastricato in blocchi di granito, destinato ad essere percorso da milioni di veicoli a motore, comprese le veloci Alfa Romeo di Nuvolari nella Mille Miglia e i possenti cingolati durante la Seconda guerra mondiale. E proprio il passaggio del fronte vede ancora protagonisti la città e il suo ponte. Nodo stradale e ferroviario di importanza strategica, Rimini è già stata rasa al suolo dai bombardamenti delle flotte aeree anglo-americane. Miracolosamente scampato alle bombe, il ponte rischia di saltare in aria il 20 settembre 1944 ad opera dei tedeschi in ritirata, ma, forse per la pioggia o forse per lo scrupolo verso l’arte e la storia del geniere incaricato di farlo esplodere, l’antico ponte rimane intatto e il giorno dopo è attraversato senza problemi dalle truppe alleate. Ogni pericolo sembra essere scampato con la fine della guerra, ma nel 1957 si scopre che il ponte è ancora minato con oltre 150 chili esplosivo, che viene finalmente rimosso.
 

La rappresentazione semplificata del ponte data da Andrea Palladio nel suo trattato “I quattro libri dell’architettura”, 1570. Da: I quattro libri dell’architettura di Andrea Palladio, riproduzione in fac-simile di Ulrico Hoepli Editore Milano, 1980
 

La dettagliata rappresentazione del prospetto e della pianta del ponte realizzata da Luigi Nardi nel 1813. Da: Le città nella storia d’Italia, Rimini – Grazia Gobbi e Paolo Sica – Editori Laterza, 1982 (Luigi Nardi, Descrizione antiquario-architettonica con rami dell’Arco d’Augusto, Ponte di Tiberio e Tempio Malatestiniano. Rimini – Masonier e Grandi, 1813)
 
Il ponte e le donne impegnate a lavare i panni in un’immagine di fine ‘800 del fotografo fiorentino Giacomo Brogi. Da: Fotografie degli archivi Alinari in Emilia e in Romagna, Istituto per i Beni Artistici Culturali Naturali della Regione Emilia-Romagna / Azienda di Soggiorno e Comune di Cesenatico, 1980 (foto Brogi, Firenze - Negativo 3936)
 
A lungo identificato semplicemente come il ponte romano di Rimini, a partire dal ‘700 viene indifferentemente chiamato Ponte di Augusto o Ponte di Augusto e Tiberio, mentre oggi prevale il nome di Ponte di Tiberio, ma, comunque lo si voglia chiamare, è certo che per i cittadini di Rimini il ponte, che compare nel gonfalone comunale con sovrapposto l’arco insieme alla locuzione di Cesare “alea iacta est”, rappresenta anche un elemento di forte valore identitario, che affonda le radici nella storia. Se, infatti, oggi il sigillo di epoca medioevale con i due monumenti imperiali sovrapposti è ritenuto un falso, vero è che dal Rinascimento il ponte prende a richiamare l’attenzione di architetti e artisti. Fonte di ispirazione per Leon Battista Alberti quando realizza il Tempio Malatestiano di Rimini, compare all’interno del Tempio nella più antica rappresentazione della città, opera in bassorilievo di Agostino di Duccio; nel secolo successivo è lodato e ampiamente descritto da Andrea Palladio nel capitolo del suo trattato di architettura dedicato ad “alcuni ponti celebri edificati dagli antichi, e de’ disegni del ponte di Rimino”; nel 1748 è raffigurato da Gian Battista Piranesi in un’incisione che lo mostra con ancora presente la porta medievale sul lato della città e, in seguito, è immortalato da numerosi artisti di ogni Paese.
Il paesaggio intorno al ponte è profondamente mutato nel tempo, sia per eventi naturali che per opera dell’uomo: la scomparsa delle rampe per fenomeni di subsidenza e per l’innalzamento del piano stradale; l’allontanamento di oltre un chilometro della linea di costa per l’apporto di sabbie e detriti fluviali; l’edificazione urbana sulle due sponde; l’innalzamento di muraglioni contro le periodiche inondazioni e infine, nel 1930, la deviazione a nord del corso del fiume. Negli ultimi anni, il ponte è stato progressivamente sollevato dal traffico a motore ed oggi è definitivamente pedonalizzato. Posto al centro di un’area destinata alla ricreazione e all’incontro, sempre viva della presenza di famiglie e studenti, di residenti e turisti, si riflette nelle acque dell’invaso in cui termina il porto canale e su cui si affaccia il parco urbano ricavato sul letto abbandonato del fiume Marecchia, situazione ideale per approfondire gli studi sulla sua struttura interna e sui tratti estremi ora interrati, nell’attesa, il ponte romano di Rimini è lo sfondo ideale per un selfie o una foto ricordo.
 
Il ponte visto dal lato mare al calare di una sera d’estate. Foto di Massimiliano Sirotti
 

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