Il neopresidente CNAPPC e l’agenda di governo della categoria

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A priamo la pagina bianca di questo spazio, che il Comitato di Redazione dedica a una disamina dei fatti significativi e delle tematiche attuali che riguardano la nostra professione. In questo periodo sospeso, in cui la nostra attività però è continuata, anche se in modalità complessa e inusitata, sono riemersi interrogativi e valutazioni sulle prospettive della professione. Così, ritenendo opportuno a questo riguardo tenere alta l’attenzione su alcuni aspetti critici del nostro “mestiere”, quale migliore occasione avremmo potuto cogliere, se non l’insediamento del nuovo Presidente del CNAPPC, Arch. Francesco Miceli, per un’intervista un po’ sui generis, ma confacente a questa strana condizione, che stiamo vivendo ormai da due anni.
 
Le diamo anzitutto il benvenuto, ringraziandola per la disponibilità, ma vorremmo subito avere una prima impressione su questo avvio alla guida del massimo organismo istituzionale della nostra professione.
 
Grazie, intanto avverto la grande responsabilità nel ricoprire l’incarico che mi è stato assegnato e sono consapevole delle difficoltà insite nello scenario attuale in cui bisogna ricostruire un rapporto, oggi molto logorato, tra il mondo della libera professione e la società. Le competenze professionali sono una grande risorsa per la società, soprattutto in questa fase in cui è necessario un impegno straordinario per la ripresa del Paese. Ecco, bisogna partire da qui: cioè dalla consapevolezza che il mondo delle professioni può dare un contributo fondamentale, in termini di competenze e di visioni, al futuro che vogliamo costruire. In buona sostanza ciascuno deve essere impegnato a creare le condizioni per uscire dalla crisi di sistema, aggravata dalla pandemia e dalle criticità strutturali che storicamente contraddistinguono il nostro Paese. L’impressione che ho maturato, per rispondere alla sua domanda, è che le difficoltà sono tante e hanno una loro spiccata complessità, ma, allo stesso tempo, ritengo che vi siano nuove e importanti opportunità per uscire dalla crisi attuale, opportunità che vanno coniugate con un parallelo processo di revisione del sistema, quindi, con una azione profonda di riforma che riesca a far transitare la società nel suo complesso verso una visione realmente innovativa. I presupposti per mettere in campo queste azioni ci sono e gli architetti italiani possono dare un contributo in questa direzione e, soprattutto, non possono mancare all’appuntamento.
 
Rimaniamo allora sul terreno che le è proprio. Gli Ordini Professionali, come noto, sono garanti del possesso dei requisiti d’iscrizione e del rispetto delle norme deontologiche da parte degli iscritti, un ruolo che non contempla l’attività di rappresentanza della categoria. È quest’ultima, invece, l’esigenza che gli iscritti manifestano con l’appoggio di molti Consigli provinciali, soprattutto per aprire un’interfaccia con gli Organi Legislativi e la Pubblica Amministrazione. Ma, proprio perché i due ruoli sono inconciliabili, quale prospettiva funzionale si potrebbe intravedere per rispondere a queste aspettative, considerando che negli Ordini convivono iscritti con problematiche e obiettivi spesso differenti e persino opposti?
 
L’idea che gli Ordini professionali debbano rimanere confinati nell’ambito di garanzia dei requisiti e del rispetto deontologico degli iscritti è del tutto anacronistica. So bene che questo è il compito a loro assegnato dalla normativa che ritengo andrebbe profondamente rivisitata in quanto non più rispondente ai cambiamenti nel frattempo intervenuti. Bisogna prendere atto, tuttavia, che il sistema ordinistico può svolgere un compito di rilievo nelle politiche della professione e, quindi, contribuire alle scelte strategiche del Paese. Non condivido le posizioni di chi pensa che gli Ordini debbano svolgere solo e soltanto il ruolo di garanzia e controllo deontologico, rimanendo prigionieri in parte della logica corporativa, ancora purtroppo persistente, ma anche di un modello sostanzialmente formale di rappresentatività. Credo, invece, in un sistema ordinistico attivo e protagonista, in grado di contribuire agli obiettivi strategici nell’interesse del Paese. D’altra parte, come è conciliabile il ruolo sociale del professionista, ampiamente consolidato nella professionalità dell’architetto, con la sua rappresentanza nell’ambito politico e istituzionale? È, infatti, sempre più frequente il rapporto con gli organi legislativi che ci chiedono di esprimere opinioni e proposte su temi e questioni di interesse generale, ritenendo la nostra categoria professionale, e la sua rappresentanza ai diversi livelli, come naturali interlocutori. In questo senso siamo già impegnati a costruire e sviluppare il rapporto con gli organi istituzionali e con il mondo della politica. Il sistema ordinistico è un corpo intermedio che, in quanto tale, può essere un riferimento primario nelle scelte di merito e di interesse generale. Credo che questo sia indispensabile nella Governance del Paese. Essere garanti e svolgere un compito di rappresentanza politica della categoria sono facce della stessa medaglia e non vedo contraddizioni di sorta. Sarà compito del sistema ordinistico ricondurre ad unità le posizioni divergenti che a volte si manifestano all’interno della medesima categoria professionale e questo richiede un impegno straordinario e costituisce l’essenza politica del ruolo che il Consiglio Nazionale e gli Ordini territoriali devono svolgere per essere rappresentativi.
 
  Allarghiamo un po’ lo sguardo, spostando per un attimo l’attenzione sui colleghi che hanno l’obbligo di iscrizione agli Ordini, per esercitare l’attività: oltre 2 milioni di liberi professionisti, che condividono anche l’iscrizione alle Casse Private. Attraverso quali nuove modalità di approccio questa compagine potrebbe evolvere in un organismo coeso e solidale, chiamato alle audizioni parlamentari, al pari delle altre categorie produttive del nostro Paese?
 
Non siamo un sindacato, né vogliamo esserlo, questo non ci impedisce di rappresentare le nostre idee su tanti aspetti del rapporto tra la professione e la società. Siamo, e spero lo diverremo sempre più, una presenza attiva in grado di dare un contributo politico e culturale ai problemi specifici e generali dell’intero Paese e di ogni singolo territorio. Questo ruolo ci viene riconosciuto e, come accade sempre più frequentemente, siamo chiamati ad esprimere le nostre posizioni su questioni che ci vedono coinvolti come professionisti. Certo auspicheremmo una maggiore e più fattiva partecipazione e stiamo lavorando per un effettivo e pieno riconoscimento del nostro ruolo politico e sociale, ma ciò non dipende soltanto da fattori esterni. Come si sostiene in alcune opinioni presenti all’interno del sistema ordinistico, dipende anche e soprattutto dalla capacità che avremo di essere all’altezza del ruolo che rivendichiamo. Per fare ciò dobbiamo liberarci di alcuni retaggi del passato che determinano opacità nei nostri comportamenti. Per molti versi questo è un aspetto cruciale per il raggiungimento dell’obiettivo di piena partecipazione nelle sedi in cui si assumono le decisioni. In altre parole, dobbiamo svolgere un ruolo attivo da protagonisti e allo stesso tempo essere in grado di rappresentare adeguatamente le istanze che vengono dal mondo professionale. Sono convinto che se sapremo essere attenti e autorevoli potremo raggiungere, da questo punto di vista, importanti risultati. Non sarà facile perché periodicamente, e in diverse fasi, qualcuno cerca di mettere in soffitta il sistema ordinistico. Se ciò avvenisse sarebbe un grave errore di valutazione.
 
Gli incarichi pubblici sono un ambito della professione dove spesso si verificano alcune anomalie; così, la Fondazione Inarcassa ha attivato da alcuni anni un servizio efficace, con un supporto legale specialistico, di contrasto ai bandi irregolari di Enti Pubblici. Anche Il CNAPPC aveva attivato un gruppo di lavoro e un servizio denominato ONSAI (Osservatorio Nazionale sui Servizi di Architettura e Ingegneria) efficace sul piano dell’analisi statistica, che permetteva di intervenire segnalando le criticità nella fase di emanazione di un bando, facendo in modo che gli Ordini potessero interloquire con gli Uffici Tecnici per migliorarlo. Due attività operative a supporto della professione che potrebbero convergere in un’attività sinergica a favore della qualità della progettazione e di un ampio accesso ai bandi, per i giovani in particolare; poiché, secondo le statistiche, soltanto il 10 % degli iscritti agli albi, fra architetti e ingegneri, liberi professionisti e dipendenti, si occupa di LL.PP.
 
Il settore dei Lavori Pubblici è per noi un settore strategico e proprio per questo, indipendentemente da quanti iscritti se ne occupano, il CNAPPC ha sempre avuto attenzione alle problematiche che lo interessano. Ancor di più in questo momento con il varo del PNRR a cui sono affidate le sorti economiche e di ripresa del Paese. Come Lei ben ricordava, il nostro Consiglio Nazionale ha da tempo istituito l’ONSAI, un Osservatorio sui bandi di gara e sui concorsi di progettazione al fine di segnalare e intervenire, con tutti gli strumenti a nostra disposizione, nei riguardi dei bandi irregolari e/o anomali che non rispettano la normativa in vigore. So bene che anche la Fondazione INARCASSA si è dotata di un servizio analogo così come il CNI. Credo opportuno lavorare per mettere insieme le esperienze comuni e potere dare vita ad un unico Osservatorio in grado di essere più efficiente e più efficace. Un Osservatorio comune in grado, non solo di segnalare le anomalie e criticità, ma anche di dare supporto ai professionisti, alle pubbliche amministrazioni e alle stazioni appaltanti. Una attività sinergica, appunto, che abbia come obiettivo, sia il rispetto delle regole, sia la qualità della progettazione. C’è da dire, inoltre, che bisognerebbe porre fine alla stagione dei ribassi spropositati nel campo dell’affidamento dei servizi di Architettura e Ingegneria; la qualità del progetto, aspetto questo centrale nella catena di realizzazione delle opere pubbliche, ha per noi un valore strategico e bisognerà, nelle sedi opportune, penso alla legge delega per la riforma del Codice dei Contratti in discussione al Parlamento, far valere questo primario e importante principio. Non disconoscendo ovviamente il tema della facilitazione dell’accesso da parte dei giovani che, per la complessità del sistema dei lavori pubblici, rinunciano a impegnarsi nel settore pubblico, indirizzando il loro impegno professionale verso altri campi. Nel merito abbiamo sempre sostenuto che occorra, in particolare per le opere che hanno una prevalente valenza architettonica, utilizzare lo strumento del concorso a due gradi, aperto a tutti, per gli affidamenti dei servizi di progettazione. La riforma del Codice dei Contratti sarà da questo punto di vista un importante banco di prova, soprattutto per operare una netta distinzione tra i servizi di Architettura e Ingegneria e gli altri servizi: diversi i servizi diverse le regole per il loro affidamento. Questo, innanzitutto, è un problema culturale fino ad ora non recepito dagli organi legislativi che ritengono di equiparare il servizio di progettazione ad altri e più comuni servizi, non comprendendo che la qualità del progetto è centrale nella procedura di realizzazione di un’opera pubblica. Se insieme riusciremo a far valere questi principi avremo raggiunto un risultato che definirei storico.
 
Rimanendo sulla tematica degli incarichi pubblici, l’altra faccia della medaglia attiene alla costituzione della Centrale unica di Progettazione, la Struttura prevista nella Legge di Bilancio 2019. Allo stato attuale si rileva Il fermo proposito del Ministro Brunetta, nel concretizzare il decollo di questo organismo tecnico “per la progettazione di beni ed edifici pubblici”. Per soddisfare la domanda di progetti da parte della Amministrazioni “…al fine di favorire gli investimenti pubblici… è autorizzata l’assunzione a tempo indeterminato, con destinazione alla Struttura, a partire dall’anno 2019, di un massimo di 300 unità di personale, con prevalenza di personale di profilo tecnico…”. Per il conseguimento di questi obiettivi si prevedono “norme di coordinamento con la legislazione vigente e, in particolare, con il codice degli appalti di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”. Vuole sembrare un obiettivo realizzabile, secondo Lei ne avevamo bisogno?
 

Padiglione Belgio, Composite Presence. 17. Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia, How will we live toghether? Foto di Francesco Galli
 
Abbiamo sempre contrastato questo intendimento portato avanti dai diversi Governi che si sono succeduti a partire dal 2019. Il proposito di dare vita ad una Centrale unica di Progettazione nell’ambito della pubblica amministrazione, probabilmente ha l’obiettivo di recuperare tempo nella fase di progettazione riducendo i costi, ma questa idea è una pura illusione per diverse ragioni. Intanto perché la Pubblica Amministrazione non ha al suo interno adeguate professionalità nel campo della redazione dei progetti e in secondo luogo non è in condizioni di realizzare progetti di qualità. In merito potrei elencare innumerevoli ed emblematici esempi. In quanto al recupero del tempo e dei costi siamo al paradosso, vorrei ricordare che la P.A. non brilla per efficienza anche a causa delle procedure e della selva di norme che le regolano. I tentativi di semplificazione fino ad oggi messi in atto hanno fallito e spesso hanno prodotto ulteriori complicazioni. Il tema vero che bisognerebbe indagare è il ruolo da assegnare alla Pubblica Amministrazione, questa è la questione decisiva per la ripresa del Paese e richiede una riforma strutturale di gigantesche proporzioni. Personalmente sono convinto che la P.A. dovrebbe avere chiari e precisi compiti: la programmazione, la gestione e il controllo. In molti Paesi europei, dove la P.A. è più efficiente, non verrebbe mai in mente di affidare la progettazione a un ufficio pubblico. Alla struttura pubblica occorre affidare il compito che a essa compete: cioè la programmazione degli interventi, anche questa purtroppo grande assente nel nostro Paese, indispensabile per potere avere strumenti efficaci per impegnare le risorse disponibili. Questa mi pare una vera priorità, il compito di progettare deve essere affidato a chi ne ha le competenze e credo che tali competenze si trovino per gran parte nel mondo della libera professione nelle sue diverse articolazioni.
 
Per calarci nel vivo della nostra professione, Il tema della “rigenerazione urbana” si arricchisce delle proposte legislative arrivate nelle aule parlamentari, che si prefiggono finalità e obiettivi ambiziosi, insieme ai progetti per la transizione ecologica. Contribuire al contenimento del consumo di suolo, favorire il riuso delle aree già urbanizzate, introdurre elevati standard di efficienza energetica degli edifici… È un tema che si avvale anche dei criteri riferiti alla qualità della progettazione. Finalmente emerge il binomio rigenerazione urbana e qualità della progettazione, tanto auspicato dai progettisti e trova un’ulteriore valorizzazione nel rilancio dei concorsi di progettazione.
Sembra aprirsi una fase propizia per i progettisti dell’area tecnica.          
 
Potremmo dire che qualcosa si muove nella direzione auspicata. Si comincia a riparlare di Agenda Urbana dopo un lungo periodo di silenzio sul tema. Fin dall’inizio, nella fase di elaborazione del PNRR, abbiamo posto l’esigenza di impegnare una adeguata quantità di risorse per ripensare le nostre città e per avviare programmi di rigenerazione urbana sostenibile. Abbiamo anche posto l’urgenza della riforma urbanistica tra quelle riforme che devono accompagnare l’attuazione del PNRR, a questo proposito vorrei ricordare che nel 2022 la legge urbanistica fondamentale compirà 80 anni e le stesse successive leggi regionali continuano ad essere improntate ai principi generali di quella legge e, quindi, si pone la necessità di un profondo ripensamento delle norme per dare vita a una nuova stagione urbanistica. Ciò è tanto più necessario per occuparsi del futuro delle città, questione non più rinviabile; vi è, infatti, l’urgenza di migliorare le condizioni di vita delle comunità, di contribuire concretamente alla lotta ai cambiamenti climatici, di ridurre i consumi energetici e di sviluppare sistemi urbani di mobilità sostenibile. Abbiamo bisogno, inoltre, di intervenire in maniera estesa sul nostro patrimonio edilizio, non con interventi episodici ma con una nuova idea di città. La città nata dalla contrapposizione tra centro e periferia è un modello che va superato perché ha creato congestione, degrado e sistemi di vita non sostenibili. Il futuro delle aree urbane dovrà basarsi: su una struttura policentrica in cui le funzioni abitative e di vita siano in prossimità dei luoghi di lavoro e dei servizi essenziali - la pandemia ci ha insegnato, ad esempio, le possibilità del lavoro a distanza - su una città in cui è possibile recuperare il nostro tempo attraverso una mobilità “dolce” e in cui non c’è bisogno di lunghi spostamenti per soddisfare i bisogni fondamentali dei cittadini. Si tratta, in buona sostanza, di saper coniugare le azioni per dare vita alla transizione ecologica che ci viene indicata dall’Europa. Ecco perché non basta impegnarsi a definire norme sulla rigenerazione urbana in assenza di una visione chiara della città in cui vogliamo vivere. Tuttavia, siamo consapevoli che si è aperta una fase nuova che ha bisogno però di essere precisata nei suoi contenuti fondamentali. Abbiamo per esempio apprezzato che nel D.L. n. 152/2021 vi sia un articolo dedicato ai piani integrati di rigenerazione urbana e che al Senato sia ripresa la discussione sul disegno di legge che regola gli interventi di rigenerazione. Tutto ciò è positivo, ma non sufficiente in assenza di una politica organica che coordini le scelte strategiche che riguardano le città. Sicuramente importante è quanto stabilito in alcuni decreti del Governo sui fondi del PNRR per gli interventi urbani nel Mezzogiorno e sulle scuole innovative, in entrambi i casi si sceglie lo strumento del concorso di progettazione per gli affidamenti degli incarichi e quindi la qualità del progetto. Sono decisioni che riflettono quanto da noi sostenuto e auspicato, e che ci fanno pensare che sia possibile nel breve periodo avviare un nuovo percorso.
 
Con piacere, chiudiamo con gli auspici, infatti.  Tra colleghi si continua a ripetere che oggi, per obiettiva consapevolezza dei professionisti, la progettazione è sempre di più un’attività da sviluppare con l’apporto di una collegialità di competenze, per garantire la rispondenza dell’opera alle specifiche esigenze di tipo strutturale, tecnologico ed energetico. Quali strumenti formativi e iniziative di indirizzo per gli iscritti agli Ordini si possono attivare, per favorire e incentivare la costituzione su larga scala di studi multidisciplinari, pronti ad affrontare strutturalmente incarichi progettuali sempre più sfidanti?
 
Il nostro lavoro ha subito notevoli cambiamenti nell’arco di alcuni decenni con una accelerazione dovuta alle nuove competenze e alle innovazioni tecnologiche. Ciò ha fatto crescere la consapevolezza che il progetto è il concorso di molteplici conoscenze specifiche e di nuove competenze specialistiche che insieme consentono di raggiungere la qualità del risultato. Ma questa consapevolezza non ha avuto significativi effetti nell’organizzazione degli studi professionali: permane ancora il vecchio modello dello studio con pochi componenti, la maggioranza degli studi è formata da 1,6 unità, una dimensione che mal si concilia con la necessità di dare vita ad aggregazioni multidisciplinari in sintonia con la domanda proveniente dal mercato del lavoro nel campo dei servizi di progettazione. È questa una criticità che registriamo e che va affrontata poiché vi è il rischio concreto che il perdurare di uno stato di arretratezza non aiuti ad affrontare le nuove sfide che scaturiscono dall’innovazione digitale e dalla ricerca di soluzioni specialistiche nel campo dei servizi di Architettura e Ingegneria. Riteniamo indispensabile, pertanto, che si sviluppino sempre di più processi di integrazione multidisciplinare per potere ampliare le opportunità offerte dal mercato. Su questo versante abbiamo assunto di recente specifiche iniziative per promuovere la formazione di Società tra professionisti (STP) attraverso alcune proposte di facilitazione e di incentivazione fiscale, rivedendo le norme attuali che contengono modalità penalizzanti che non aiutano la costituzione di aggregazioni professionali. Pensiamo che nella prossima legge di Bilancio sia necessario introdurre specifiche modifiche alle norme vigenti. Vi è, infine, un altro aspetto che bisogna prendere in considerazione e che riguarda la capacità del sistema ordinistico di offrire opportunità di aggiornamento ai propri iscritti attraverso la formazione continua obbligatoria. Siamo convinti che la formazione sia una opportunità e un valore da salvaguardare a condizione che si elevi la qualità dei momenti formativi sempre più connessi con i mutamenti della realtà professionale e alla domanda del mercato. Pertanto, nuove aggregazioni multidisciplinari e qualità della formazione continua sono aspetti essenziali per la crescita dell’insieme della comunità degli Architetti e per essere pronti alla sfida dell’innovazione, sfida a cui non dobbiamo e non possiamo sottrarci.
 
Francesco Miceli – alla guida degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori per il quinquennio 2021/2026 – svolge la sua attività professionale nei campi della progettazione urbanistica, dell’architettura, del recupero e della rigenerazione urbana. Negli ultimi anni, in qualità di relatore ed esperto, ha partecipato a conferenze ed eventi sui temi dell’Architettura, della città, del Paesaggio, dell’Ambiente e dell’Urban planning. Ha anche ricoperto l’incarico di Assessore all’Edilizia privata, ai Lavori pubblici e al Verde pubblico del Comune di Palermo. Nell’ambito ordinistico ha svolto una incessante attività culturale per la promozione della figura dell’Architetto, del valore dell’architettura e dei concorsi di progettazione come strumento centrale per la ricerca della qualità.

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