Equo compenso: una necessità

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Che gli architetti e gli ingegneri liberi professionisti se la passino male, molto male, era ed è noto. Non serviva certo uno studio scientifico, analitico e puntuale per riscontrarlo. Perché allora farlo?
La risposta è semplice: questo studio è indispensabile per dimostrare a chi ci governa, a chi in Parlamento legifera, a tutti coloro che in modo diversificato possono incidere sulla nostra vita professionale che il nostro lamento non è figlio dell’italico pianto atavico ma è, purtroppo, frutto di una situazione realmente drammatica. Tutto questo inoltre si lega alle questioni trattate nello Statuto dei lavoratori autonomi il cui percorso legislativo viene da noi seguito con grande attenzione.
Lo studio condotto dalla Fondazione EYU e redatto dal prof. Andrea Ciarini, dell’Università de La Sapienza, analizza tutti gli aspetti della nostra situazione: redditi, addetti, dinamiche negli anni. In una sintesi veramente estrema si può dire che negli ultimi vent’anni siamo numericamente triplicati, passando da circa 50.000 iscritti a Inarcassa del 1995 a poco meno dei 170.000 di oggi, e i nostri redditi, soprattutto quelli degli architetti, in termini reali, si sono sostanzialmente dimezzati.
Questo stato di estrema debolezza ha innestato in tutta la categoria, e quindi anche tra i liberi professionisti, un fenomeno di dumping grave che determina una condizione di certa pericolosità relativamente alla qualità del nostro lavoro. Negli ultimi anni, con una scriteriata liberalizzazione dei compensi che non ha tenuto in alcun conto dell’enorme dissimmetria tra domanda e offerta quindi della sostanziale mancanza di una condizione di reale mercato, si è determinata una sconsiderata corsa al ribasso. Il ragionamento corrente sembra essere: non ho lavoro quindi, pur di fare qualche cosa lo faccio gratis, o quasi. In una situazione come questa risulta necessario, soprattutto per garantire la qualità del nostro lavoro, il principio dell’equo compenso.
Ed è proprio l’equo compenso uno degli obiettivi dello studio.
Dispiace che il responsabile dell’ autority per la concorrenza non comprenda la gravità della situazione, non voglia analizzare cosa succede negli altri Paesi europei in merito al nostro lavoro, non voglia prendere atto che nei Paesi più evoluti la concorrenza per gli appalti di servizi di ingegneria avviene, correttamente, sulla qualità e non sul prezzo.
Nel culto ottuso della libera concorrenza basata sul prezzo non si può, peraltro, non valutare che (come è difeso il lavoro dipendente attraverso i CNL, che rigidamente salvaguardano le condizioni economiche, e non solo) anche il nostro lavoro, essenzialmente basato sull’intelletto, deve avere un’equa retribuzione. Se ciò non avviene non è più un lavoro ma uno sfruttamento! Rileggiamo l’art. 4 della Costituzione, e anche l’art. 36: noi siamo lavoratori, autonomi, ma pur sempre lavoratori, e non multinazionali.
La Fondazione da oltre una anno si occupa di equo compenso: è questo uno dei motivi per cui abbiamo con decisione affrontato la questione dell’inserimento delle categorie ordinistiche all’interno dei soggetti interessati dallo Statuto dei lavoratori autonomi; ma non dobbiamo fare un errore tattico gravissimo, quello di confondere l’equo compenso con il minimo tariffario o una “tariffa di riferimento”.
Nello studio si valutano ed evidenziano, per un reale aiuto alla nostra categoria, anche altre richieste:
 

  • nuove tutele di welfare e politiche attive;
  • contrasto al dumping interno alla professione;
  • incentivi all’aggregazione, innovazioni organizzative, credito, internazionalizzazione e, più in generale, oltre ad aspetti direttamente influenti sulla categoria anche per un concreto aiuto finalizzato al miglioramento della qualità della vita della Nazione:
  • investimenti e sostegno alla crescita;
  • progettazione e programmazione per i lavori pubblici e le trasformazioni urbane.

 
Il percorso che abbiamo di fronte è lungo, difficile e costellato di asperità, ma nelle condizioni in cui oggi versa la nostra categoria dobbiamo assolutamente tutti impegnarci con il massimo sforzo perché, almeno su alcuni temi, si venga ascoltati.

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