Equo compenso, garanzia necessaria per l’equilibrio nei rapporti contrattuali

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L’equo compenso è un principio che si applica in vari contesti, ma è particolarmente rilevante nel campo del lavoro autonomo e delle professioni regolamentate, come avvocati, architetti, ingegneri e altri professionisti. In generale, l’equo compenso garantisce che i professionisti ricevano un compenso adeguato e proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, evitando che siano sottopagati o sfruttati.
Il concetto di equo compenso nasce per contrastare pratiche scorrette, come il ricorso a clausole contrattuali abusive o l’imposizione di tariffe estremamente basse da parte dei clienti, specialmente da parte di grandi aziende o enti pubblici che possono avere un potere negoziale maggiore. L’obiettivo è assicurare che ci sia un equilibrio nelle relazioni contrattuali, fornendo ai professionisti una protezione legale contro compensi ingiusti o iniqui.
In molti Paesi ci sono leggi o regolamenti specifici che stabiliscono criteri e tutele per l’equo compenso analoghe alla nostra legge n. 49/2023; tali norme spesso prevedono meccanismi per contestare compensi considerati iniqui e possono introdurre sanzioni per i datori di lavoro o i clienti che non rispettano questi principi.
La legge sull’equo compenso italiana garantisce per le prestazioni professionali compensi stabiliti in modo da riflettere il valore del lavoro svolto e da rispettare la dignità del professionista.
Sino al 2023, tuttavia, il giudice amministrativo, aderendo al pensiero di inizio Novecento di Federico Cammeo (nato a Milano il 20 luglio 1872) sembrava ritenere che la gratuità della prestazione professionale verso la P.A. fosse ammissibile per quel “vantaggio indiretto” conseguente a un “arricchimento curriculare” o, semplicemente, a “fama, prestigio, pubblicità” che ne conseguivano (Cons. St., Sez. IV, 9 novembre 2021, n. 7442).
Cammeo riponeva una fiducia totale ed assoluta nella legittimità dell’azione della P.A. giustificata dal “sano intuito di buoni funzionari” che dirigevano la funzione amministrativa.
La legislazione degli ultimi cento anni concernente l’affidamento dei contratti pubblici e il recepimento delle regole comunitarie volte alla tutela della concorrenza, tuttavia, rendono inconciliabile la tesi che la prestazione d’opera possa essere una forma di mecenatismo su cui sembrava assestato il Consiglio di Stato. Anzi, l’eccesso di normazione che ha caratterizzato gli ultimi codici, risponde all’esigenza di limitare il più possibile la discrezionalità del funzionario, capovolgendo il punto di partenza di Cammeo.
Il legislatore, nel 2023, ha posto fine all’annosa questione con due provvedimenti chiari ed inequivocabili: la legge n. 49/23 e il nuovo codice dei contratti che inserisce l’equo compenso tra i principi della novellata disciplina (comma 2 dell’art. 8 del D.lgs. n. 36/23).
La legge n. 49 del 21 aprile 2023, meglio nota come “equo compenso” tutela i liberi professionisti nei confronti di imprese bancarie, assicurative, grandi aziende, nonché pubblica amministrazione e società a partecipazione pubblica stabilendo che la remunerazione percepita da un professionista per un servizio reso deve essere proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche delle prestazioni professionali, nonché conforme ai compensi previsti.
Il comma 2 dell’art. 8 del D.lgs. n. 36/23 chiarisce testualmente che “le prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso”.
Nel nostro Paese, dove il lavoro professionale gratuito e la pubblicazione di bandi di gara per i servizi di ingegneria e architettura con un euro a base d’asta erano la prassi, è stata finalmente riconosciuta dignità al lavoro professionale superando, peraltro, un approccio assolutamente miope che ha generato un ritardo enorme nella realizzazione delle opere pubbliche e alimentato un perenne contenzioso tra stazioni appaltanti e operatori economici.
Sull’effetto dei ribassi eccessivi nelle gare dei servizi di ingegneria e architettura e le ricadute negative nei tempi e nei costi di realizzazione delle opere pubbliche, esiste uno studio scientifico indipendente, elaborato direttamente sui dati ANAC, che dimostra come a maggiori ribassi nelle gare per Servizi di Ingegneria e Architettura (SIA) corrispondono maggiori problemi nella fase esecutiva degli appalti (varianti, ritardi, interruzioni, contenziosi, ecc.).
Il TAR Veneto, con la sentenza del 3 aprile 2024, n. 632, ha fugato qualsiasi dubbio interpretativo, chiarendo che l’equo compenso è applicabile anche alle gare per servizi di architettura e ingegneria e che il compenso determinato dai parametri ministeriali non può essere ribassato, mentre le spese e gli oneri accessori possono essere ridotti.
Questa palese convergenza tra le norme di riferimento e l’interpretazione giurisprudenziale avrebbe dovuto chiudere definitivamente la questione ma così non è stato.
Abbiamo registrato un primo tentativo di destabilizzare il sistema, attraverso gli emendamenti nn. 12.06, 12.07, 12.09 riferiti alla Conversione in legge del decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19, che, giustamente dichiarati inammissibili dalla V commissione Bilancio del Senato, avrebbero voluto intervenire sulla legge n. 49/2023.
Successivamente, l’Anac ha invitato, per la seconda volta, la Cabina di Regia a fare chiarezza sulla questione dell’equo compenso, chiedendo un urgente intervento interpretativo o normativo delle Istituzioni che possa consentire la corretta e uniforme applicazione della normativa di riferimento.
A dire il vero la stessa ANAC, nelle consultazioni sul bando tipo dei servizi di ingegneria e architettura aveva previsto – tra le tre opzioni – che il compenso determinato dai parametri ministeriali non potesse essere ribassato, mentre le spese e gli oneri accessori potessero essere ridotti, al pari del TAR Veneto.
Anche le motivazioni espresse nella nota dell’ANAC non sembrano coerenti con le norme cogenti, in quanto legate ad una concezione della concorrenza, immanente al sistema, che il nuovo Codice dei contratti ha ampiamente superato. Il principio cardine su cui oggi ruotano gli affidamenti è, infatti, quello del risultato a cui la concorrenza è meramente funzionale. L’affidamento diretto sino a 140.000 euro, tra l’altro, garantisce ai più giovani e ai professionisti meno strutturati l’accesso alla professione, grazie al meccanismo di rotazione. Mentre, per i servizi di ingegneria e architettura di maggior importo, la norma prevede l’aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ed è già possibile, ai sensi del comma 5 dell’art. 108 del nuovo Codice, limitare il confronto concorrenziale ai soli profili qualitativi delle offerte, azzerando il peso della componente di prezzo. Scelta quest’ultima che appare la più idonea a garantire un adeguato livello qualitativo dei servizi tecnici.

Da remoto il Viceministro della Giustizia, Senatore Francesco Paolo Sisto

L’equo compenso, quindi, sia negli affidamenti diretti, sia nelle gare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa non al tera la concorrenza né impedisce l’accesso al mercato dei giovani professionisti.
In merito ai maggiori costi paventati dall’ANAC, ci limitiamo a due constatazioni. La prima, è che i costi delle prestazioni professionali sono già inseriti nei quadri economici delle Stazioni Appaltanti e che, quindi, hanno già una fonte di finanziamento che non subisce variazioni per l’applicazione dell’equo compenso. La seconda considerazione, emersa dallo studio innanzi citato, è che la corsa ai ribassi sui servizi tecnici si traduce in un maggior costo delle opere pubbliche per varianti e prolungamento dei tempi di realizzazione dei lavori.
Contestualmente alla nota dell’ANAC è intervenuto il TAR Lazio con sentenza del 30 aprile 2024, n. 8580, chiamato a decidere sull’esclusione della ricorrente, perché essa avrebbe operato di fatto un ribasso anche sui compensi determinati sulla base del D. Min. Giustizia 17/06/2016, in violazione della lex specialis che li aveva qualificati come inderogabili e non ribassabili.
Il TAR, non solo ha richiamato gli elementi essenziali della disciplina sull’equo compenso, di cui alla L. 49/2023, nonché il contenuto della Sent. TAR Veneto 03/04/2024, n. 632, ma ha anche chiarito che:
“la disciplina dell’equo compenso comporta un rafforzamento delle tutele e dell’interesse alla partecipazione alle gare pubbliche”, rispetto alle quali l’operatore economico, sia esso grande, piccolo, italiano o di provenienza UE, è consapevole del fatto che “la competizione si sposterà eventualmente su profili accessori del corrispettivo globalmente inteso (ad esempio sulle spese generali) e, ancor di più sul profilo qualitativo e tecnico dell’offerta formulata”;
“la Sent. C. Giustizia 25/01/2024, C-438/22 UE, che ha affermato l’obbligo di rifiutare l’applicazione di una normativa che fissi importi minimi degli onorari degli avvocati, si riferiva ad importi determinati dal Consiglio superiore dell’Ordine forense della Bulgaria che agiva alla stregua di un’associazione di imprese”, nel perseguimento di un proprio interesse specifico e settoriale; “contesto, quindi, del tutto diverso da quello in cui rilevano norme di carattere generale adottate da autorità pubbliche”;
• il meccanismo derivante dall’applicazione della legge n. 49/2023 è tale da garantire sia dei margini di flessibilità e di competizione anche sotto il profilo economico, sia la valorizzazione del profilo qualitativo e del risultato, in piena coerenza con il dettato normativo nazionale e dell’Unione Europea.
Secondo il TAR del Lazio, non può neanche ravvisarsi un’incompatibilità tra la legge sull’equo compenso e l’art. 108, comma 2, del D.lgs. 36/2023, nella parte in cui impone l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV) individuata sulla base del miglior rapporto qualità/ prezzo ai contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 140.000 euro. Infatti, la Legge n. 49/2023 non preclude l’applicabilità ai contratti in questione del criterio di aggiudicazione dell’OEPV, poiché il compenso del professionista è soltanto una delle componenti del prezzo determinato come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare a spese ed oneri accessori.
A un anno di distanza dalla pubblicazione della Legge n. 49/2023, Fondazione Inarcassa, che sin dalle primissime battute ha fatto sentire la propria voce, rendendo pubblica una posizione chiara e netta circa l’applicabilità assoluta e immediata dell’equo compenso agli appalti pubblici, ha organizzato e promosso un evento per fare un primo bilancio sulle prospettive future e sulle criticità emerse.

Parla Tullio Patassini, Consigliere economico del Presidente della Commissione Attività Produttive Onorevole Alberto Gusmeroli. Modera Andrea Picardi (giornalista)

Un momento di dibattito e approfondimento, che ha visto la partecipazione del Viceministro della Giustizia, il Senatore Francesco Paolo Sisto, del Vicepresidente di Inarcassa, Massimo Garbari, e coinvolto il Presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti PPC, Massimo Crusi, il Consigliere del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, Sandro Catta, il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Greco, il Presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali, Mauro Uniformi e il Presidente del Consiglio Nazionale Geometri, Maurizio Savoncelli. L’iniziativa, inoltre, è stata condivisa dal Consiglio Nazionale dei Geologi.
In apertura dei lavori sono stati invitati tutti i rappresentanti del mondo professionale ad agire insieme per un futuro dove la dignità e il valore del lavoro siano pienamente riconosciuti e tutelati.

Partendo da sinistra: Massimo Crusi, Presidente CNAPPC (Consiglio Nazionale Architetti PPC); Massimo Garbari, Vicepresidente Inarcassa; Andrea De Maio, Presidente Fondazione Inarcassa; Sandro Catta, Consigliere CNI (Consiglio Nazionale Ingegneri)

Il Viceministro della Giustizia, Senatore Francesco Paolo Sisto, ha ricordato la ratio della legge sull’equo compenso, un provvedimento nato “per tutelare il mercato, così come i liberi professionisti: perché essere sottopagati danneggia in primis la qualità del lavoro e, quindi, la concorrenza”. Il Vicepresidente di Inarcas sa, Massimo Garbari, non ha mancato di ricordare che “c’è ancora molto da fare” ma questa è una legge “che aiuta soprattutto i più giovani”. E questo perché “la legge sull’equo compenso soddisfa un principio di civiltà, vale a dire ricevere un compenso equo per il lavoro svolto”, ha ricordato nelle sue battute Tullio Patassini, Consigliere economico del Presidente della Commissione Attività produttive l’on. Alberto Gusmeroli.
In chiusura, voglio ricordare che la Fondazione è stata costituita nel 2011 con l’obiettivo di creare un punto di raccordo tra tutte le voci dei liberi professionisti per avere ascolto, incisività e peso nel mondo politico, attraverso un’attenta attività di monitoraggio, proposizione legislativa e diffusione delle ragioni degli associati all’interno della società civile.
La volontà dell’allora Comitato Nazionale dei Delegati fu condizionata dalle scelte del legislatore dell’epoca di cancellare i minimi tariffari. Sebbene le sfide siano tutt’altro che finite, oggi è possibile affermare che la Fondazione ha, finora, egregiamente assolto a quella esigenza iniziale.

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