“L’Italia ha dimenticato la cultura delle infrastrutture cuore del boom economico”

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Intervista a Elio Masciovecchio, componente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici

Il crollo del Ponte Morandi è stato solo il più recente e drammaticamente evidente caso di mancata o errata manutenzione delle infrastrutture stradali in Italia.Il 7 luglio 2014 quattro persone rimangono ferite nel crollo di un tratto del viadotto Lauricella lungo la stradale 626 tra Ravanusa e Licata, in provincia di Agrigento. Il 28 ottobre 2016 collassa un cavalcavia sulla provinciale 49 Molteno-Oggiono al passaggio di un Tir di oltre 108 tonnellate all’altezza del km 41 della superstrada Milano-Lecco. Muore un uomo di 68 anni. Il 9 marzo 2017 frana un ponte vicino ad Ancona, nel tratto marchigiano dell’autostrada A14 Adriatica. Muore una coppia di coniugi in viaggio sulla propria auto, travolta dall’infrastruttura che era in corso di ristrutturazione. Insomma, in Italia sembra esserci un’emergenza legata alla stabilità dei ponti stradali. Abbiamo chiesto a Elio Masciovecchio, ingegnere e componente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, di capire quali siano i problemi delle infrastrutture viarie in Italia.

 

Qual è la condizione della rete stradale italiana? 

 

Ing. Elio Masciovecchio


“La rete dei trasporti in Italia comprende 156 porti, una rete ferroviaria di 24.299 km, una rete stradale (strade statali, regionali, provinciali, comunali) di 837.493 km, una rete autostradale di 6.757 km e 98 aeroporti. Le condizioni della rete stradale non possono prescindere dalla sua vetustà e dalla corretta manutenzione nel tempo. Nel Paese abbiamo lasciato per strada la cultura delle infrastrutture, il cuore del boom economico. Per troppo tempo non si è fatta nemmeno la manutenzione ordinaria, precipitando così nell’emergenza, come ha ricordato a tutti la tragedia di Genova. Eppure, il nostro Paese è stato sempre all’avanguardia per la realizzazione di infrastrutture: la ferrovia Napoli-Portici fu la prima linea ferroviaria costruita in territorio italiano, nel regno delle Due Sicilie, inaugurata il 3 ottobre 1839 era a doppio binario, aveva la lunghezza di 7,25 chilometri ed è stata realizzata subito dopo la prima ferrovia al mondo inaugurata in Inghilterra il 27 settembre 1825. Questa collegava Darlington a Stockton ed era lunga 43 km. Per non parlare delle reti stradali e relative opere d’arte realizzate dagli antichi romani. Al momento della massima espansione dell’Impero la rete viaria romana misurava oltre 80.000 chilometri, ripartiti fra 29 strade che si irradiavano da Roma verso l’Italia e altre che toccavano tutti i territori dell’Impero, dalla Britannia alla Mesopotamia, dalle Colonne d’Ercole al Mar Caspio. In tempi moderni, il 4 ottobre 1964 venne inaugurata la più lunga autostrada italiana, più di 755 chilometri da Milano a Napoli: viaggio nel boom economico italiano tra viadotti, montagne e autogrill. In soli otto anni, dal 1956 al 1964, l’Italia ha costruito l’autostrada tra Milano e Napoli, la principale arteria di comunicazione del nostro Paese. Sono gli anni del boom economico e della motorizzazione di massa: la costruzione di strade e automobili si intreccia e il paese s’incammina verso la modernità. È il periodo di massima espansione della nostra rete viaria.”
 
Abbiamo visto ponti che crollano e cavalcavia in pessime condizioni. Quanto incide la mancata o errata manutenzione sulla stabilità di una struttura? “Ci si accorge solo ora, come d’incanto, che ci sono tanti ponti, viadotti e altre infrastrutture che hanno bisogno di urgente manutenzione, il che sarebbe un’ovvietà: parliamo di opere realizzate in buona parte nel secondo dopoguerra, vecchie di decenni. Ogni materiale utilizzato, non solo il cemento armato, ma anche l’acciaio ha bisogno di costante manutenzione nel ciclo vitale dell’opera, per non arrivare all’emergenza. La costante e accorta manutenzione, ordinaria e straordinaria, rappresenta un investimento, un risparmio nel lungo periodo, perché se non si interviene subito, i costi per la collettività per riparare i danni saranno di gran lunga superiori.”
 
Oggi i progettisti tornano ad utilizzare l’acciaio. Ritiene che siano più sicure di quelle in calcestruzzo armato? “La sicurezza delle infrastrutture dipende dalla tecnica costruttiva utilizzata a prescindere dal materiale. Non si può dire a priori che un materiale sia migliore di un altro. Il progetto deve sempre essere la base da cui partire per impostare un corretto piano di manutenzione che avrà costi e tempi, questi sì, che dipenderanno anche dai materiali utilizzati. Da molti si è ipotizzata la ricostruzione del ponte di Genova in sette o otto mesi: tutto è possibile ma sicuramente poco probabile. Anzi se sarà possibile, e me lo auguro, dovremmo pretendere le stesse modalità per l’esecuzione di tutte le opere pubbliche in Italia che sono oggetto di tempi di realizzazione fisica non paragonabili con i tempi necessari per l’appalto a causa, ormai, dei rituali contenziosi nell’assegnazione degli stessi. Nel caso specifico si potrebbe optare, invece, di mantenere le strutture originarie rimaste come indicato dal professor Cosenza di cui condivido il pensiero.”
 
È vero che comunque anche le strutture in acciaio hanno bisogno del calcestruzzo per essere poste in opera e comunque hanno costi di manutenzione molto maggiori di quelle classiche in calcestruzzo armato? “Certamente le strutture in acciaio hanno normalmente fondazioni in cemento armato: se i costi siano, nel ciclo di vita dell’opera, maggiori per l’acciaio non saprei. Certamente l’acciaio ha bisogno di più interventi di manutenzione costanti nel tempo per problemi relativi alla corrosione.”
 

 
 
Esiste un programma nazionale che consenta di conoscere lo stato di sicurezza delle infrastrutture e un’anagrafe di queste opere, almeno quelle più significative per salvaguardare la pubblica incolumità? “I cantonieri erano gli addetti dell’Anas che si prendevano quotidianamente cura della manutenzione del tratto di strada a loro assegnato, ed erano le sentinelle che avvisavano di anomalie e disfunzionalità. Ebbene, i cantonieri non esistono più. Come del resto, non ci sono risorse adeguate per intervenire, non c’è una diagnostica aggiornata sullo stato di salute delle infrastrutture, a cominciare da ponti e viadotti, senza la quale è impossibile stilare un crono-programma degli interventi, che devono ovviamente partire dalle situazioni più a rischio. E ancora, negli enti pubblici, non c’è un numero sufficiente di ingegneri assunti, determinanti per accelerare gli iter sui lavori pubblici. È importante per la collettività dotare le nostre maggiori infrastrutture di sistemi diagnostici automatizzati che possano diventare i “cantonieri del futuro” per poter ridare slancio ad una stagione di rilancio delle opere infrastrutturali in Italia in maniera puntuale e oculata”. 
 
Ha collaborato alla realizzazione dell’intervista l’ing. Giovanni Paolo Canè

 

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