Immobili all’asta, ora il consulente riceve il saldo a vendita ultimata

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Il professionista ottiene il 50% del compenso dopo due anni dalla conclusione dell’incarico. E l’altra metà solo quando il bene sarà stato venduto

La professione del Consulente Tecnico d’ufficio è ormai considerata dallo Stato un servizio “a risultato” e non, come dovrebbe essere, “a prestazione”, con tariffe vecchie di oltre 15 anni e assolutamente inadeguate alle sempre più farraginose procedure. È il caso della cosiddetta “vacazione” di due ore pagata dalla tariffa giudiziaria appena 8,15 euro, meno della metà della tariffa oraria di gran parte delle badanti. Ebbene ormai la vecchia tariffa giudiziaria del D.M. 30 maggio 2002, di per sé fin dalla sua nascita già abbastanza screditante, è puntualmente disattesa dai magistrati con arbitrari tagli e interpretazioni. Di recente è stata, inoltre, modificata con una norma che favorisce le banche nel rapporto con i consulenti introdotta dall’art. 161 c.p.c. delle disposizioni attuative e dall’art. 14 del D.L. 83/2015, convertito con L. 132 del 6 agosto 2015. In buona sostanza questa ultima norma pone a base del calcolo del compenso del consulente tecnico nelle esecuzioni non tanto il valore del bene stimato, ma il valore del ricavato dalla vendita all’asta. Di fatto, il consulente è obbligato a partecipare al rischio d’impresa derivante dal processo di vendita, rischio che dovrebbe, invece, restare in capo esclusivamente al soggetto che ha pignorato il bene in forza di un credito. Oltre alla diminuzione del compenso – conseguente a un naturale deprezzamento in sede di vendita giudiziale – il terzo comma del predetto art. 161 prevede che gli introiti dello stimatore non possano essere corrisposti prima della vendita se non nella misura del 50%. Un danno per questo che, dopo un’attesa di anni, visto l’andamento di alcune procedure di vendita che arrivano dopo parecchi mesi e diversi tentativi a vendite con valori irrisori se non addirittura a sospensioni della procedura per svariate cause, si vede remunerato con il solo 50% se non addirittura obbligato a restituirlo. È come se un imprenditore edile pagasse al termine dei lavori gli operai dandogli il 50% del dovuto e il resto alla vendita dopo anni in proporzione al ricavato dalla vendita. Come è impossibile che un autocarrozziere, quando deve fare un lifting a un’autovettura usata, si faccia pagare alla consegna la metà del costo dei ricambi e della manodopera, e il resto una volta venduta l’auto in percentuale al prezzo pattuito. I consulenti tecnici d’ufficio hanno una miriade di obblighi fiscali, deontologici e di formazione rispetto ad altre categorie lavorative. Eppure, al momento del pagamento, non vengono considerati lavoratori a tutti gli effetti, nonostante il professionista per vivere sia costretto a lavorare senza orari e per 365 giorni l’anno, pressoché senza tutele e salvaguardia del proprio posto di lavoro.
 

Lago di Como, Villa Melzi, fotografia di Dario Fusaro

 
Appare urgente, quindi, per il settore giudiziario l’approvazione dell’adeguamento della tariffa, a proposito della quale c’era un preciso recente impegno da parte del Governo ma che non è stato, al momento, mantenuto. Eppure, non si tratta di un risparmio di denaro pubblico ma di un vantaggio all’esecutore, che sostiene il costo delle perizie estimative. E, nella stragrande maggioranza dei casi, questa figura è rappresentata da una banca. Appaiono seri dubbi sulla legittimità costituzionale del provvedimento e non si comprende per quale motivo, fra tutti coloro che operano nell’ambito delle esecuzioni immobiliari, il risparmio a vantaggio delle banche debba essere ottenuto penalizzando soltanto i professionisti che operano come periti stimatori, che sono soltanto uno dei tanti anelli della catena dei soggetti che intervengono nella procedura. Fra gli interventi giurisprudenziali fortemente critici nei confronti del suddetto terzo comma dell’art. 161 c.p.c. è da segnalare il provvedimento del Tribunale di Vicenza del 15 giugno 2016 che, sic et simpliciter, disapplica la nuova norma: secondo il giudice vicentino, infatti, " le prestazioni dell’esperto, seppure svolte in qualità di ausiliario del giudice, in nulla si differenziano da una ordinaria transazione commerciale e, anzi, può ben dirsi, in forza dell’art. 8 DPR 115/2002, ch’essa è svolta direttamente o indirettamente in favore del creditore procedente, che, infatti, ne paga la fattura". E continua asserendo che la disciplina riservata all’esperto risulta palesemente contraria alla normativa di matrice comunitaria poiché “in ambito comunitario, il professionista è equiparato all’impresa di prestazione di servizi ” e gode di una speciale tutela nei termini di pagamento (D.Lgs 231/02). Cita, ancora, la sentenza della Cassazione 18070/2012 con la quale la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che la liquidazione del consulente tecnico deve essere tale da assicurare all’ausiliario un ragionevole risultato economico, ritenendo, di conseguenza che “ la liquidazione con riferimento al valore di vendita degli immobili non tenga conto di tale fondamentale criterio e del suddetto bilanciamento, così che l’intervento legislativo sul punto appare irragionevolmente in contrasto con i suddetti principi, frustrando in maniera sproporzionata le possibilità di conseguimento del risultato economico”. Si arriva anche ad affermare “ che la nuova disciplina finisce col trasformare la prestazione dell’esperto stimatore da obbligazione di mezzi a obbligazione di risultato”. Alla luce di quanto sopra il Tribunale ritiene “ quindi che la norma sulla dimidiazione (ndr – divisione a metà) dei compensi e rinvio della liquidazione del residuo alla vendita dei beni vada disapplicata, in forza della primazia del diritto comunitario”. Tuttavia, questa sentenza sembra non aver fatto giurisprudenza, visto che i tribunali italiani continuano ad applicare la norma che favorisce le banche a scapito dei professionisti. Con l’inadeguata tariffa giudiziaria tutto ciò rende di fatto assolutamente non appetibile svolgere il lavoro di consulente tecnico d’ufficio nelle procedure esecutive e nelle altre civili e penali ove, per quest’ultime, il pagamento avviene da parte dello Stato non solo in base alle basse tariffe ma anche con un ritardo di due-tre anni dall’espletamento dell’incarico. Sulla stesura di questa norma sembra che nessuno degli organi di rappresentanza (CNA, CNI, sindacati, e i colleghi eletti in Parlamento) sia intervenuto. È venuto ora il momento che il legislatore adegui la tariffa giudiziaria.
 

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