Il complesso recupero dell’Ospedale Longobardo sull’antica via dei pellegrini
Da rudere a luogo di accoglienza dei pellegrini e turisti “slow”. Si è concluso in primavera il recupero e il restauro dell’Hospitale di San Giovanni di Gerusalemme a San Tomaso di Majano in provincia di Udine, conosciuto anche come l’“Ospedale Longobardo”. Il complesso, a lungo in rovina, è stato recuperato grazie all’intervento del comune di Majano e all’associazione “Amici dell’Hospitale di San Giovanni” che ne ha salvato l’antica funzione a partire dalla possibilità per i pellegrini e i camminatori di trovare nella struttura un rifugio per la notte, secondo il principio della gratuità.
L’Hospitale è stato fondato nel 1199 sulla donazione di Artuico di Varmo, per assicurare accoglienza gratuita ai poveri e ai pellegrini in cammino verso la Terra Santa. Di lì infatti passava la Via di Allemagna, che collegava l’Europa nord-orientale, partendo dal Mar Baltico e attraversava Cracovia, Vienna, Tarvisio, Venzone e seguiva il Tagliamento fino al mare per coloro che si imbarcavano per Gerusalemme, oppure si ricongiungeva alle altre vie che conducevano a Santiago e a Roma attraverso la Romea e la Francigena. Gli “hospitales” venivano realizzati lungo le vie a una distanza di un giorno di cammino per garantire ai pellegrini sempre un rifugio sicuro. In tutta Europa erano migliaia ma oggi ne rimangono pochi e quello di San Giovanni a San Tomaso è l’unico ad avere ancora la pergamena fondativa originale. La pergamena prescrive che l’Hospitale doveva obbedire alla regola dell’Ospedale di Gerusalemme, fondato nei primi secoli d.C. davanti al Santo Sepolcro a Gerusalemme. “Ero straniero e mi avete accolto”: su queste parole di Gesù, riportate dal Vangelo secondo Matteo, si fonda il concetto di gratuità dell’Hospitale. Così gli uomini si spostavano e “muovevano” così le idee e si arricchivano le culture. Dall’incontro con le civiltà mediterranee e orientali, pellegrini e mercanti tornavano con tessuti, spezie, libri di filosofia, algebra, astronomia, letteratura, medicina orientale, geometria arabo-persiana, e nuove figure architettoniche che hanno consentito di progettare una nuova generazione di cattedrali. Con lo sguardo sempre rivolto a oriente.
L’Hospitale di San Tomaso, con la sua chiesa antecedente al 1199, la torre millenaria e la Casa del Priore con le sue finestre siriane ogivali come un innesto nella preesistente romanità e simbolo della contaminazione culturale, svela le origini di quello sviluppo e la direzione verso oriente.
La cucina con il focolare. Foto di Paolo Ribichini
I lavori di restauro e recupero che sono terminati quest’anno erano stati avviati dal comune di Majano nel 2006 con finanziamenti regionali. L’idea fu, fin dall’inizio, quella di riproporre l’antica funzione in chiave moderna, dedicata al turismo culturale, al pellegrinaggio moderno e allo slow tourism. In questo senso è stata recuperata l’antica cucina, anche dotata di un piano cottura a induzione e moderni elettrodomestici ma rivestiti in legno vecchio e marmo simile a quelli esistenti, mantenendo uno stile semplice, che allude all’essenzialità medievale. Il caminetto è stato ricostruito seguendo la traccia della sua forma originale ancora disegnata sul muro antico della cucina. L’ostello/foresteria al momento dispone di 12 posti letto in camerata con due bagni. Al piano terra c’è una sala, sede del centro culturale e di studi dell’Associazione, dedicato ai cammini sulle vie antiche e alla relazione tra Europa e Vicino Oriente.
Il progetto ha previsto una configurazione di locali e di destinazioni d’uso flessibili con tre funzioni principali: Ristoro, Foresteria, Centro di Studi e convegni. Il ristoro è costituito dalla cucina storica con “fogolar” e dalla sala conviviale. La foresteria è dedicata al turismo culturale e allo slow tourism con camere da uno a cinque posti letto e all’accoglienza più essenziale, più adatta a pellegrini e viandanti con una camerata per un totale di 25 posti letto.
“Era praticamente un rudere”, spiega Marino Del Piccolo, ingegnere responsabile del recupero dell’hospitale. “Pioveva dentro da 30 anni ed erano nati alberi ed edera sui muri. Inoltre aveva subito danni dal terremoto del 1976”. Quindi la prima azione intrapresa è stata quella di tagliare le radici senza rovinare le pareti. Successivamente “poiché la struttura era pericolante, abbiamo realizzato un ponteggio autoportante e interconnesso con le murature per conferirgli la stabilità necessaria per la prima fase di messa in sicurezza. Il lavoro di restauro vero e proprio è iniziato dal tetto. “Abbiamo rimosso i coppi e la struttura secondaria per risanare la struttura primaria. Abbiamo aggiunto protesi alle parti ammalorate delle travi con l’aggiunta di legno e resine”. Poi è stata la volta dei solai. Alcuni di questi sono stati completamente smantellati. “Bisogna considerare – spiega Del Piccolo – che tutti i pavimenti sono in pendenza che è stata sostanzialmente mantenuta. Altrimenti avremmo dovuto alzare i solai in alcuni casi anche di un metro, creando problemi con i livelli delle finestre”. Per quanto riguarda i muri, essendo a vista esternamente ed internamente “abbiamo inserito armature coordinate all’interno delle murature all’interno di fori longitudinali realizzati con carotatrice. Abbiamo mantenuto e integrato gli elementi lignei orizzontali presenti all’interno della muratura a livello di solai e delle coperture. Evidentemente questi elementi lignei hanno giocato un ruolo positivo nel comportamento sismico. Probabilmente gli elementi lignei interconnessi hanno consentito insieme all’articolazione dei segmenti lignei anche quella dei corrispondenti pannelli murari, rendendo possibile un elevato grado di deformabilità della scatola muraria concentrando nelle cerniere in corrispondenza dei giunti lignei il danneggiamento dissipativo”.
Interni dell'hospitale. Foto di Paolo Ribichini
Tra gli elementi più particolari di questo restauro ci sono i pavimenti. Originariamente questi erano in terra battuta. “Così, abbiamo pensato di rifarli in terra battuta. Abbiamo preso la terra, l’abbiamo lavata e l’abbiamo rimpastata con calce e cocciopesto e poi levigata. Abbiamo lasciato anche all’interno anche alcune pietre appena sporgenti, portate dai pellegrini, dalle mete lontane e antiche del cammino a Occidente e a Oriente, vere e proprie pietre d’inciampo”. ■
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