Dalla Nuova Zelanda il “Pres-Lam”
Il prof. Stefano Pampanin è docente di Ingegneria Strutturale e Progettazione Sismica presso l’Università di Canterbury a Christchurch in Nuova Zelanda dal 2002, ed è considerato un luminare a livello internazionale nel campo della progettazione sismica con tecnologie innovative e rinforzo di strutture esistenti.
È stato Presidente dell’Associazione dell’Ingegneria Sismica in Nuova Zelanda dal 2012 al 2014. Nel 2015 è stato nominato Fellow dell’Ordine degli Ingegneri in Nuova Zelanda.
In particolare il suo nome è legato alla invenzione e implementazione del sistema costruttivo Pres-Lam che applica la post tensione al legno lamellare, sia esso Glulam, microlamellare LVL, o Cross-Lamellare X-Lam, dando origine a una tipologia strutturale di telai o setti post-tesi in legno ingegnerizzato dalle grandi potenzialità per edifici multi-piano open-space e con eccezionali prestazioni antisismiche.
Il Pres-Lam, brevettato a livello internazionale con i colleghi dell'Università di Canterbury, Alessandro Palermo e Andy Buchanan, sta riscuotendo un crescente successo con numerose applicazioni in Nuova Zelanda e le prime implementazioni in Canada, Stati Uniti e Giappone.
Da un paio di anni il prof. Pampanin è rientrato in Italia con chiamata diretta come Professore Ordinario di Tecnica delle Costruzioni presso l’Università di Roma “La Sapienza”, rappresentando dunque un ottimo esempio, in controtendenza e speriamo in futuro sempre più frequente, di “rientri illustri” nel campo tecnico-scientifico.
Lei è italiano, come è nata la sua ‘avventura’ professionale in Nuova Zelanda?
Alla fine degli anni ’90, durante il dottorato di ricerca in Ingegneria Sismica presso il Politecnico di Milano, grazie a una borsa di ricerca della Fulbright, ho avuto l’opportunità di andare a lavorare presso l'Università della California a San Diego (UCSD), con uno dei massimi esperti di ingegneria sismica a livello mondiale, il prof. Nigel Priestley, neo-zelandese e originario proprio dalla Università di Canterbury.
Sotto la sua guida e nell’ambito del progetto di ricerca PRESSS (Precast Seismic Structural System) per lo sviluppo di nuove soluzioni in prefabbricato per zona sismica, ho avuto modo di studiare sia da un punto di vista analitico/numerico che sperimentale – con una prova a larga scala su un edificio di 5 piani – e contribuire in prima persona allo sviluppo di soluzioni innovative in c.a. prefabbricato a basso danneggiamento sismico.
Rientrato in Italia presso il Centro Sismico (EUCENTRE-ROSE) dell’Università di Pavia, un centro d’eccellenza a livello internazionale, mi sono dedicato allo sviluppo di tali tecnologie per la realtà italiana, con risultati molto promettenti e l’implementazione in situ di alcuni edifici.
Nel 2002 fui invitato a sostituire per un periodo di tre mesi un docente che dall’Università di Canterbury in Nuova Zelanda andava a insegnare proprio a San Diego… da lì mi hanno convinto a partecipare al concorso internazionale per il posto vacante di Senior Lecturer (equivalente a Professore Associato nel sistema italiano-americano), mi hanno offerto il ruolo con posizione permanente… e così… quei tre mesi sabbatici sono poi diventati 15 anni.
Che cosa l’ha spinta a partire e poi trasferirsi in Nuova Zelanda?
La ragione è semplice e al tempo stesso complessa: innanzitutto l’Università di Canterbury è conosciuta e riconosciuta a livello internazionale come una delle migliori scuole di Ingegneria Sismica nella quale sono nati a partire dagli anni ’60 alcuni concetti rivoluzionari in termini di filosofia di progettazione sismica: ha mai sentito parlare della "gerarchia delle resistenze"?
La gerarchia delle resistenze, nota anche come “capacity design”, è stata sviluppata e concepita da grandi nomi della sismica (letteralmente denominati “leggende”) presso l‘Università di Canterbury, noti come "le 3 P”: Bob Park e Tom Paulay, e in seguito Nigel Priestley, loro brillante studente e poi collega degli anni ‘60-‘70 a sua volta mio correlatore di dottorato a San Diego a fine anni ‘90. È una filosofia progettuale secondo cui in presenza di un evento sismico gli edifici non devono cercare di resistere con i soli requisiti di forza, bensì devono essere in grado di deformarsi in modo plastico e oscillare in modo flessibile e duttile.
Famosa è l’analogia dell’anello debole di una catena, introdotta da Park and Paulay, secondo la quale la resistenza di una catena è legata alla capacita dell’anello più debole, e se tale anello ha un comportamento fragile, l’intera catena si romperà in modo fragile. Con riferimento a un edificio questo nuovo approccio progettuale che, a partire dalla fine degli anni ’60 e primi anni ’70, si è quindi diffuso in tutto il mondo, prevedeva di proteggere rotture fragili (a taglio o collasso nelle colonne, con conseguente collasso della struttura, i cosiddetti collassi di piano o a “pancake”), cercando di favorire invece, come se fossero dei “fusibili”, meccanismi più duttili concentrando il danneggiamento in punti ben definiti ma meno pericolosi, ossia nelle travi tramite la formazione di “cerniere plastiche”.
Senza dubbio dopo l’esperienza unica di San Diego, l’interesse e la passione per il confronto diretto in loco con le più avanzate realtà di ricerca internazionale erano rimasti sempre più vivi.
La sfida era molto stimolante per molteplici ragioni; l’essere stato invitato, dopo una fase di “reclutamento” (search) internazionale, a ricoprire un ruolo fin da subito di rilievo, responsabilità e indipendenza nonostante la mia giovane età (28 anni allora) in una scuola così prestigiosa era di per sé un ottimo indizio sulla mentalità professionale e potenzialità di crescita.
I tre mesi di visita e interazione diretta con l’ambiente sono stati fondamentali per farmi apprezzare quanto poi confermato negli anni a seguire: come la Nuova Zelanda fosse un paese con dinamiche diverse e particolarmente positive, con un rapporto tra industria e ricerca molto aperto e collaborativo, in particolar modo nel campo dell'ingegneria sismica. Si aggiungano quindi la bellezza dei luoghi e la qualità di vita offerta in uno stile semplice e informale…
Professore può spiegarci com’è nata l’idea del “Pres-Lam”, che cosa è, e quali sono le peculiarità?
L’idea è nata quasi per caso dall’interazione e confronto tra tre colleghi e sinergia di esperienze e competenze complementari, io (progettazione sismica, c.a. precompresso e post teso, tecniche di rinforzo, edifici), Alessandro Palermo (ingegneria sismica, c.a. precompresso e post-teso, viscosità, ponti) e Andy Buchanan (legno, resistenza al fuoco di connessioni strutturali).
Arrivato all’Università di Canterbury nel 2002 ho subito incominciato a sviluppare e tenere corsi a vario livello – master, dottorato, laurea – a studenti e a professionisti sulle tecniche di post tensione del c.a. prefabbricato e sui sistemi di rocking-dissipativo, usando modellini in legno che illustravano come funzionava il sistema.
In laboratorio si utilizzava molto legno (sia per prove strutturali su connessioni che per prove di resistenza al fuoco), materiale disponibile in abbondanza in Nuova Zelanda, fortemente esportato ma anche ampiamente utilizzato per la costruzioni di case di uno o due piani.
A partire dalla ricerca che io e Alessandro stavamo portando avanti sulle emergenti tecnologie per sistemi sismo-resistenti a basso danneggiamento in c.a. prefabbricato con post-tensione e rocking dissipativo sia su edifici che su ponti, in modo del tutto naturale è nata la domanda “perché non proviamo a realizzarlo in legno?” E confrontandoci con Andy gli abbiamo proposto di applicare la post-tensione al legno ingegnerizzato o lamellare.
Con pochi fondi di ricerca fondamentalmente rappresentati da piccole borse di studio e con il materiale fornito dalle industrie, abbiamo iniziato a fare delle prove su prototipi in scala ridotta di connessioni innovative in legno lamellare post-teso seguendo questa idea. Era il 2004. Con il passare del tempo e di fronte a risultati molto promettenti, il nostro coinvolgimento è aumentato e abbiamo deciso, rischiando in prima persona, di sostenere privatamente e personalmente le spese del brevetto nazionale e internazionale del Pres-Lam (legno lamellare precompresso).
Così nel 2006 abbiamo creato una spin-off, Prestressed Timber Limited (PTL) di cui siamo i fondatori e i direttori con una piccola compartecipazione dell'Università. PTL è proprietaria del brevetto con totale libertà di azione nel resto del mondo. Grazie ai numerosi edifici realizzati in Nuova Zealanda, il Pres-Lam è ormai ben conosciuto, riscuotendo interesse a livello internazionale. Abbiamo recentemente stipulato accordi per l’utilizzo del sistema in Canada, Stati Uniti e Giappone con già le prime realizzazioni avvenute o in fase di completamento.
Dopo i primi anni di ricerca a basso costo, la disseminazione e pubblicazione dei risultati della ricerca ha attratto varie industrie disposte a investire sul sistema e abbiamo costituito un consorzio di ricerca neozelandese-australiano (STIC, Structural Timber Innovation Company, Ltd, 2008-2013) che ha visto il finanziamento (50-50 tra industria privata e Governo) di 10 milioni di dollari neozealandesi per la ricerca e sviluppo del sistema Pres-Lam e in generale per soluzioni strutturali innovative per l’utilizzo del legno in edifici residenziali, uffici e/o industriali.
Che cos'è il Pres-lam? Il Pres-Lam è una tecnologia che si basa sulla possibilità di connettere elementi strutturali prefabbricati in legno lamellare (e.g. Glulam, LVL o X-Lam) tramite tecniche di precompressione (o meglio post-tensione effettuata in opera) tipiche del cemento armato, sia per soluzioni a telaio che a setti. I cavi/trefoli (o barre) di post-tensione sono lasciati non-aderenti (scorrevoli) in modo da agire come richiamo elastico o molle dell’intero sistema quando soggetto a un evento sismico.
Per quanto riguarda la peculiarità del sistema, esso presenta:
Elevate prestazioni antisismiche:
Il comportamento sismo-resistente è basato su un meccanismo di moto cosiddetto di “rocking” o “dondolamento” con caratteristiche di ricentramento e dissipazione all’interfaccia della connessione trave-colonna, setto-fondazione, pilastro-fondazione, pannello-pannello, senza che ciò comporti alcun danneggiamento negli elementi strutturali stessi.
Flessibilità nella progettazione:
Il sistema Pres-Lam consente di raggiungere luci maggiori con travi di minor spessore (maglie strutturali 10mx10m se non superiori) e quindi di disporre di spazi open-space e altezze interne maggiori, con elevata flessibilità nella distribuzione e uso degli spazi interni.
Sostituibilità dei Dissipatori-fusibili: Plug&Play
Da un punto di vista strutturale-sismico il sistema sfrutta un meccanismo ibrido. I cavi garantiscono resistenza alla connessione e capacità di ricentramento. Ulteriore rigidezza, resistenza e capacità di dissipazione vengono garantite da barre di armatura ordinaria (o lenta e dunque non pretesa) oppure, in una versione più avanzata e oggi più utilizzata, da speciali dissipatori-fusibili connessi esternamente, e denominati Plug&Play per la loro grande semplicità di montaggio e smontaggio.
Il concetto del Plug&Play deriva da una combinazione ed estrapolazione all’ingegneria sismica di concetti presenti in altri ambiti: in particolare dal funzionamento del fusibile elettrico e dell’ammortizzatore di un'automobile. Il dissipatore-fusibile Plug&Play è realizzato inserendo, all’interno di un tubo contenente resina epossidica o malta, necessari per evitare l’instabilizzazione in compressione, una barra indebolita intenzionalmente mediante tornitura, procedura in linea con il principio della gerarchia delle resistenze e dell’anello debole-duttile della catena. Tale dissipatore è dunque in grado di lavorare sotto carichi ciclici sia in trazione che in compressione.
A seguito di un evento sismico, i “fusibili” Plug&Play, potranno essere facilmente ispezionabili e qualora servisse, semplicemente smontati e sostituiti, allo stesso modo come si procede per la sostituzione di una lampadina elettrica: l’utente dovrà recarsi al supermercato e comprare dei dissipatori semplicemente in acciaio o isteretici o più avanzati, “in lega a memoria di forma” o viscosi da 15kN,50kN etc. – in analogia a quanto si farebbe con una lampadina tradizionale o al LED con attacco a baionetta da 15W, 50W, etc.
Per una vera rivoluzione dal basso che porti a un cambiamento culturale in termini di prevenzione del rischio sismico, sono fortemente convinto che sia fondamentale che i concetti basilari dell’ingegneria sismica e i suoi progressi tecnologici diventino comprensibili a tutti, così come lo è già per altre tecnologie di uso di massa, quali telefonini, computer, scooter/ auto.
Velocità di realizzazione, riduzione di tempi e costi:
Essendo un sistema prefabbricato presenta tutti i vantaggi tipici del calcestruzzo e dell'acciaio quali controllo della qualità in stabilimento e velocità di montaggio riducendo i tempi in cantiere. Data poi la leggerezza degli elementi strutturali in legno, si ha facilità di trasporto, possibilità di pre-assemblare a terra interi telai o setti e sollevarli in opera, riducendo i tempi in cantiere, con evidente risparmio in termini di costi e di tempi sia per il costruttore che per il committente stesso.
Smontaggio, ricollocazione e cambio di destinazione d'uso – sostenibilità nella progettazione:
Grazie alla post-tensione e ai collegamenti prefabbricati è possibile puntare su maglie larghe e open-space, (i.e. 10m x 10m) dando quindi la possibilità di riconfigurare gli spazi interni con partizioni – setti removibili e non – strutturali in previsione di un cambio di destinazione d'uso nell’arco della vita utile della struttura. Potremmo dunque parlare di una sostenibilità in fase progettazione non solo legata all’utilizzo di materiali o di tecnologie eco-sostenibili, ma anche in termini di possibilità di riconfigurare gli spazi e dunque riutilizzare nel tempo la stessa struttura (da residenziale a uffici a commerciale etc.) allungandone la vita utile. Ne deriva ovviamente un valore aggiunto importante all’edificio stesso.
Ipotizzando situazioni speciali, tali peculiari caratteristiche di riconfigurabilità flessibile degli spazi e usi nonché di smontabilità e ricollocazione parziale o totale potrebbe essere utilizzata per eventi sportivi (e non) a livello nazionale e internazionale per i quali si ha sempre il timore e si corre il rischio di costruire “cattedrali nel deserto” quindi lasciate abbandonate a se stesse dopo l’evento per mancanza di utenza.
Sentendola parlare di sistemi a basso-danneggiamento, di sostituibilità e riparabilità sembra che si stia parlando di un approccio di progettazione sismica e tecnologie del futuro. Che differenza c’è tra questi nuovi sistemi e l’attuale sistema “antisismico” da norma?
L’ingegneria strutturale e sismica si trova ad affrontare una sfida epocale, il cui obiettivo finale è fissato a livelli sempre più elevati per far fronte alle crescenti aspettative di una società moderna: essere in grado di fornire soluzioni a basso costo, di facile implementazione a scala territoriale, per la realizzazione di strutture altamente sismo-resistenti architettonicamente appetibili e nel rispetto di (non ancora ben stabilite) regole di eco-sostenibilità, in grado di sostenere gli effetti di un terremoto “di progetto” con perdite e danni a persone e cose limitati o trascurabili, minima interruzione della funzionalità della struttura e dell’attività lavorativa.
In termini più generali, strutture e infrastrutture in grado di garantire un esiguo impatto socio-economico nel caso di un evento sismico severo, pur garantendo un ottimo confort e benessere nella vita di tutti i giorni, e soprattutto nel rispetto di obiettivi di sostenibilità ambientale alla luce di analisi di ciclo di vita. Ovviamente, la salvaguardia della vita umana è e rimane l’obiettivo primario e imprescindibile, ma oggigiorno, soprattutto pensando a Paesi moderni e sviluppati, non è più sufficiente, si deve puntare ad alzare l’asticella e puntare a un livello di danneggiamento controllato, facilmente riparabile dopo un evento sismico.
Il minimo comune denominatore, o meglio la comune barriera, nei confronti di questo obiettivo ideale, sembrerebbe essere legata ai costi proibitivi di un progetto così ambizioso.
In realtà i notevoli progressi nel campo della ingegneria strutturale e sismica, combinati con lo sviluppo di nuovi materiali e tecnologie, per la parte strutturale, non strutturale e impiantistica delle costruzioni stanno aprendo opportunità uniche nel campo delle costruzioni di nuova generazione in cui sicurezza e sostenibilità possono ben sposarsi in una progettazione integrata. Eppure, ripensando alle immagini-flash degli effetti devastanti dei recenti terremoti, anche solo dell’ultimo decennio, la precedente affermazione potrebbe suonare, alla stragrande maggioranza, strana e inappropriata, se non stridentemente utopistica.
Tale apparente dicotomia è riconducibile a una serie di fattori, spesso non solo, e non tanto legati ad aspetti tecnici, quanto piuttosto alla mancanza di un’adeguata comunicazione del concetto di "rischio sismico", inteso come combinazione di hazard (sismicità della zona) e vulnerabilità della struttura in oggetto (e.g. edificio), nonché, in termini più pratici, di una diversa interpretazione (e dunque aspettativa) delle prestazioni (livello di danno “accettabile” e dunque atteso) che una struttura antisismica dovrebbe essere in grado di assicurare, sia nel caso di nuova realizzazione sia a seguito del rinforzo sismico di un struttura esistente e vulnerabile.
Come già da lei scritto nel 2010 (estratto da Pampanin, (2010): “Filosofie di progettazione sismica prestazionali e soluzioni di rinforzo per edifici esistenti in cemento armato: considerazioni e prospettive alla luce del progetto di ricostruzione di L’Aquila”: “La sfida è dunque appena incominciata. Le difficoltà maggiori restano legate alla necessità di definire in maggior dettaglio, con l’aiuto congiunto dei vari key players e end-users, un piano sistematico di intervento a lungo termine formalizzandone e comunicandone all’opinione pubblica obiettivi e scopi, con il compito e la responsabilità (al di sopra delle logiche politiche dei singoli governi) di rispettarne scadenze e obiettivi a medio-termine, da definirsi in termini chiari e in base a parametri tangibili e facilmente misurabili”.
Oggi Lei è docente a “La Sapienza” e la domanda nasce spontanea: perché dopo una brillante carriera a livello internazionale ha deciso di rientrare in Italia? Non teme possa essere, da un punto di vista professionale, un errore?
Me lo hanno chiesto in tanti e non nascondo che i dubbi siano stati numerosi e la decisione tutt’altro che semplice, per molti versi più complicata rispetto alla scelta iniziale di “andare”, per inevitabili logistiche legate ad aspetti di vita sia professionale sia famigliare.
Alla fine è stata una scelta di vita in senso lato, nella quale ha prevalso l’amore per il nostro Bel Paese e per i valori e la cultura con la quale siamo stati educati e siamo cresciuti, ma nella convinzione che l’Italia, anche se tra le molteplici difficoltà di un sistema non sempre dinamico e snello come potrebbe e dovrebbe essere, possa comunque offrire situazioni di eccellenza in vari campi, che ci rendono sempre e ancora oggi molto apprezzati a livello internazionale.
Si tratta di una ulteriore ed egualmente affascinante sfida professionale che colgo con grande entusiasmo, con l’obiettivo di poter contribuire in modo significativo a “fare la differenza” nel Paese dove siamo cresciuti e siamo stati educati con valori importanti.
In particolare la necessità e l’urgenza di implementare un piano a scala nazionale a medio-lungo termine per la riduzione del rischio sismico è ormai sempre più evidente. Sono convinto che sfruttando le più recenti tecnologie e metodologie progettuali e con una adeguata disseminazione e comunicazione del rischio e delle soluzioni esistenti sia a tecnici che a non-tecnici si possano raggiungere grandi e doverosi obiettivi per lo sviluppo di una comunità più resiliente. ■
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