Committenza d'architettura: riflessioni sul premio Dedalo Minosse

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L'architetto italiano è ancora un produttore di “bellezza”?

 

Per molti progettisti italiani, oppressi da burocrazia, problematiche tecniche, interpretazione di leggi, mancati incassi, spese, tasse, responsabilità civili e penali, è assai difficile considerare ancora l'architettura come una disciplina che contiene una forte componente artistica.

Eppure è indubbiamente così, anche se tale affermazione richiede una riflessione.

L'arte del Novecento ha segnato la separazione tra i concetti di “opera d’arte” e di “bellezza” che in precedenza erano quasi coincidenti. Una divaricazione che è la ragione per la quale, spesso manifestiamo perplessità verso alcuni esempi d'arte contemporanea. Così dobbiamo riconoscere che anche nell'architettura, la bellezza non è più al primo posto tra gli obiettivi proposti.

Come che sia, se pronunciarsi in astratto sulla bellezza è impossibile e forse persino inutile, rimane il fatto che la ricerca della bellezza è un compito costante che il progettista assegna a sé stesso, come atto di responsabilità: è lui che ne deposita il seme all'interno del progetto, anche se con declinazioni diverse che dipendono dalla sua disposizione individuale, sia essa più tecnico - costruttiva o legale - amministrativa (utilitas e firmitas) o, per l'appunto, attinente alla ricerca della bellezza (venustas).

Ma la creazione della bellezza in architettura non può mai essere un atto solitario. Se tale obiettivo non è comune ai soggetti che ne sono responsabili, la bellezza diviene un sedimento nascosto e nemmeno richiesto. Se, al contrario, il percorso verso la bellezza è percepito da Committente e progettista come un valore autentico, si viene a esprimere la vera natura dell’architettura, che è innanzitutto un patrimonio da condividere, in quanto s'impone allo sguardo, al giudizio e all’uso del pubblico.

Dunque, Il percorso verso la bellezza del territorio è un interesse pubblico che deve essere condiviso e questa è la missione che nel 1997 i fondatori hanno voluto rendere esplicita con la costituzione del Premio Dedalo Minosse destinato, appunto, alla Committenza d’Architettura.

Il Premio, come noto, vuole promuovere la qualità degli interventi d'architettura e d'ingegneria sul territorio italiano, attraverso un ampio confronto internazionale.

Nell’arco di questi vent'anni, il Premio è infatti cresciuto da regionale al rango internazionale e vede oggi consolidata l'intuizione originale.

Tra le tante difficoltà insite nella produzione di un Premio di così vasta portata, ne emergono due peculiari: l’una consiste nella strenua difesa del fatto che il Dedalo Minosse veda premiata la speciale relazione che s'istituisce tra cliente ed architetto che hanno prodotto un esito qualitativamente elevato, e che non lo si debba confondere con un premio alla bella architettura tout-court; l'altra è che il Cliente stesso costituisce un grosso nodo problematico.

Nell’esperienza quotidiana dei progettisti si può forse dire che la maggioranza dei Committenti si situa tra due estremi contrapposti: il Tipo “assente” ed il Tipo “invadente”. Il primo ha scarse capacità relazionali, è indeciso, non possiede un gusto proprio e sfugge delegando scelte e decisioni; il secondo è portatore di convinzioni ferree ed inattaccabili e non intende discuterle con l'architetto, che è solo un medium tollerato, a sua maggior gloria.

Tra i due Tipi estremi è forse più proficua una relazione conflittuale con il secondo che un vuoto tentativo di dialogo con il primo.

È allora evidente che l’architettura richiede cultura, conoscenza, esperienza, chiarezza d'obiettivi e di mezzi da tutte le parti in campo: architetto, committente, appaltatore; che essa porta contenuti che possono essere decodificati, ma che il rapporto dell’opera con il paesaggio urbano e il territorio è di estrema complessità e non è mai un fatto solo tecnico. Né questa è una situazione anomala, poiché anche per godere di una partita di calcio, di una corsa automobilistica, di ogni altra attività che costituisce una disciplina, è necessario avere acquisito dei codici specifici, indispensabili per il pieno apprezzamento dell’evento cui si assiste o si partecipa. Così è ovviamente per l’architettura e per le opere di trasformazione del paesaggio: servono chiavi d'interpretazione, che conducono a soluzioni le cui motivazioni però solo in parte il progettista riesce a trasferire al cliente, pubblico o privato che sia. È il fenomeno noto con la locuzione “asimmetrie informative”, che sono in gran parte ineliminabili.

 

Palermo La Zisa, foto Ernesto Palmieri

 

Conseguentemente, migliore è il rapporto del Committente col Progettista, più elevata ed approfondita è la sua cultura e consapevolezza, migliori sono le premesse per il buon esito della progettazione, poiché, in fondo, il Committente chiede solo ciò che conosce.

Con ciò il Premio reclama a pieno quell’atto di consapevole responsabilità civile che è la messa in opera degli interventi di trasformazione del paesaggio.

 

La decima edizione del Premio Dedalo Minosse

Il 23 giugno, con la decima edizione, si è celebrato il ventennale del Premio, promosso da ALA Assoarchitetti e dalla Regione del Veneto.

La premiazione è avvenuta a Vicenza, nella cornice dell’antico Teatro Olimpico di Andrea Palladio. Sul palco, davanti ad un pubblico di 500 persone, sono saliti committenti e architetti, italiani e stranieri, che hanno ricercato nell'opera che andavano a realizzare un valore per la comunità. A consegnare le targhe personalità internazionali, istituzioni, sponsor e partner del Premio.

Alla premiazione è seguita la mostra al Palazzo Chiericati, dove migliaia di persone si sono avvicendate nei suggestivi sotterranei Palladiani, dove l'area archeologica e le sale voltate creano un contrasto con l’architettura contemporanea dei progetti selezionati.

Grande è stata la partecipazione a questa edizione: oltre 400 le iscrizioni pervenute da quasi 40 Paesi di tutto il mondo.

Ampio e diversificato il target dei committenti: aziende (26%), governi e amministrazioni pubbliche (28%), privati (24%), enti, fondazioni, associazioni (22%).

 

Il panorama delle opere partecipanti ha toccato come sempre ambiti eterogenei: abitazioni (24%), scuole (12%), uffici (8%), luoghi per la cultura (19%), luoghi di culto (5%), edifici produttivi (5%), aree commerciali (2%), spazi per la socialità (3%), strutture turistico/ricreative (3%), spazi verdi (5%), infrastrutture (14%).

La valutazione della giuria non si è basata sulla dimensione del progetto, ma sulla sua qualità, il suo significato, i suoi valori, il percorso che lo ha generato, la spinta innovativa, il valore ambientale, in un concetto di architettura come attività che implica una grande complessità e responsabilità da parte di tutti gli attori.

 

Da tale approccio emerge in ogni dedizione, una rassegna del fare architettura nel mondo, che affianca grandi opere e piccoli manufatti densi di significato e contenuti.

I fondatori di ALA Assoarchitetti, riflettendo sulle difficoltà della professione, individuarono in chi commissiona l'opera la figura chiave nel processo progettuale e realizzativo.

Premiare il committente per promuovere la buona pratica dell’architettura fa oggi del Dedalo Minosse uno strumento unico per aprire un dialogo interdisciplinare sui processi del costruire, coinvolgendo non solo architetti, ingegneri e progettisti in genere, ma soprattutto i committenti, pubblici e privati, che hanno percorso un cammino verso la qualità, accompagnati da altre figure fondamentali, quali i costruttori, le aziende produttrici dei componenti, i decisori pubblici, gli esperti di settore, i media.

Il Dedalo Minosse ci dimostra che in tutto il mondo, con l'architettura, si produce ogni giorno bellezza e utilità e indica al nostro Paese la necessità sociale di ripristinare condizioni favorevoli alla produzione diffusa di opere provviste di tale valori.

 

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