Il Recovery Fund e le urgenze per le nostre professioni

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ALA chiede a CNAPPC E CNI di adeguare le norme deontologiche verso le prestazioni sottocosto

Se tutto andrà secondo le aspettative e se la seconda ondata del COVID 19 non scompiglierà le previsioni, l’Italia dovrebbe ricevere 209 miliardi di euro dal Recovery Fund e quindi poco meno di un terzo dei 672,5 miliardi che in totale saranno attribuiti nell’insieme, agli stati europei. Si tratta evidentemente di una percentuale enorme, che fino a poco tempo addietro sarebbe apparsa addirittura incredibile, che la dice lunga sia sullo stato di degrado e arretratezza accumulato dal nostro Paese negli ultimi decenni, sia sull’importanza dell’Italia nell’equilibrio dell’Unione. Evidentemente l’Europa non può permettersi, senza affrontare conseguenze imprevedibili, che l’Italia fallisca trascinando con sé tutto il continente e quindi ha deciso di non penalizzare in modo controproducente un grande Stato fondatore, come fece qualche anno addietro con la Grecia.
Il cammino tuttavia è ancora lungo, né si può immaginare che una somma così immensa sia programmabile in pochi giorni o pochi mesi, tanto più che in gran parte si tratta di capitali da restituire, che graveranno dolorosamente sui bilanci statali di molti decenni. Quindi per ottenere i proventi comunitari, il Governo deve innanzitutto informare subito la “Troika” sulle linee guida di spesa, considerando che lo scopo delle Linee Guida Ue è d’impostare un programma pluriennale di modernizzazione, che riduca il divario tra gli Stati Membri, specialmente tra i Paesi leader e quelli che hanno accumulato un gap più elevato e che non hanno più la possibilità di estrarre dal bilancio corrente le risorse straordinarie, per operare gli investimenti necessari per ridurlo.
Entro il 30 aprile 2021, dovrà poi essere consegnato il piano nazionale dettagliato, coerente con la bozza presentata oggi. Seguiranno verifiche incrociate e valutazioni e, se tutto procederà per il meglio, le prime erogazioni arriveranno a partire da fine 2021. La UE chiede all’Italia un programma di spesa “... coerente con un ampio concetto di investimento in formazione di capitale, ovvero capitale fisso, come infrastrutture, costruzioni, ma anche ricerca e sviluppo quindi brevetti o software. Tutela del Capitale Umano, cioè spesa sulla salute, protezione sociale, istruzione e formazione. E Capitale Naturale, cioè aumento delle fonti energetiche rinnovabili, protezione e sicurezza ambientale e iniziative per l’adattamento al cambiamento climatico.” Non si può che essere d’accordo. Nel dettaglio sono sette gli obiettivi che Bruxelles si attende da noi: 1. promozione dell’energia pulita, 2. miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici pubblici e privati, 3. sviluppo di nuove tecnologie nei trasporti, 4. rafforzamento della rete di banda larga (oggi 5G), 5. digitalizzazione della pubblica amministrazione, del settore giudiziario e della sanità, 6. incentivazione dell’economia dei dati, 7. adattamento del sistema educativo alle nuove necessità.
Nei fatti il Recovery Fund sarà uno strumento in mano a Bruxelles, che imporrà alla nostra economia nazionale, ma soprattutto alla struttura della pubblica amministrazione, quella modernizzazione che in 20 anni di moneta unica e da molto tempo prima, abbiamo sempre rinviato o fallito. Volenti o nolenti, l’obiettivo ultimo della UE è imporre un circolo virtuoso tra investimenti e riforme.
È questa una occasione storica per il Paese, per l’economia, per la società tutta e l’entità degli investimenti in gioco la rende imperdibile anche per il settore dei servizi e della progettazione.
Una parte cospicua di questo programma riguarda infatti le infrastrutture e l’efficientamento e la sicurezza delle costruzioni, delle città, del territorio, delle coste, dei fiumi e quindi un grande numero d’architetti e d’ingegneri saranno chiamati a prestare la loro opera.
Il sistema delle professioni non può certo arrogarsi il diritto di stabilire i capitoli di spesa di questo programma straordinario, operazione per la quale non possiede né le informazioni, né gli strumenti macroeconomici e noi non facciamo eccezione. Ci siamo infatti limitati a indicare l’assoluta necessità di procedere ad investimenti produttivi e non a sovvenzioni elettoralistiche. Ma anche il nostro sistema, se vuole cogliere quest’occasione unica e irrepetibile deve provvedere ad operare quell’autoriforma che da troppo tempo rinvia. Per iniziare deve produrre una procedura che determini forme eque ed economicamente sostenibili di attribuzione degli incarichi, che escluda le operazioni sottocosto e invece favorisca virtuose aggregazioni degli studi, finalizzate alla qualità e all’efficienza.
Di conseguenza è urgentissimo che CNAPPC e CNI emanino normative che impediscano le operazioni di dumping, che si risolverebbero in accaparramenti clientelari d’incarichi, che causerebbero direttamente sia l’insufficiente qualità dei progetti e delle opere realizzate, sia il collasso dei molti studi che ne risulterebbero esclusi, tramutando l’immane sforzo e investimento dell’Europa, in un fallimento sostanziale.

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