Il Codice dei contratti pubblici alla prova del primo anno: le proposte della Fondazione Inarcassa

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A poco più di sei mesi dalla effettiva entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023, di seguito per brevità Codice), è già tempo di fare un primo bilancio sulle luci e le ombre di un provvedimento fondamentale per la gestione, il coordinamento e l’applicazione delle norme in materia di affidamento di lavori, servizi e forniture. Un provvedimento che, a detta di molti operatori economici, avrebbe dovuto sin da subito imprimere un’inversione di tendenza rispetto al suo precursore, il D.Lgs. 50 del 2016, dalla struttura più complessa e macchinosa, inidoneo a guidare con velocità i processi decisionali e tagliare i tempi di attraversamento – ovvero quelli necessari ai passaggi burocratici interni della P.A. – che affliggono il sistema delle gare di appalto nel nostro Paese. In Europa, solamente la Grecia ha tempi di attraversamento più lunghi dei nostri. Il pessimo impatto del D.Lgs. 50 del 2016 ha portato all’emanazione del vigente Codice, entrato in vigore il 1° aprile 2023, ma con efficacia differita in due step, rispettivamente il 1° luglio 23 e il 1° gennaio 24. Del vecchio Codice ricorderemo i reiterati interventi correttivi e una serie di istituti che non hanno mai visto la luce, a partire dall’Albo dei componenti delle commissioni di aggiudicazione esterni alle amministrazioni.
La Fondazione Inarcassa, che aveva espresso le sue riserve sul D.Lgs. 50/2016, non ha fatto mancare la sua voce anche rispetto all’ultimo Codice, sebbene i contesti politici nei quali hanno preso vita i due provvedimenti siano differenti. Nel Codice del 2016, l’impronta dell’allora Governo Renzi fu chiara ed evidente. L’istituto della soft law – affidata all’ANAC attraverso la redazione di specifiche Linee Guida – voleva offrire agli operatori uno strumento flessibile e leggero per rispondere alle variabili del mercato. Purtroppo, l’intento di introdurre istituti di derivazione anglosassone nel nostro sistema giuridico non ha pagato. Il Codice del 2023 ha mosso, invece, i suoi primi passi in un contesto politico solo apparentemente più disteso, a cavallo tra il governo a maggioranza allargata Draghi e l’ascesa del centro-destra a guida Meloni.
Il testo del Codice pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 31 marzo dello scorso anno è – con minime modifiche – quello redatto dal Consiglio di Stato che aveva istituito1, tra l’altro, una Commissione incaricata di redigere il “progetto del decreto legislativo recante la disciplina dei contratti pubblici”, finalizzata a promuovere una consultazione rivolta ai principali stakeholder, cui aveva tra l’altro partecipato anche la Fondazione Inarcassa.
Successivamente abbiamo partecipato alla consultazione promossa, a novembre 2022, dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e, dopo l’approvazione in via preliminare dello schema di decreto legislativo in Consiglio dei ministri il 16 dicembre 2022, al ciclo di audizioni avviato a febbraio 2023 dalle Commissioni parlamentari competenti per materia.


1. Con decreto del suo Presidente, il n. 236 del 4 luglio 2022.

Il vigente Codice presenta alcuni aspetti positivi, evidenziati nei mesi scorsi anche alla stampa, di assoluto interesse. Il processo di digitalizzazione, alla base del nuovo provvedimento, segna un passaggio epocale per la pubblica amministrazione, ovviamente auspicando che i problemi di accesso alle piattaforme, riscontrati nel mese di gennaio dagli operatori, siano risolti prima della pubblicazione del presente articolo. Tra le principali novità al riguardo, l’articolo 27 del nuovo Codice in materia di pubblicità legale degli atti, rende operativa sulla piattaforma ANAC la pubblicazione di tutte le informazioni sulle procedure di gara in essere. Le pubbliche amministrazioni, in ragione del principio dell’unicità dell’invio, che taglia i tempi della burocrazia, non potranno richiedere informazioni già presenti nei sistemi informativi. Il ciclo di vita digitale dei contratti pubblici, l’e-procurement, il fascicolo digitale dell’operatore economico, la certificazione delle piattaforme digitali da parte dell’Agid, rafforzano l’impegno italiano verso un orizzonte “finalmente” digitale anche nell’ambito dei lavori pubblici.
Ciò nonostante, restano diverse le criticità che la Fondazione riscontra soprattutto per quanto concerne le procedure di affidamento dei servizi di progettazione e per le quali è auspicabile un “correttivo” in tempi brevi.
Già durante i lavori preparatori al D.Lgs. 36/2023 abbiamo lamentato come il rafforzamento dell’istituto dell’appalto integrato e la riduzione dei livelli di progettazione mal si conciliassero con i principi del risultato e della fiducia di cui ai primi due articoli del nuovo Codice, in quanto ostano al raggiungimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità della pubblica amministrazione. È ben noto che l’appalto integrato è un istituto che, già sulla base delle esperienze del passato, non ha garantito il rispetto dei tempi, degli impegni di spesa, né tantomeno il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo. Quando nel 2021 l’Anac ha pubblicato i risultati di uno studio condotto sui lavori di Anas per la strada statale 106 Jonica, è risultato evidente come l’impiego di una figura che assume su di sé le funzioni di progettista e costruttore, non ha ridotto i tempi di realizzazione dell’opera né ha inciso in termini di snellimento delle procedure. Da quella analisi emersero, infatti, un rilevante aumento del costo complessivo dell’opera e notevoli ritardi nella realizzazione. Le conseguenze paventate dalla Fondazione, già segnalate alle Commissioni parlamentari impegnate sul Codice nel febbraio 2023, sono due. Innanzitutto, l’impoverimento del capitale professionale rappresentato dai tecnici della progettazione, indipendenti e terzi rispetto all’impresa esecutrice dei lavori. L’appalto integrato andrebbe, quantomeno, “contenuto” agli appalti di interesse comunitario. In secondo luogo, l’impoverimento in termini di qualità della proposta progettuale, oltre che dei livelli di sicurezza delle opere, quale ulteriore conseguenza determinata dagli effetti della riduzione dei livelli di progettazione di cui all’articolo 41 del Codice. Tema quest’ultimo che ha avviato ulteriori riflessioni, a partire dall’Anac, sulla determinazione del compenso dei professionisti alla luce della legge n. 49 del 2023 in materia di equo compenso delle prestazioni professionali. Se l’Anac, con Atto del suo Presidente del 25 ottobre 2023, n. 4146, ha chiarito che i corrispettivi per le fasi progettuali dei servizi di architettura e ingegneria sono determinati sulla base del quadro tariffario di cui al decreto “parametri”, la Fondazione Inarcassa ha aggiunto e chiesto altro con riferimento al tema – da più parti sollevato – del “coordinamento” della norma in materia di equo compenso con i criteri di aggiudicazione dei servizi di architettura e ingegneria indicati dal Codice. Riteniamo che non esista un pericolo di “sovrapposizione” tra le due norme, in quanto l’equo compenso è già compatibile con il vigente Codice, sia nella sottosoglia che nelle procedure di rilevanza europea: nella sottosoglia, gli affidamenti diretti, già per la loro natura non prevedono alcun confronto competitivo (e, di conseguenza, non prevedono alcuna riduzione dell’equo compenso). Nelle procedure di rilevanza europea, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa già può essere pesato esclusivamente sulla qualità (e, quindi, senza operare ribassi sull’equo compenso). Piuttosto, occorre aggiornare, quanto prima, l’attuale decreto “parametri”, considerato che diverse prestazioni professionali, alcune delle quali legate al PNRR, non sono neppure contemplate.
Analogamente, sul rapporto tra pubblica amministrazione e libera professione, occorre un maggiore intervento sul ruolo delle centrali di progettazione che devono limitarsi a ruoli di gestione e impostazione dei progetti. Pur assumendo mere funzioni di supervisione, controllo e coordinamento tra le stazioni appaltanti, le centrali di progettazione non devono impegnare, però, spazi già occupati dai liberi professionisti nel campo della progettazione. In una chiara distinzione dei ruoli, lo Stato, quindi, deve agire per imporre un freno alle possibili derive monopolistiche e favorire, invece, la partecipazione dei liberi professionisti nel mercato concorrenziale dei servizi di architettura e ingegneria. Così come, sempre al fine di favorire la concorrenza, è auspicabile un intervento in ordine ai requisiti di capacità economica-finanziaria e tecnica-professionale, di cui all’articolo 100 del Codice, che appaiono in contraddizione con i principi di accesso al mercato e di massima partecipazione alle gare previsti, invece, dagli articoli 3 e 10 del D.Lgs. 36/2023. Sul punto per soddisfare l’interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, favorendo l’accesso al mercato e la possibilità di crescita dei liberi professionisti e delle piccole e medie aggregazioni degli stessi, la Fondazione considera opportuno: a) estendere il periodo di riferimento sul quale valutare il possesso del requisito relativo al fatturato globale, dagli attuali ultimi 3, ai migliori 3 degli ultimi 5 anni, come peraltro avveniva prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice; b) estendere dagli attuali 3 a 10 anni il periodo di valutazione dei requisiti di capacità tecnica e professionale; c) specificare che la locuzione “contratti analoghi”, di cui al comma 11, non si riferisce all’importo dei servizi espletati – parametro non oggettivo e non rappresentativo del valore e dell’importanza dell’opera per cui si è svolto il servizio – bensì all’importo dei lavori cui si riferiscono i servizi da affidare.
Anche l’applicazione – oltre misura – degli accordi quadro all’attività di progettazione e ai servizi di natura professionale rappresenta una forte criticità che la Fondazione ha evidenziato in più occasioni al Legislatore, nella cui intenzione l’accordo quadro avrebbe dovuto essere utilizzato dalle stazioni appaltanti per servizi ripetitivi, quali non riteniamo possano considerarsi i servizi di ingegneria e architettura stante la loro complessità e specificità da sviluppare in più livelli progettuali.
L’uso indiscriminato dell’accordo quadro solleva due criticità. Innanzitutto, una limitazione della concorrenza a causa della richiesta da parte delle stazioni appaltanti di requisiti molto alti che possono essere soddisfatti da una fascia di operatori molto ristretta, in contrasto, quindi, con i principi di ispirazione comunitaria che chiedono di favorire l’accesso al mercato delle realtà medie e piccole così da garantire la massima partecipazione a tutela del mercato e la possibile crescita dimensionale delle stesse. In secondo luogo, non è da sottovalutare l’aspetto del compenso professionale, la cui determinazione del calcolo spesso non è esplicitata negli accordi quadro.
Queste sono le maggiori criticità emerse dal nuovo impianto degli appalti pubblici, sulle quali la Fondazione continuerà la propria azione presso tutti gli stakeholder sino a quando sarà necessario.

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