Gli Enti privati di previdenza del D.Lgs. 103/1996*

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Regime a capitalizzazione e metodo contributivo: la rivalutazione dei montanti contributivi

Premessa
La Legge n. 335 del 1995 (cd. Riforma Dini) ha introdotto una netta distinzione tra lavoratori dipendenti e alcune categorie di autonomi iscritti all’INPS, da un lato, liberi professionisti iscritti alle Casse di previdenza, dall’altro. Le Casse “uscivano” dal sistema pubblico per intraprendere un percorso autonomo, trasformandosi in Enti di diritto privato (d.lgs. 509/1994).
Il passo successivo è stata la costituzione di nuovi Enti di previdenza privati per assicurare la copertura a categorie di professionisti non ancora soggette a tutela previdenziale (d.lgs. 103/1996).
Gli Enti 103 sono un unicum nel panorama previdenziale italiano.
Adottano infatti il metodo contributivo del sistema pubblico di 1° pilastro per il calcolo delle pensioni, ma se ne differenziano perché il regime di finanziamento è a capitalizzazione, a differenza di Inps e Casse 509 che si basano sulla ripartizione. La differenza nei regimi di finanziamento si coglie anche nei Bilanci di esercizio degli Enti 103: tra le passività, infatti, viene data evidenza dei montanti contributivi che rappresentano il “debito” verso gli iscritti e i pensionati. Pur essendo a capitalizzazione, gli Enti 103 devono, per legge, adottare il PIL per la rivalutazione dei montanti contributivi individuali al posto, come sarebbe logico, del rendimento del patrimonio investito che rappresenterebbe il loro tasso di “equilibrio”. Alcuni Enti riconoscono una rivalutazione aggiuntiva dei montanti qualora il rendimento del patrimonio investito sia superiore alla rivalutazione del montante in base al PIL (cd. extra-rendimento); il meccanismo passa attraverso la costituzione di un Fondo di riserva nel quale viene accantonato l’extra-rendimento per la successiva destinazione a montante.

 


 

1. I regimi previdenziali in Italia: principali caratteristiche
Come è noto, i sistemi previdenziali possono essere classificati in base a due caratteristiche fondamentali (cfr. tab. 1):
– regime di finanziamento: a ripartizione o a capitalizzazione;
– metodo di calcolo delle prestazioni: retributivo o contributivo.
Il regime di finanziamento, a ripartizione o a capitalizzazione, è indipendente dalle modalità di calcolo della pensione di tipo retributivo o contributivo (cfr. tab. 2).
La previdenza pubblica italiana di I pilastro (INPS) fa parte dei sistemi a ripartizione che adottano un metodo di calcolo contributivo in base pro rata. Con la Riforma Dini (L. 335/1995), si è infatti passati, a partire dal 1° gennaio 1996, dal metodo retributivo a quello contributivo pro rata. Ogni iscritto ha cioè un conto individuale “virtuale” costituito dal montante contributivo rivalutato in base ad un tasso convenzionale pari alla variazione media quinquennale del PIL.
In Italia, la previdenza complementare di II pilastro (Fondi pensione) rientra in un regime a capitalizzazione con metodo contributivo1.
Ogni individuo ha un conto individuale in cui effettivamente i suoi contributi sono accumulati e rivalutati al tasso di rendimento dei mercati finanziari in cui sono investiti. Le Casse del d.lgs. 509/1994 presentano un regime a ripartizione: alcune, come Cassa Commercialisti (dal 1994) e Inarcassa (dal 2013), sono passate dal metodo retributivo a quello contributivo “virtuale” pro rata, altre Casse hanno mantenuto il metodo retributivo.
Cassa Forense ha deliberato di recente una riforma, all’esame dei Ministeri per la relativa approvazione, che prevede il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo in base ad un meccanismo estremamente graduale, adottato nel 1995 dalla Riforma Dini per il sistema pubblico2.
Nelle Casse 509, dunque, i contributi degli iscritti vanno a pagare le prestazioni degli attuali pensionati e, per la parte di pensione contributiva, il conto individuale di ciascun iscritto è “virtuale”. Sono pertanto a ripartizione; l’eventuale saldo positivo tra contributi e prestazioni va ad aumentare il patrimonio netto e le può rendere parzialmente capitalizzate. In questo quadro, gli Enti del d.lgs. 103/1996 rappresentano un unicum nel panorama previdenziale italiano: adottano, infatti, il metodo contributivo del sistema pubblico di 1° pilastro per il calcolo delle pensioni ma se ne differenziano perché il regime di finanziamento è a capitalizzazione; come evidenziato a seguire, ricorrono al PIL per la rivalutazione dei montanti, quando invece, essendo a capitalizzazione, il loro tasso di “equilibrio” sarebbe il rendimento del patrimonio.


2. Enti del d.lgs. 103/1996: tratti distintivi e confronto con le Casse 509 
Gli Enti 103 hanno adottato, sin dalla loro costituzione, il metodo contributivo “stile Inps” disciplinato dalla L. 335/95. Le pensioni sono quindi calcolate interamente con metodo contributivo; in analogia al sistema pubblico, i montanti sono rivalutati ad un tasso convenzionale individuato nella variazione percentuale media quinquennale del PIL.
Quanto al regime di finanziamento, tuttavia, gli Enti 103, a differenza di INPS e Casse 509, non sono a ripartizione ma a capitalizzazione. Il Patrimonio a fine di ogni esercizio è, in linea generale, almeno pari al totale delle passività verso attivi e pensionati (somma dei Montanti contributivi); vi è dunque “corrispondenza” tra Attivo e Passivo e il grado di capitalizzazione è intorno al 100%. Ogni iscritto ha un conto individuale in cui i contributi sono effettivamente accumulati e investiti sui mercati e non sono dunque destinati a pagare le attuali pensioni; al momento della pensione, questo conto viene gradualmente “svuotato” per pagare la pensione del titolare.
L’elemento che differenzia Enti 103 e Fondi Pensione è che la rivalutazione riconosciuta sui montanti si basa sul PIL per i primi, sul rendimento del patrimonio investito per i Fondi pensione (d.lgs. 252/2005). La scelta adottata dal legislatore per i Fondi pensione è coerente con l’obiettivo di mantenere il grado di capitalizzazione al 100%. La scelta di ricorrere al PIL per gli Enti 103 è invece peculiare. Per la previdenza pubblica (INPS), a ripartizione, il PIL rappresenta il tasso di “equilibrio” (cioè sostenibile) di rivalutazione dei montanti, nella misura in cui la dinamica del PIL approssima quella del monte retributivo/redditi, che costituisce la base di finanziamento del sistema previdenziale. Per gli Enti 103, invece, essendo a capitalizzazione, il tasso di “equilibrio” dovrebbe essere il rendimento del patrimonio, non il PIL.
Per gli Enti 103, dunque, come illustrato più avanti, il rischio è che il rendimento (r) sia inferiore al tasso crescita del PIL (g), con conseguente riduzione del grado di capitalizzazione al di sotto del 100%. Nel caso opposto di r>g, il grado di capitalizzazione andrà al di sopra del 100%, mentre le pensioni erogate saranno inferiori a quelle sostenibili; si crea così spazio per rivalutazioni “aggiuntive” dei montanti e/o misure assistenziali a favore degli iscritti.

 

 

2.1 Bilanci di esercizio
La differenza tra le Casse 509, a ripartizione, e quelle 103, a capitalizzazione, è dunque sostanziale e si può anche cogliere dalla diversa rappresentazione contabile delle varie poste nei Bilanci di esercizio (cfr. tab. 3 e 4).
Nelle Casse 509, i montanti contributivi non sono registrati nei rispettivi Bilanci consuntivi e di previsione. Nello Stato patrimoniale, infatti, tra le passività, non vi è evidenza del debito nei confronti di iscritti attivi e pensionati. Il Patrimonio netto, dato dalla differenza tra attività e passività, non dà conto dei “reali” impegni della Cassa verso gli iscritti. All’interno del Patrimonio netto è evidenziata la Riserva legale pari a 5 annualità delle rate di pensione correnti.
Negli Enti del 103, lo Stato patrimoniale, tra le passività, registra i montanti contributivi degli iscritti attivi e la parte residua dei montanti relativi ai pensionati; i montanti costituiscono le promesse pensionistiche future e rappresentano pertanto il debito della Cassa nei confronti degli iscritti.
I contributi vengono infatti accantonati e rivalutati in un Fondo specifico del passivo, cd. Fondo Contributi. Al momento del pensionamento, una parte dei montanti (ossia i conti individuali degli iscritti che nell’anno andranno in pensione) viene stornata al Fondo Conto pensioni, che accoglie appunto i Montanti residui dei pensionati.
Il Fondo Conto Pensioni sarà dunque alimentato ogni anno dai Montanti delle generazioni prossime al pensionamento e decurtato dalla quota parte necessaria al pagamento delle pensioni.
Il Patrimonio netto, dato dalla differenza tra le attività e le passività (che includono anche i montanti), è un patrimonio libero da impegni previdenziali. Non si crea l’esigenza di una Riserva legale, in quanto l’intero debito verso gli iscritti è già rappresentato in Bilancio.

2.2 Fonti di rischio
Queste differenze sostanziali tra le due categorie di Casse comportano anche la loro esposizione a fattori di rischio diversi (cfr. tab. 5). Per gli Enti 103, i principali fattori di rischio sono due (oltre la monocategoria).

 

 

Il primo, quello di performance, deriva, come già accennato, dal tasso di rivalutazione dei montanti (g), indicato per legge nel PIL, al posto del rendimento del patrimonio investito (r) che, in uno schema a capitalizzazione, dovrebbe rappresentare il tasso naturale di “equilibrio”.
Il rischio è, come indicato in tabella, che il rendimento del patrimonio (r) sia inferiore alla crescita del PIL (g), con conseguente riduzione del grado di capitalizzazione. Quando invece r > g, si crea un “extra-rendimento” che va nel Patrimonio libero da impegni previdenziali; la Cassa può dunque decidere di impiegare, in tutto o in parte, questo extra-rendimento, ad esempio, per aumentare la rivalutazione dei montanti oppure per erogare misure assistenziali di sostegno agli iscritti, come descritto oltre.
Il secondo rischio, comune a tutti i sistemi previdenziali, è il cd. longevity risk; si manifesta quando la durata di vita effettiva delle varie coorti di pensionati è superiore all’aspettativa di vita stimata al momento del calcolo dei Coefficienti di trasformazione. In questo caso, i contributi versati non risultano più in equilibrio con le prestazioni generate: il grado di capitalizzazione tende a ridursi.
Anche le Casse del 509 sono soggette al longevity risk (in misura maggior per l’esistenza di un debito pregresso al momento della privatizzazione), come ai rischi connessi a shock di natura economica (si pensi alla doppia recessione di inizio anni 2000, all’emergenza Covid e alla successiva crisi internazionale ed energetica) e demografica (si pensi, a quest’ultimo riguardo, alla recente revisione operata dall’Istat sulle previsioni della popolazione italiana). Se questi shock intervengono nella fase di transizione dal retributivo al contributivo, si possono avere effetti significativi non solo sull’adeguatezza delle future pensioni ma anche sull’equilibrio dei conti finanziari di lungo periodo (se non compensati dalle dinamiche esogene stesse o da misure interne).
Per le Casse del 509, il rischio di performance è più rilevante, in termini generali, per quelle rimaste con il metodo retributivo. Per le Casse passate al contributivo pro rata, come Inarcassa, il rischio di performance (r < g) assume rilevanza diversa se interviene nella fase di transizione (caratterizzata da un rapporto Patrimonio/Spesa per pensioni in riduzione) rispetto alla fase a regime.
Nella fase di transizione, con pensioni prevalentemente retributive e in forte aumento (effetto “baby boomers”), il rischio di performance accelera la riduzione del rapporto Patrimonio/ Spesa pensioni: la componente retributiva della spesa, tipo Defined Benefit, non si adegua infatti direttamente alle variazioni di g.
Nel BT2020 specifico di Inarcassa, ad es., in cui r è sostanzialmente in linea con g, il rapporto Patrimonio/Spesa per pensioni scende da 16,4 a 7,3 nel 2070; nella versione standard, in cui r è inferiore a g, il rapporto scende a 5,7.
Nella fase a regime, con pensioni interamente contributive, il rapporto tende invece a stabilizzarsi se r rimane in linea con g (ossia con la crescita del montante e dunque della spesa per pensioni); in ipotesi di r < g, potrebbe invece progressivamente scendere sotto le 5 annualità previste per la Riserva legale. Un rendimento maggiore di g, viceversa, favorirebbe l’equilibrio e anche una maggiore adeguatezza delle prestazioni.

3. Rivalutazione dei montanti contributivi degli Enti 103: tasso minimo e maggiore rivalutazione 
La rivalutazione dei contributi degli Enti 103 prevede lo stesso meccanismo adottato dalla previdenza pubblica (INPS). Il d.lgs. 103/1996 contiene infatti un esplicito riferimento alla L. 335/1995 e considera i seguenti parametri:
– variazione media quinquennale del PIL;
– tasso minimo pari a zero
, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive (ad esclusione della prima applicazione).
Per la previdenza pubblica a ripartizione, il PIL rappresenta il tasso di “equilibrio” (cioè, sostenibile) per la rivalutazione dei montanti, almeno nella misura in cui la dinamica del PIL approssima quella del monte retributivo/redditi, ossia la base di finanziamento sui cui sono calcolati i contributi.
Per gli Enti 103, che sono a capitalizzazione, il tasso di “equilibrio” dovrebbe essere in realtà il rendimento del patrimonio; per legge, invece, devono fare riferimento al PIL.
Il tasso minimo è stato introdotto relativamente di recente   a seguito della prolungata recessione dell’economia italiana del 2007-2013, così profonda da portare nel 2014 e per la prima volta anche la media quinquennale, cioè il tasso di rivalutazione dei montanti, in territorio negativo (cfr. fig. 1). Si rese necessario allora intervenire per portare il tasso a zero, escludendo il recupero per il caso in esame ma prevedendolo per il futuro; la scelta di un tasso minimo fu effettuata per garantire una tutela agli iscritti prossimi alla pensione, che altrimenti avrebbero visto ridursi il montante su cui calcolare la prestazione previdenziale.
In sostanza, il tasso pari a zero, se applicato alla vigilia del pensionamento, quando, cioè, i Montanti contributivi hanno raggiunto i livelli più elevati, elimina il rischio di significative riduzioni dell’importo annuo della pensione, bloccando il montante da convertire sui livelli dell’anno precedente.
Il crollo del PIL del 2020 (-7,6% nominale) ha di nuovo portato la variazione quinquennale su valori lievemente negativi (-0,02%): per la rivalutazione dei montanti del 2021 è scattato dunque l’automatismo del tasso minimo, con recupero nelle successive rivalutazioni.
Nel 2022, il tasso di capitalizzazione è tornato in territorio positivo (pari all’1%). Più in generale, si osserva, a partire dal 1995, un divario negativo crescente tra l’andamento del Pil effettivo e il sentiero target individuato dalla Riforma Dini (L. 335/95), che si basava, in coerenza con i dati storici e le aspettative dell’epoca, su previsioni di crescita di lungo periodo del Pil dell’1,5% reale (cfr. fig. 2). Questo profilo e la revisione delle prospettive future di crescita producono effetti negativi sia sulla sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale sia sull’adeguatezza delle prestazioni.

 

 

 

Il meccanismo del tasso minimo e del recupero è applicato anche agli Enti del 103/96 che per legge devono fare riferimento al PIL per la rivalutazione dei montanti dei loro iscritti (cfr. tab. 6). Alcuni Enti, come Epap, Enpap ed Enpapi, prevedono, tuttavia, un’ulteriore rivalutazione, ossia la possibilità di destinare a montante contributivo una parte dei rendimenti del patrimonio, mediante:
i) la definizione di extra-rendimento; ii) la costituzione di un Fondo di riserva.
In merito al meccanismo del recupero, va evidenziato anche il diverso impatto del parametro di riferimento per la rivalutazione dei Montanti contributivi. Il Pil, riferimento per le Casse del 103, evidenzia, ad esempio, una minore volatilità rispetto al Monte redditi degli Ingegneri e Architetti (parametro adottato da Inarcassa) che è strettamente correlato al settore immobiliare e dell’edilizia.
Le fasi di espansione e recessione del settore delle costruzioni sono più ampie rispetto a quelle del PIL. La fase di forte crescita del PIL avviata nel 1995 si è conclusa nel 2002; l’espansione del monte redditi è durata invece dal 1995 al 2007. La doppia recessione 2008-2013 ha portato poi la variazione % media quinquennale del Pil su valori negativi (-0,2%) in un solo anno (2014) mentre l’analoga variazione del Monte redditi di Inarcassa è rimasta negativa per 5 anni consecutivi (dal 2014 al 2019), con un valore minimo nel 2016 del -2,2%.
L’applicazione del meccanismo del “recupero” del maggior tasso risulterebbe dunque molto più rapida prendendo a riferimento il Pil e, di conseguenza, anche gli effetti redistributivi tra le coorti di iscritti sarebbero poco significativi.
Nel caso di Inarcassa, invece, la maggiore volatilità del monte redditi prolungherebbe sensibilmente la fase di recupero del tasso; i montanti contributivi degli iscritti continuerebbero, cioè, ad essere capitalizzati al tasso minimo anche in presenza di una dinamica più favorevole dei redditi, penalizzando di fatto tutte le nuove generazioni di iscritti attraverso decurtazioni delle future prestazioni.

3.1 Rivalutazione aggiuntiva con extra-rendimento
Il fatto che gli Enti del 103 sono a capitalizzazione rende possibile far crescere i montanti con i rendimenti.
L’extra-rendimento è caratterizzato da Rendimenti effettivi del patrimonio investito (r) più elevati della rivalutazione del montante in base al PIL (g); è dunque definito come differenza tra i due importi monetari espressi in valore assoluto: quello dei rendimenti realizzati sul patrimonio a consuntivo e quello riconducibile all’aumento dei montanti rivalutati in base alla crescita del PIL.
Il rischio, in questo schema, è che il PIL cresca più del rendimento del patrimonio, in quanto, come illustrato prima, il grado di capitalizzazione scenderebbe sotto il 100%; viceversa, in caso di una crescita più sostenuta del rendimento, il grado di capitalizzazione supererà il 100%. Nei sistemi a ripartizione, il tasso di “equilibrio” per la rivalutazione dei montanti è il PIL o il monte redditi, che rappresenta la base di finanziamento; in presenza di sistemi parzialmente capitalizzati come quelli delle Casse, il rischio è che il rendimento cresca meno del PIL, determinando in questo modo la riduzione del rapporto tra Patrimonio e Spesa per pensioni.

 

 

Nelle economie avanzate, i rendimenti crescono in generale più del PIL.
In Italia, ad esempio, nell’ultimo ventennio i rendimenti realizzati sui mercati finanziari da Fondi ed Enti previdenziali sono stati mediamente superiori al tasso di crescita del PIL.
Se consideriamo i Fondi pensione della previdenza complementare, nel periodo 2000- 2021 il rendimento nominale netto è stato, in media, del 3,1% per i Fondi negoziali e del 2,2% per quelli aperti, a fronte di una crescita media del PIL nominale dell’1,9%. Nello stesso periodo l’inflazione (FOI) è stata pari all’1,6%. Anche i rendimenti conseguiti dai principali Enti del 103 sono risultati superiori al PIL: negli anni 2008-2021 (per il quale sono disponibili i dati) gli Enti 103 hanno registrato un rendimento netto dell’1,8%, a fronte di una crescita del PIL dello 0,7%.
Se allarghiamo l’analisi al 2022, caratterizzato da un andamento fortemente sfavorevole dei mercati finanziari e da un PIL in ulteriore crescita, nel periodo 2000-2022 il rendimento dei Fondi pensione è stato, in media, del 2,5% per quelli negoziali e dell’1,7% per quelli aperti, contro una crescita del PIL del 2,1% (cfr. Allegato). Nel periodo l’inflazione media è aumentata all’1,8%.
La quota di extra-rendimento da destinare a montante non è uguale per tutti (cfr. tab. 7). Alcuni Enti (Enpap e Enpapi) accantonano al Fondo tutto l’extra-rendimento; altri ne accantonano solo una quota, come ad esempio l’Epap (fino al 60%).
In un primo momento, i Ministeri vigilanti avevano negato agli Enti 103 la possibilità di procedere ad un’ulteriore rivalutazione dei montanti degli associati; gli Enti hanno fatto ricorso e due sentenze si sono pronunciate a loro favore. La sentenza del Consiglio di Stato del 2014 a favore dell’Enpaia evidenziava, in particolare, che il PIL doveva intendersi come “tasso minimo” e che le Casse più virtuose potevano riconoscere una rivalutazione aggiuntiva rispetto al PIL. La sentenza del TAR del 2015 a favore dell’Epap ripropone le stesse argomentazioni.

 

 

 

3.2 Fondo di riserva e extra-rendimento: fase di accumulo e fase di decumulo
l meccanismo tramite il quale i rendimenti del patrimonio (extra-rendimento) sono destinati a montante passa attraverso la costituzione di un “Fondo di riserva”, che è condizione necessaria per la successiva distribuzione dei rendimenti.
Il Fondo di riserva è contabilizzato nello Stato patrimoniale (cfr. tab. 8), all’interno del Patrimonio netto. Si possono individuare due fasi:
– fase di accumulo: destinazione al Fondo di riserva, su base annua, dell’eventuale extra- rendimento;
– fase di decumulo: destinazione delle risorse del Fondo di riserva ai Montanti; le risorse sono infatti stornate al Fondo Contributi in cui vengono accantonati e rivalutati i contributi e che dunque rappresenta i Montanti degli associati. Il Fondo Contributi si trova tra le passività dello Stato patrimoniale e dà conto delle promesse pensionistiche future (debito) nei confronti degli iscritti.
Il meccanismo viene a seguire illustrato in modo più dettagliato.

 

 

Il Fondo di riserva è alimentato dall’extra- rendimento. Annualmente i rendimenti degli investimenti sono confrontati con l’aumento dei montanti determinato dalla rivalutazione in base al PIL. L’eventuale differenza positiva (extra-rendimento), come già illustrato, viene accantonata, tutta o in parte, al Fondo.
L’esempio riportato nella tabella 9 è relativo alla determinazione dell’extra-rendimento per l’Enpap.
Nel 2020 il rendimento effettivo netto contabile è stato pari a quasi 37 milioni di euro (2,4% della giacenza media del patrimonio nel corso dell’anno). Nello stesso anno la rivalutazione dei montanti contributivi legata alla variazione percentuale media quinquennale del PIL (+1,9199%) ha generato un aumento degli stessi di 25,6 mln€. L’extra-rendimento, destinato al Fondo in sede di Bilancio consuntivo 2021, è stato quindi di 11,1 mln€.
Analogamente, nel Bilancio consuntivo 2021, a fronte di un rendimento di 68 milioni di euro, la rivalutazione dei montanti in base al PIL è stata pari allo 0%; in sede di Bilancio consuntivo 2022, dunque, l’intero importo di 68 milioni verrà destinato al Fondo.
Il CdA può deliberare annualmente un aumento del tasso di capitalizzazione dei montanti, utilizzando le risorse precedentemente accantonate nel Fondo. La quota parte del Fondo in valore assoluto destinata a previdenza, rapportata alle dimensioni dei montanti da rivalutare, definisce l’incremento del tasso in termini percentuali. L’aumento deve essere approvato dai Ministeri vigilanti prima di essere attribuito formalmente agli iscritti.
Nella tabella 10, viene riportato, in modo semplificato, il funzionamento del Fondo di riserva dell’Enpap, che, a partire dal 2015, è stato alimentato dall’extra-rendimento. Dal 2017 l’extra-rendimento è stato attribuito al montante degli iscritti (ossia al Fondo Conto Contributo Soggettivo), dopo aver ricevuto l’approvazione ministeriale. Nel 2021, ad esempio, sono stati destinati 11,1 milioni per la rivalutazione dei montanti del 2020, che hanno portato il tasso effettivo di capitalizzazione al 2,75%, rispetto alla rivalutazione del PIL dell’1,92%.

 

 

 



* Si ringrazia il dr. Ugo Inzerillo per le osservazioni e il prezioso contributo alle varie fasi del lavoro.

1. Solo alcuni dei cd. Fondi preesistenti, istituiti prima del 15/11/1992, presentano un metodo di calcolo a prestazione definita; in base al d.lgs. 252/2005, essi non possono raccogliere nuove adesioni e sono pertanto “in esaurimento”.
2. In particolare: i) per gli iscritti con almeno 18 anni di anzianità, viene mantenuto il retributivo, con un’ulteriore riduzione dell’aliquota di rendimento dall’1,4 all’1,2%; ii) agli iscritti con meno di 18 anni di anzianità si applicherà il contributivo pro rata; ii) i nuovi iscritti rientreranno pienamente nel metodo contributivo, con destinazione di 1 punto percentuale di contributo integrativo. Un altro punto qualificante della riforma è l’aumento dell’aliquota del contributo soggettivo (dal 15% al 16% nel 2024 e al 17% nel 2026), mentre il contributo minimo viene ridotto (da 3.000 a 2.200 euro).
 

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